Silphion, finalmente! (parte 1)

Con un certo ritardo rispetto alla pubblicazione di questo blog, mi trovo a parlare del Silfio, la spezia che gli dà il nome.

E no, non l’ho scelta immaginando la soluzione verde alla contraccezione 🙂

Il silfio racchiude in sè e nella sua storia molte delle intersezioni tipiche del rapporto uomo-piante:

1. il limine tra alimento e medicina: il silfio ci rimanda al fatto che questa distinzione, apparentemente ovvia, è creazione recente, e che non è così netta, presenta anzi molti spazi di sovrapposizione, e che le categorie sono spesso normative e culturali oltre che oggettive. Citando l’amico Pieroni:

“Le piante possono essere usate sia come medicina sia come cibo, ed è difficile tracciare una separazione netta tra queste due aree: il cibo può essere medicina e viceversa. Le risorse vegetali nelle società tradizionali, in particolare le verdure selvatiche, sono spesso utilizzate multicontestualmente come cibo e medicina. La raccolta o la coltivazione, la preparazione ed il consumo di tali specie sono radicate nelle percezioni emiche degli ambienti naturali associati alle risorse disponibili, alla cucina e alla pratica medica locale, apprezzamento del gusto e tradizioni culturali.” (Pieroni Price 2006)

2. L’ influenza delle piante sulla cultura umana, materiale, intellettuale e sensuale

3. La loro trasformazioni in merci, fino allo sfruttamento e, come in questo caso, alla scomparsa per eccesso di successo.

Il Silfio ha molti nomi nella letteratura classica. In Grecia si chiama silphion la pianta, kaulos il fusto, opos la resina e maspeton la foglia; a Roma si modifica in silphium, si trova sirpe e si trova anche il termine laserpicium (o lasarpicium o laserpitium) che letteralmente significa lac sirpicium = succo o resina della sirpe. Il termine laser indica il silfio ma anche altre piante considerate suoi sostituti. Gli arabi usavano il termine asa (da cui asafoetida)

Come giustamente fa notare Dalby (1992), di tutte le fonti classiche a nostra disposizione quasi certamente nessuna è primaria – almeno rispetto alla raccolta o trasformazione della pianta, mentre tutti gli autori probabilmente avevano provato la pianta come spezia o medicina. In effetti molte delle fonti sono ancora meno attendibili, come nel caso di Plinio il Vecchio, che ha principalmente riportato e tradotto quanto scritto da Teofrasto.

La storia conociuta del Silfio inizia intorno al 630 a.C., quando dei coloni tebani partirono dall’isola greca di Thera (moderna Santorini o Thira), dirigendosi verso il Nordafrica, e fondarono, secondo quello che riporta Teofrasto, la citta di Cirene (Kyrene) nella odierna Libia. Pochi anni dopo, nel  638 secondo le fonti (Dalby 1992), essi menzionano per la prima volta la pianta che avrebbe fatto la fortuna della città e del Mediterraneo, conquistando i gusti dei greci prima e dei romani più tardi, diventando una spezia ricercatissima ed una pianta medicinale: il Silphion.

La resina ricavata dall’incisione della radice della pianta divenne in poco tempo un articolo di tale successo e lusso da “valere il proprio peso in argento” e Cirene divenne la città più ricca della regione nordafricana (almeno fino allo sviluppo di Alessandria).

Dopo aver fatto la fortuna della regione per più di 700 anni, scomparve però rapidamente dalla scena, diventando la prima pianta conosciuta ad estinguersi a causa dello sfruttamento umano.

La pianta era probabilmente già conosciuta ai locali e cresceva solo lungo il versante mediterraneo del plateau montuoso e arido della odierna Cirenaica, in una fascia lunga 200 km e larga 55 km che arrivava fino alla punta orientale dell’odierno Golfo della Sirte in Libia (da Erodoto, Storie (ca. 440 a.C.). 4.169 (Qui l’originale): “[La costa Libica:] li giace l’isola di Platea, dove i Cirenaici si fermarono [inizialmente], e sulla costa del continente vi è il porto di Menelaus e Aziris, dove i Cirenaici vivevano. Il  Silphion inizia qui. Il Silphion si trova dall’isola di Platea all’imboccatura della Sirte”. Da Teofrasto Storia delle piante 6.3.:”[il Silphion] si trova in una vasta area della Libia: più di cinquecento  miglia, dicono, ed è più comune lungo la Sirte a partire dalle Euesperides)

Secondo fonti greche la pianta veniva raccolta spontanea e ogni tentativo di coltivarla in Siria e Grecia era fallito (Riddle 1992) ma ci sono voci riportate da Teofrasto che farebbero pensare che non disdegnasse i terreni lavorati e coltivati. Lo stesso autore, nel suo Storia delle piante (Περὶ Φυτῶν Ιστορίας), la descrive come molto simile al finocchio gigante, e parla delle modalità di raccolta della pianta, determinate da regole molto precise e severe riguardo alle quantità annuali e le zone di raccolta.

