Medicine colte a confronto: Cinese e Umoralista

Preambolo
Questo articolo risponde a due esigenze di chiarezza. Una, più contingente, riguarda una tendenza nell’ambito degli autori di “medicina naturale” ad un sincretismo che vorrebbe unire la più importante tradizione medica orientale (medicina cinese) e la tradizione medica greco-romana. La seconda, di carattere più generale, riguarda il discorso sulla comparabilità di sistemi diversi, distanti nel tempo e/o nello spazio (fisico e culturale), e quindi sulla linearità ed ineluttabilità (secondo alcuni) del progresso scientifico. In questo articolo cercherò di dimostrare qualcosa sul problema specifico (rapporto medicina cinese – medicina greco-romana) e di mostrare la rilevanza del caso specifico per il problema più generale.
Dati i limiti di spazio non sarà possibile esaminare in maniera esaustiva il problema, ma cercherò di dare degli spunti di riflessione e dei riferimenti grazie ai quali il lettore potrà iniziare un proprio percorso critico. Sempre per ragioni di spazio limiterò l’analisi al periodo classico, non considerando quindi la Medicina Tradizionale Cinese post rivoluzione culturale (un soggetto molto differente dalla medicina cinese classica) o il Galenismo nei suoi sviluppi e intersezioni medievali (l’apporto degli enciclopedisti islamici).

Introduzione al problema: medicina cinese e tradizione greco-romana
L’idea di sovrapponibilità dei due sistemi medici é a mio parere il risultato di un campanilismo che in fondo nega l’originalità all’uno o all’altro dei sistemi, ed obbedisce ad una idea di universalismo che si vuole naturale conseguenza di un processo unilineare della storia della scienza .

Ciò che intendo suggerire é invece che il processo scientifico non va in direzioni particolari, ed ogni cultura inizia il processo a suo modo e si sviluppa secondo le sue regole. Per questo uno studio comparativo é utile: guardare oltre ai confini culturali ci aiuta a capire quanto sia sbagliato ragionare in termini di inevitabilità.
Certamente nel caso in questione ci possono colpire alcune innegabili somiglianze tra le due civilizzazioni. Lloyd e Sivin (2002) le riassumono così:

  1. l’elaborazione di culture complesse con linguaggi e strutture concettuali astratte che possono essere usate per esplorare ogni aspetto dell’esperienza individuale e collettiva
  2. il bisogno espresso di porsi delle domande riguardo a questa esperienza
  3. la presenza di gruppi di specialisti che si sono messi alla guida del percorso di studio, acquistando autorità e prestigio, e che hanno gestito ed interpretato il sapere
  4. la convinzione che lo studio fosse necessario per capire il posto dell’uomo nello schema universale delle cose e per organizzare gli affari umani.

Ma queste somiglianze non ci devono far dimenticare che si può condividere il desiderio di conoscere ma differire grandemente sui metodi usati.
Secondo le moderne teorie del linguaggio il ruolo di una sentenza, parola o concetto dipende dalla loro posizione relativa nella rete di un linguaggio; quindi per comparare sentenze, parole o concetti che appartengono a linguaggi differenti abbiamo bisogno di comparare le reti ad essi associate.
“Una comparazione valida e feconda del passato con il presente deve iniziare con una comprensione integrale del passato nella sua concretezza, con la ricostruzione dell’intera crisi della conoscenza che un pensatore ha dovuto affrontare, e con l’interezza della sua risposta, osservata con le sua articolazioni intatte. Guardare solo alla risposta – o peggio, solo alla parte superficiale e, a nostro giudizio, moderna – rischia di portarci ad una circolarità viziosa nella comparazione finale.” (Sivin 1968).
Per comparare i due sistemi non possiamo quindi limitarci a domande superficiali come: “esiste un termine greco comparabile a Qi?” oppure, “posso comparare Elementi greci e Fasi cinesi?”, ma dobbiamo porci domande sui processi e comparare i complessi di pensiero ed attività visti nelle loro circostanze originarie: come la gente si guadagnava da vivere, le loro relazioni con le strutture di autorità, i legami tra persone appartenenti allo stesso campo di studio, i metodi che usavano per comunicare ciò che sapevano, quali concetti e presupposti usavano.
Per fare questo cercherò di comparare i problemi fondamentali della scienza greca dopo il quarto secolo DC con quelli cinesi nello stesso periodo, per poi guardare al milieu sociale e culturale nel quale i diversi pensatori erano inseriti.

Pensatori e stato
In entrambe le culture le idee sul cosmo sono profondamente “cariche di valori” e la cosmologia non é separabile dall’ambito politico e morale. Le idee sul macrocosmo riflettono e si riflettono nei microcosmi del corpo e dello stato, e si fondano su concetti di armonia e buon ordine sociale.
In una analisi lucida ed esaustiva Lloyd e Sivin (2002) propongono che la differenza qualificante tra l’idea di relazione micro-macrocosmo in Grecia e in Cina risieda nella radicale differenza dei rapporti tra pensatori e autorità.
La Cina é stata caratterizzata da una tradizione ininterrotta di Impero centralizzato, che richiedeva, per la sua sopravvivenza, un consenso totale. I filosofi venivano incaricati dai governanti di costruire
una relazione tra stato e microcosmo, e per la stessa ragione i filosofi si aspettavano appoggio e sostentamento dal sovrano, che era dunque l’unico interlocutore. Questa situazione riduceva di molto l’interesse e la vis polemica dei dibattiti.
In questo ambito la cosmologia dominante era quella di una unità senza contrapposizioni interne, nella quale la discussione era limitata e l’autorità del passato non veniva mai posta in discussione. I governanti impersonavano la relazione tra micro e macrocosmo, e i filosofi erano inevitabilmente inseriti nel sistema politico. I pensatori non cercavano, come,e lo vedremo più avanti, facevano invece i pensatori in Grecia, un approccio che portasse passo passo verso una realtà oggettiva, ma piuttosto un recupero di ciò che i saggi antichi già conoscevano. Ciò si rifletteva nella tendenza dei filosofi cinesi a non creare nuovi termini, bensì ad utilizzare la terminologia già esistente piegandola a nuovi utilizzi, mantenendo così una linea di continuità ed una unità.

La situazione in Grecia non potrebbe essere stata più differente: le forme di governo erano diverse e meno stabili, non esisteva un ideale unico e condiviso, una unità di consenso. Mentre i governanti erano poco rilevanti per la formazione di idee cosmologiche, i filosofi, sganciati dalla politica, non dovevano convincere i regnanti né lavorare nel senso di una cosmologia che contemporaneamente giustificasse e limitasse l’autorità del sovrano. L’ambito era invece quello dei dibatti con i rivali. Dato che erano liberi da vincoli politici, dipendevano dalla loro capacità retorica per sopravvivere; allo stesso tempo erano molto poco condizionati dalle ragioni della politica. L’arena filosofica greca era ricca di dibattiti, in alcuni casi molto accesi ed argomentati; dispute e disaccordi, più che il consenso, caratterizzavano il mondo Greco.
A differenza della Cina, in Grecia ogni pensatore coinvolto in una disputa tendeva a creare il proprio set di termini che lo differenziassero dal suo oppositore e rendessero la sua teoria facilmente identificabile.
Quindi le differenze nel rapporto tra pensatori e stato si riflettevano anche nella creazione