Data la sua importanza economica la pianta divenne il simbolo della città e venne usata come emblema sulle monete Cirenaiche; tra le varie raffigurazioni ne troviamo una che mostra solo la pianta, l’altra che mostra una donna seduta che tocca la pianta con una mano mentre con l’altra si indica i genitali (Penn 1994). La pianta è inoltre comunemente dipinta in mano al dio Dioniso.


In un esempio di ceramica Laconica del 565 a.C. si ritrae il Re Arcesilao II di Cirene (c. 568-550) in veste bianca e nera e cappello, seduto mentre supervisiona le pesature e il carico del silfio avvolto in pelli, pronto per l’esportazione. “Il silfio di Battus” divenne una espressione greca per significare ricchezza estrema (Battus fu il primo re di Cirene).

Cento anni più tardi, nel primo secolo dC, la scarsità della pianta portò al crollo dell’economia della regione, tanto che poco tempo dopo Plinio nel Naturalis Historia riporta che:

“ormai da molti anni il silphion non è stato visto nella regione, dato che le persone che affittano la terra da pascolo, vedendo possibilità di maggiori profitti, lo sfruttano eccessivamente per farne pascolo per pecore. L’unico fusto trovato a memoria d’uomo è stato mandato all’Imperatore Nerone” (Plinio Naturalis Historia 19.15, originale qui).

Alcuni autori propongono che il silfio non sia realmente estinto, ma che sia una specie ancora esistente: la comune Ferula asafoetida (il silphion Siriano), o la più rara Ferula tingitana, che ancora cresce in NordAfrica e Medio Oriente.

Queste affermazioni sono difficili da sostenere per varie ragioni:

  1. prima di tutto molto testi dichiarano che il silfio era una pianta costosa e difficile da coltivare al di fuori della provincia di Cirene, mentre la Ferula asafetida è pianta comune, poco costosa e cresce in ampie regioni dell’Asia centrale;
  2. inoltre le fonti storiche coincidono nel dire che ad un certo punto della storia il siflio scomparve. Il geografo Strabone racconta di penuria di resina e della nascita di conseguenza di un mercato nero (Geografia XVII.3.20-22, qui l’originale), e Plinio (Naturalis Historia 19.15) ci assicura che l’ultimo fusto di silfio fu mandato in regalo all’imperatore Nerone (vedi sopra).
  3. Inoltre ci si domanda, se il silphion fosse stato presente in altre aree, perché le popolazioni non lo avrebbero sfruttato a scopi commerciali?

Secondo Penn la comparazione tra le immagini incise sulle monete del tempo e le immagini delle specie di Ferula oggi esistenti porterebbe a concludere che o la pianta coincide con Ferula tingitana o era una specie a questa molto vicina (Penn 1994).

La più antica moneta cirenaica raffigura lo schizocarpo della pianta, mentre in altre si raffigura la foglia, che appare molto simile (come diceva anche Teofrasto) a quella del sedano. In monete più tarde si trova la rappresentazione del fusto fiorito intero, e intorno al 500 aC   troviamo la pianta intera o parti della pianta associate a divinità o animali.

Queste figure intere ricordano molto il finocchio gigante o Ferula communis o nartex (il nome greco della pianta dentro i cui fusti Prometeo nascose il fuoco rubato agli dei per l’uomo).   In effetti la Ferula communis è molto simile alle raffigurazioni sulle monete cirenaiche, con le infiorescenze tipiche e le foglie amplessicaule. Però sia nelle foto della Ferula communis che in quelle delle altre specie Ferula asa-foetida L. e Ferula narthex mancano le costole così prominenti nel fusto delle piante sulle monete (e sulla “colonna silphion”), e le foglie non sono disposte in maniera opposta bensì alternata.

E’ quindi del tutto probabile  – conclude Penn – che, viste le somiglianze, il silfio fosse una Ferula imparentata con F. asa-fetida, F. tingitana e F. narthex

Michael Moore, herbalist

Tre giorni fà si è spento un grande personaggio dell’erbalismo anarchico americano, Michael Moore. Non me l’aspettavo, era molto malato ma sinceramente pensavo ce l’avrebbe fatta.

E’ stato un erbalista idiosincratico, divertente, che amava e conosceva il suo territorio e che aveva uina conoscenza pratica delle piante che raramente i suoi colleghi mostravano, era tutto il contrario di un “brown-bottle herbalist”. I suoi testi (qui, qui, qui, qui, e altri) sulle piante del sudovest degli stati uniti sono fra i primi testi che ho acquistato, il suo sito è sempre stato tra i miei preferiti, ed ancora lo sarà, non fosse altro per i suoi scritti e per la biblioteca di testi classici della farmacopea statunitense offerti al pubblico, uno dei primi, insiene a Henriette, a mettere in pratica la politica dell’Open Access quando non se ne parlava ancora.

Una visita a Nar-Phoo

Nella seconda puntata dedicata al Nepal (un paese vicino al mio cuore per varie ragioni, di cui ho parlato anche qui) vorrei parlare di un viaggio effettuato nell’estate del 2006 insieme a quattro colleghi nepalesi.

From Nepal 2006

Si trattava di una missione di ricognizione etnobotanica nella valle di Naar-Phoo, nel distretto di Manang, il cui scopo era visitare alcune zone di particolare interesse per la flora medicinale nepalese, poco visitate e studiate fino a quel momento. La missione si inseriva in un progetto di più ampio respiro sulla documentazione delle pratiche mediche tradizionali del distretto del Manang, e sulla documentazione fitochimica delle piante più interessanti.

Il successo di questa missione e il rapporto che è stato compilato in seguito è il risultato del lavoro congiunto mio e di Khilendra Gurung, un amico e botanico nepalese, fortemente impegnato nello studio della botanica e dell’etnobotanica himalayana, e nella traduzione del sapere accademico in politiche e progetti di aiuto alle popolazioni locali.

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Inquadramento biogeografico

Scopo della missione pilota
Lo scopo di questa prima missione era quello di  esplorare il territorio, documentare fotograficamente le specie vegetali presenti, interagire con i FUG (Forest Users Groups), intervistare informatori e individui esperti in piante medicinali locali, creare un primo elenco di prodotti forestali non legnosi (Non Timber Forest Products – NTFP) presenti nella zona, con primo ranking delle specie più importanti, ed infine raccogliere campioni per analisi fitochimica e test di attività biologica.

La zona studiata.
Manang
Lo studio pilota si è svolto nel distretto del Manang (Distretto 28), nella zona trans-Himalayana centro-settentrionale del Nepal, tra 28o27′-28o54′ N di latitudine e 83o40′ -84o34′ E di longitudine, un’area di circa 2246 km2 all’interno della Annapurna Conservation Area. I confini amministrativi coincidono quasi perfettamente con la gli spartiacque naturali dell’Himalaya. In particolare la zona è delimitata a  sud dalla catena Himalayana principale, formata dall’Annapurna Himal e dal Lamjung Himal, ad ovest dalle catene del Damodar Himal e del Muktinath Himal, ad est dal Manaslu Himal, ed infine a nord confina con il Tibet tramite Peri, Himlung e Cheo Himal.


Più di due terzi dell’area del distretto sono occupati da montagne, interrotte dal fluire del fiume principale, il Marsyangdi che, insieme ai suoi due tributari, il Nar ed il Dudh, drena tutto il bacino, scorrendo prima da nord-ovest a sud-est, per poi piegare decisamente verso sud all’altezza di Thonje.

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A causa dell’apertura meridionale della valle del Marsyangdi, le masse umide dei monsoni estivi sono in grado di superare in parte le barriere dell’Himalaya, e questo spiega il carattere transizionale dell’area, tra l’Himalaya esterno più sensibile all’azione dei monsoni, che qui tendono a bloccarsi e a rilasciare le precipitazioni, e quindi più umido, e l’Himalaya interno e continentale, più secco.
La copertura vegetazionale si modifica in accordo con queste variazioni, passando da vegetazione subtropicale, a temperata, a xerofila ed alpina.
La popolazione è scarsa (il terreno è impervio e difficile da sfruttare) e concentrata nella valle del Marshyangdi (1600-3700 mslm).  Le variabili condizioni naturali si riflettono in una elevata diversità etnica e culturale, con almeno quattro gruppi etnici dominanti, Gurung, Gyasumdopa, Manangi e Narpa, e molti gruppi minoritari.
A causa delle differenti condizioni geologiche e climatiche, si possono osservare tre diverse tipologie di vallate lungo il corso del fiume, che caratterizzano il territorio dividendolo in tre aree facilmente identificabili, sia per le caratteristiche geomorfologiche sia per quelle di insediamento ed agricoltura, Gyasumdo, Nyeshang e Nar.
Procedendo da sud a nord, troviamo prima la valle di Gyasumdo (1600-3000 mslm), dalla caratteristica forma a V a causa dell’erosione fluviale del Marsyangdi sul mantello roccioso cristallino e molto duro; è molto rocciosa e scoscesa e poco favorevole ad agricoltura e ad insediamenti abitativi.  Dal punto di vista climatologico l’area ha carattere fortemente transizionale.
Dopo la curva verso ovest all’altezza di Thonje si entra nella valle di Nyeshang (3000-3400 mslm), nella zona ovest del distretto, che ha invece forma ad U causata dall’erosione glaciale su depositi sedimentari più morbidi. L’area è a Nord del massiccio dell’Annapurna (7.000 mslm) e quindi i monsoni arrivano qui molto attenuati e la zona è meno umida. Nonostante ciò, grazie alla forma molto più dolce della valle, essa è  molto favorevole all’agricoltura e agli insediamenti.

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La zona di Nar (3500-4200 mslm) corrisponde alla vallata del tributario Nar, che giace nel nord del distretto e che ha il clima più rigido e secco, e gli insediamenti più elevati, Nar (4200 mslm) e Phoo (4100 mslm), entrambi sopra alla linea di vegetazione. In quest’area, che è stata l’obiettivo principale della missione pilota, il clima secco e rigido si riflette nella prevalenza di vegetazione tipica della steppa Tibetana.

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La valle di Nar-Phoo

La zona è a clima subalpino e alpino, e la tipologia floristica è tipicamente centro-asiatica con alcuni elementi sino-giapponesi. Piante tipiche dell’area sono Betula utilis D. Don, Juniperus spp., Rhododendron spp. (le specie arbustive sopra ai 4.000 mslm sono: Rhododendron anthopogon, Rhododendron lepidotum, Rhododendron setosum), Cotoneaster spp. (sopra ai 4.000 mslm), Hippophae tibetana Schltdl., Caragana brevispina Royle (sopra ai 4.000 mslm), Rosa spp., Berberis spp e Sorbus spp., con varie conifere alle altitudini minori: Pinus wallichiana A.B. Jackson, Tsuga dumosa (D. Don) Eichler, Abies spectabilis (D. Don) Mirb.

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Gli insediamenti più elevati sono Nar (4200 mslm) e Phoo (3900-4100 mslm), ed esiste un insediamento per lo svernamento a 3500 mslm (Meta) che, dopo essere stato abbandonato e quasi in rovina, si sta nuovamente attrezzando per ospitare persone. La popolazione dei due villaggi, i Narpas, forma un piccolo gruppo etnico locale, che usa un linguaggio di origine tibeto-burmese molto simile al Manangi della zona di Nyeshang, ma anche il tibetano parlato e scritto.
Nelle generazioni l’attività economica della popolazione è variata molto poco. Dipende fondamentalmente ancora dall’allevamento (yak, capre, pecore, bovini, ecc.) ma coltivano anche orzo e patate in campi irrigati ed hanno una piccolo flusso di commercio ad altitudini più basse in inverno.

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A causa del clima severo invernale, a dicembre la popolazione migra con le sue piante verso insediamenti più in basso, ed alcuni individui (di solito i più giovani) si muovono da lì verso sud per commerciare e scambiare i propri prodotti (lana di yak, formaggio secco, spezie ed erbe alimentari) con riso o altri prodotti alimentari impossibili da coltivare in quest’area. A marzo gli abitanti fanno ritorno a Nar e Phoo.
L’apertura recente della valle al turismo da trekking (fino al 2005 era aperta solo per gli alpinisti che si dirigevano verso il campo base dell’Himlung) potrebbe rappresentare una ulteriore fonte di reddito, ma un utilizzo razionale e sostenibile delle risorse di NTFP e MAP rappresenterebbe una fonte di reddito più stabile, legata anche ad una rivalutazione delle tradizioni locali e a processi di stimolazione dell’autostima e della identità comunitaria che sono fondamentali per lo sviluppo delle aree montane.

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Principali piante osservate nella valle di Nar-Phoo.
Fascia sub-alpina (3.000-4.000 mslm)
Intorno al primo insediamento della valle, Meta (tra i 3300 e i 3600 mslm), vicini al limite della vegetazione forestale, la vegetazione arborea è limitata all’abete himalaiano (Abies spectabilis (D Don) Mirb.; sinonimo: A. webbiana Lindley – Pinaceae), ed a pochi esemplari di betulla (Betula utilis D. Don – Betulaceae) ed è stato possibile osservare varie specie erbacee di interesse generale:

  • Polygonatum cirrhifolium (Wall.) Royle (Convallariaceae/Liliaceae s.l.)
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  • Clematis tibetana Kuntz oppure Clematis buchananiana DC [sinonimo: C. buchaniana var. rugosa Hooker fil. & Thomson] (Ranunculaceae)
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  • Abies spectabilis (D Don) Mirb. (Pinaceae)
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  • Cotoneaster sp. Medikus (Rosaceae)
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Poco più sopra rispetto all’insediamento, lungo il sentiero per Phoo intorno ai 3650 mslm, abbiamo osservato altre due specie non incontrate ad altitudini minori, la Arnebia benthamii (G.Don f.) IM Johnston (Boraginaceae) e Allium wallichii Kunth (Alliaceae/Liliaceae, pianta a rischio), e nell’area di Kyang, a 3800 mslm, abbiamo superato l’ultima colonia di betulle (Betula utilis D. Don).

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Superata la linea della vegetazione forestale, intorno e nell’area del villaggio di Phoo, situata a ca. 4000 mslm e caratterizzato da un clima particolarmente secco, abbiamo registrato un numero elevato di piante considerate utili dalle popolazioni locali:

  • Berberis aristata DC [sinonimo: B. ceratophylla G. Don.]
  • Pterocephalodes hookeri (C. B. Clarke) V. Mayer & Ehrendorfer (Dipsacaceae) [sinonimi: Pterocephalus hookeri (CB Clarke) Diels; Scabiosa hookeri CB Clarke]
  • Rosa sericea Lindley (e Rosa macrophylla Lindley) (Rosaceae)
  • Ajuga lupulina Maximovich (Lamiaceae)
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  • Aster sp. (Asteraceae)
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  • Dracocephalum sp. (Lamiaceae), in particolare Dracocephalum heterophyllum Benth.
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  • Geranium pratense L. (Geraniaceae)
  • Jurinea dolomiae Boissier (Asteraceae)
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  • Lonicera sp. (Caprifoliaceae)
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  • Myricaria rosea WW Smith (Tamaricaceae) [sinonimi: M. prostrata Hooker fil. & Thomson ex Benth. & Hooker fil.; M. germanica (L.) Desvaux var. prostrata (Hooker fil. & Thomson ex Bentham & Hooker fil.) T. Dyer]
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  • Potentilla fruticosa L. (Rosaceae)
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  • Ribes orientale Desf. (Rosaceae)
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  • Silene stracheyi Edgeworth (identificazione dubbia) (Caryophyllaceae)
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Prospiciente il villaggio di Phoo ha sede uno dei più importanti monasteri lamaisti della zona dell’Annapurna, con attività di studio, educazione e raccolta delle piante medicinali.

Fascia alpina (più di 4.000 mslm)
Presso l’insediamento di Nar (4200 mslm), caratterizzato da maggiori precipitazioni e da un clima meno secco di Phoo, oltre alle piante già osservate in precedenza abbiamo osservato:

  • Stellera chamaejasme L. (Thymelaceae) [sinonimo: Wikstroemia chamaejasme (L.) Domke]
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e presso l’ultimo campo base prima delle nevi perenni (Campo base di Kyangla 4500) le specie:

  • Bistorta macrophylla (D. Don) Soják (Polygonaceae) [basionimo: Polygonum macrophyllum D. Don.] .
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  • Tanacetum nubigenum Wall. ex DC (Asteraceae) [sinonimo: Dendranthema nubigenum (Wall. ex DC) Kitamura],
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    osservato anche a Kharka.

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  • Cremanthodium arnicoides Wall. R. Good (Asteraceae)
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  • Primula wigramiana ?? (Primulaceae)
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  • Rheum australe D. Don (Polygonaceae)
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  • Delphinium grandiflorum L./D. brunonianum Royle (Ranunculceae)
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NB: durante la missione, dopo il sopralluogo della valle di Nar-Phoo, è stata visitata anche la valle del Thorung Khola e l’area limitrofa al Campo Base del Tilicho, ad altitudini di simili a Phoo e Nar, in aree più occidentali. A causa della diversa esposizione e delle maggiori precipitazioni la flora era però caratterizzata diversamente, e le specie più presenti erano:

  • Caragana gerardiana Royle ex Benth e Caragana nepalensis Kitamura (Leguminosae/Fabaceae)
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  • Hippophae tibetana Schlechter [sinonimo H. rhamnoides L.] e Hippophae salicifolia D. Don (Eleagnaceae)
  • Leontopodium jacotianum P. Beauv. (Asteraceae)
  • Rosularia alpestris (Kar. & Kir.) Boriss (Crassulaceae)

Ad altitudini elevate, come al passo di Kyangla (5200-5300), abbiamo potuto registrare la presenza di:

  • Rhodiola himalensis (D. Don) S. H. Fu (Crassulaceae)
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  • Taraxacum tibetanum Hand.-Mazz (Asteraceae)
  • Elsholtzia eriostachya (Benth.) Benth. (Lamiaceae).

Gli utilizzi tradizionali
Disturbi respiratori
Le foglie dell’abete himalaiano (Abies spectabilis (D. Don) – Pinaceae) vengono usate in decotto per tosse e bronchite, e da esse viene ricavato per distillazione l’olio essenziale, usato localmente e venduto sul mercato interno. Due specie del genere Clematis importanti per i disturbi respiratori sono la lanke chanke (o shikari jhar –  Clematis buchananiana DC – Ranunculaceae) e la kreme (C. montana Buch.-Ham ex DC). Foglie e radici vengono utilizzati per tosse, raffreddore e sinusite.
I semi di thupme (Elsholtzia eriostachya (Benth.) Benth – Lamiaceae) vengono masticati  in caso di tosse e raffreddore, mentre radici e foglie secche di  tani na (Gentiana robusta King ex Hook. f.  – Gentianaceae) vengono bruciate ed i fumi inalati in caso di raffreddore. Sempre in caso di raffreddore e tosse viene usata una pianta dalle foglie coriacee ed aromatiche, la onma (Myricaria rosea WW Smith – Tamaricaceae), che viene pestata e ridotta a pasta e assunta per bocca. In altre zone (nel Rolwaling) si preferisce invece il decotto.
In tutto il distretto del Manang fiori e foglie e a volte pianta intera di panrimendo, o “fiore dei prati montani” (Pterocephalodes hookeri (C. B. Clarke) V. Mayer & Ehrendorfer – Dipsacaceae) vengono utilizzate per raffreddore, febbre e tosse.
Il succo della radice di Miahali (Rumex nepalensis Spreng – Polygonaceae), pianta usata soprattutto per i disturbi digestivi e della pelle, viene anche usato per  tosse e raffreddore.

Disturbi del tratto gastrointestinale
La Bistorta macrophylla (D. Don) Soják è usata soprattutto per dissenteria/diarrea, gastralgia. Il succo della lanke chanke (Clematis buchananiana DC) oppure della kreme (C. montana Buch.-Ham. ex DC – Ranunculaceae), pianta intera e radice, si usa per vari problemi gastrici (indigestione, ulcera peptica, ecc.)
I frutti di varie specie di Heracleum (H. nepalense D. Don; sinonimo: H. nepalense var bivittata CB Clarke – Apiaceae) vengono arrostiti e masticati per tosse, diarrea e dissenteria nel distretto. I frutti sono anche usati come spezie nel daal e nelle carni. In un altro distretto (Dhading) il succo della radice è reputato utile in caso di diarrea.
Il panrimendo (Pterocephalodes hookeri) viene usato in tutto il Manang come decotto di pianta intera in caso di diarrea.
Senza dubbio una delle piante più comunemente usate per disturbi gastrointestinali, e per un ventaglio di indicazioni molto ampio, è miahali (Rumex nepalensis Spreng – Polygonaceae). Le foglie si usano in caso di nausea e dissenteria (Nepal occidentale, Gurung), e le radici in caso di intossicazione alimentare e diarrea nei bovini, come purgante ed antidoto. Il succo della radice viene anche usato come antelmintico e la radice e le foglie vengono impiegate a livello topico per la gengivite.
Varie specie di Berberis (Berberidaceae), in particolare Berberis aristata DC (ban chutro), sono importanti come rimedi oftalmici e digestivi. Radice e fusto sono usate in caso di diarrea e dispepsie, e i frutti per diarrea e ittero. Il succo ricavato dalla corteccia viene usato in caso di ulcera peptica, alla dose di 4 cucchiaini tre volte al giorno.
Il succo della radice di tsharsin (Cotoneaster affinis Lindley – Rosaceae) si usa per trattare le indigestioni. Per la stessa indicazione si usa anche il succo della radice di un’altra Rosacea, la Potentilla fruticosa L. (teba), mentre la radice di Pleurospermum hookeri CB Clarke (Apiaceae) si usa per dispepsia, diarrea ed emorroidi.
Una pianta chiave della regione, dal punto di vista dei disturbi gastrointestinali ma anche dal punto di vista economico. è il phopri (Lindera neesiana (Wall. ex Nees) Kurz – Lauraceae). In Gyasumdo e in genere nel distretto del Manang i frutti neri vengono ingeriti in caso di problemi di stomaco (dispepsia) o flatulenza. In altre zone del Nepal vengono masticati in caso di diarrea, mal di denti, nausea e flatulenza.
Fiori e foglie di Dracocephalum sp. (Lamiaceae) vengono usate per problemi di fegato, stomaco e febbri associate.

Disturbi dell’apparato cutaneo
La radice ed il fusto di Berberis aristata (Berberidaceae) sono molto usate per disordini della pelle ed infiammazioni, grazie alle sue attività alterativa ed astringente. Nei distretti di Lamjung e di Dhading il succo della Clematis buchananiana DC (oppure C. montana Buch.-Ham. ex DC – Ranunculaceae) si applica localmente su tagli e ferite, mentre nel distretto di Chitwan la radice in pasta si applica localmente per gonfiori infiammatori.
Le foglie strizzate e stropicciate di Rumex nepalensis vengono massaggiate su gonfiori, ferite e foruncoli, mentre le foglie ed il fusto vengono impiegate a livello topico per l’eczema. In India le foglie sono usate per trattare le irritazioni da contatto con ortica. Bistorta macrophylla (D. Don) Soják è ritenuta, antisettica e vulneraria e viene usata soprattutto per trattare l’eczema.
Il succo della radice di mendosan  (Aster indamellus Grierson e Aster spp. – Asteraceae) viene usato su ferite e foruncoli, le radici essiccate e polverizzate di daurali phul (Stellera chamaejasme L. – Thymelaceae), mescolate con senape o cherosene, si applicano come antisettico topico su ferite aperte, e a Nar i fiori di Potentilla fruticosa L. (Rosaceae) vengono seccati, polverizzati, mescolati ad acqua, ed applicati alle ferite
La scabbia viene trattata con applicazioni locali di decotto di Delphinium sp. (Ranunculaceae), mentre Pleurospermum hookeri CB Clarke (Apiaceae) e Lindera neesiana sono ritenuti rimedi generici per problemi della pelle.

Disturbi e dolori osteoarticolari o muscolari
La radice di Silene stracheyi Edgeworth (Caryophyllaceae) viene applicata a slogature o lussazioni dopo essere stata ridotta a pasta; lo stesso tipo di preparazione (pasta della pianta) si usa quando si applica Ajuga lupulina Maximovicz (Lamiaceae) per trattare i gonfiori muscolari. Si utilizza invece il decotto di pakchar (Caragana gerardiana Royle ex Benth o Caragana nepalensis Kitamura (Fabaceae) per trattare i dolori articolari.
In Nyeshang la radice di komse (Polygonatum cirrhifolium (Wall.) Royle (Convallariaceae/Liliaceae s.l.) viene essiccata e spezzettata, mescolata  con olio ed altre piante ed applicata a livello topico per dolori alla schiena e al petto.
Rumex nepalensis è una pianta molto importante per i problemi muscoloscheletrici. In Nyeshang la radice si mescola insieme ad altre piante in varie formule usate per applicazioni topiche in caso di slogature e fratture, dopo che la parte da trattare è stata lavata con acqua e sale. Usi simili si riscontrano anche in Nepal occidentale, zona di Karnali (slogature) e nel Nepal centrale, a Nuwakot (fratture). Nel distretto di Sindhupalchok il Rumex viene usato per dolori e gonfiori articolari. Le foglie vengono usate nei villaggi di Chaubas e Syabru e nel distretto di Palpa per ferite e gonfiori, ed il decotto della pianta intera è usato per lavare il corpo in caso di dolori e gonfiori articolari.
Nel distretto di Jumla la radice di Stellera chamaejasme L. (Thymelaceae) viene usata per gotta e articolazioni doloranti, mentre il decotto della corteccia si usa per le slogature.
Myricaria rosea, Pleurospermum hookeri CB Clarke e Clematis tibetana Kuntz (oppure Clematis buchananiana DC) sono genericamente utilizzate in caso di disturbi muscoloscheletrici.

Altri utilizzi

Rumex nepalensis e Berberis sp., si usano a livello topico per problemi oftalmici, inclusi congiuntivite, infezioni e infiammazioni; Elsholtzia sp. si usa in caso di svenimenti; Myricaria rosea, Berberis sp. e Rumex sono piante genericamenre usate in caso di infezioni. Lindera neesiana si usa anche come antidoto contro piante velenose, ed il Polygonatum cirrhifolium si usa anche come tonico per il recupero dopo una lunga malattia. La Bistorta macrophylla (D. Don) Soják, oltre ai già citati utilizzi, viene anche indicata in caso di problemi di emorragie, diabete, ittero, gonorrea e vaginite.  Aster sp. si utilizza in caso di mal di denti e dolorazione al seno, Rumex nepalensis, Elsholtzia sp. e Cotoneaster acuminatus si usano per trattare le cefalee, e la Lindera neesiana è considerata un rimedio generico per il dolore.
Le specie appartenenti al genere Berberis, e il Rumex nepalensis sono considerati antidoti contro le intossicazioni alimentari e la diarrea nei bovini, mentre la Lindera neesiana fornisce foraggio supplementare per cavalli.
Varie piante utilizzate come aromatiche o piante da incenso, sono anche usate in caso di infestazioni: Caragana gerardiana Royle ex Benth. è usata come repellente contro le infestazioni di topi, Cotoneaster affinis come repellente per insetti e pidocchi, e le foglie di Tanacetum nubigenum Wall. ex DC (che sono fonte di incenso in inverno in Nyeshang e Nar) si usano per pediculosi e per allontanare gli insetti molesti.
I rami del Cotoneaster acuminatus servono a costruire bastoni da trekking e manici di ascia, e la Stellera chamaejasme L. serve come materiale per la costruzione dei tetti.
Potentilla fruticosa e Silene stracheyi Edgeworth conengono saponine e sono usate come detergente delicato naturale.

Conclusioni
Gli obiettivi limitati della missione pilota sono stati raggiunti, ma questi consistono prevalentemente in dati iconografici, analisi della letteratura, contatti con soggetti informati sugli utilizzi delle piante medicinali e sopralluoghi dei luoghi.

Idealmente queste informazioni dovrebbero servire a facilitare ulteriori missioni con valenza più operativa e con una maggior ricaduta sulle popolazioni, ed in particolare sugli strati più svantaggiati, attraverso la mobilitazione di risorse locali da parte dei locali, e l’acquisizione di maggior confidenza e coscienza dell’importanza delle conoscenze che le popolazioni hanno della natura nella quale sono immerse.
I possibili sviluppi sono molti, alcuni di carattere più teorico altri a vocazione più pratica:
1. Analisi delle differenze tra utilizzo delle MAP da parte della popolazione locale e utilizzo nel contesto “colto ” della medicina di origine tibetana.
2. Studio delle piante alimentari “da carestia”, del limine tra piante alimentari e medicinali, in situazione di agricoltura al limite della sussistenza nel villaggio di Phoo. Analisi delle preferenze alimentari di bambini e donne, uso di piante da “spuntino”.
3. Utilizzo dei dati raccolti in letteratura sulle piante della zona per fornire un feedback alla popolazione locale (sul modello delle indagini/feedback del TRAMIL).

Qualsiasi direzione possano prendere le fasi future del progetto, esse dovrebbe fare tesoro delle esperienza già accumulate da varie ONG nepalesi nel campo dei processi di autotrasformazione, attraverso sistemi di educazione degli adulti come REFLECT e di lavoro orientato ai processi piuttosto che agli obiettivi, di educazione alla preservazione della natura e della cultura come opportunità per lo sviluppo, del rafforzamento l’identità ed originalità etnica per prevenire la disgregazione.

Non posso che citare…

Mi ero ripromesso di mantenere un rispettoso silenzio su questo blog rispetto alla vicenda Englaro, lasciando ad altri luoghi ed altre dimensioni di discussione la mia frustrazione, rabbia e indignazione. Altri hanno già discusso ampiamente di tutto questo, ma non posso esimermi dall’aderire allo spirito del post di Chiara Lalli su Bioetica, che riassume bene posizioni che condivido.

” (…) Scrivere di Eluana, in un clima tanto convulso e infetto, è una azione di estrema difesa contro questi spietati burocrati della morte. Non è solo Eluana ad essere aggredita, ma la stessa possibilità di definire il nostro Stato come liberale e laico.   (…)  Le implicazioni sono vaste e profonde, disegnano il profilo di una metastasi forse ancora difficilmente rilevabile ma inarrestabile, e che ingoia le libertà fondamentali e i diritti civili.

Tutti quelli che sono a favore della “vita” sono, in realtà, a favore della schiavitù e della sottomissione. Sarebbero almeno onesti se lo dicessero esplicitamente, senza nascondersi dietro a proclami altisonanti e ipocriti: “è condanna a morte”, “si può sempre guarire”, “i medici devono curare”, “se io fossi il padre”. Dimenticando completamente di interrogarsi sulla volontà di Eluana.
Questa nuova forma di paternalismo è viscida e odiosa, perché non ha nemmeno il coraggio di darsi il nome che le spetta”

E già che ci siamo, cito anche il post precedente di

Giornate interessanti…

Dopo tanto sforzo organizzativo, ecco la pubblicazione del programma definitivo (qui) delle due giornate di studio su piante medicinali e alimentazione per il malato oncologico, volute dal Gruppo Me.Te.C.O. dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano.

Le due giornate, indirizzate a medici e farmacisti (probabilmente valevoli per punteggio ECM, controllare qui) si terranno il 22 e 23 Aprile presso l’aula A della Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Nazionale Tumori di Milano, Via Venezian 1 – Milano.

Durante le due giornate si confronteranno presentazioni teoriche su benefici e rischi dell’assunzione di piante e derivati nel malato oncologico, e presentazioni di casi clinici, con ampio spazio per la discussione ed il confronto di esperienze. Le piante che verranno discusse in maniera monografica sono: Hypericum perforatum, Curcuma longa, Aloe vera, Calendula officinalis, Arnica montana e Viscum album.

Dalla presentazione:

“Spesso il malato oncologico fa uso di prodotti a base di piante medicinali che, per vari motivi, non viene comunicata all’oncologo medico. E’ pertanto opportuno che questo argomento venga affrontato e approfondito in modo rigoroso.
In considerazione della grande attenzione che l’Istituto Tumori di Milano ha sempre posto al malato, il 6 giugno del 1998 abbiamo costituito, all’interno dell’Istituto stesso il Gruppo di Studio pluridisciplinare sulle Medicine e Terapie Complementari in Oncologia denominato Me.Te.C.O.
Al gruppo Me.Te.C.O., vincitore del Premio Tiziano Terzani 2008 per l’Umanizzazione della Medicina, sono state attribuite due finalità principali, una culturale legata all’aggiornamento sulle terapia Complementari, l’altra clinica, allo scopo di approfondire, sul piano scientifico, alcune delle Terapie Complementari principalmente per valutarne l’efficacia nel ridurre gli effetti collaterali delel Terapie Oncologiche.
Mi auguro che tale iniziativa possa, in modo rigoroso, offrire dati e risultati utili ad una corretta pratica clinica.”
Dott. Alberto Scanni Direttore Generale

“Nell’ambito delle attività scientifiche e culturali del Gruppo di Studio Me.Te.C.O. (Medicine e Terapie Complementari in Oncologia) della Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Nazionale Tumori di Milano, in accordo con la Prof.ssa Enrica Bosisio, Centro di Studi e Ricerche sulla caratterizzazione e sicurezza d’uso di prodotti naturali “Giovanni Galli”, Università degli Studi di Milano, si terranno presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano, due giornate di studio su Fitoterapia e integrazione alimentare nel malato oncologico., Lo scopo di queste due giornate è di portare l’attenzione di farmacisti e medici, sugli aspetti relativi all’uso delle piante medicinali in campo oncologico.”
Dott. Alberto Laffranchi Coordinatore scientifico Gruppo Me.Te.C.O.


Per chi volesse dare un’occhiata senza scaricare, ecco la brochure: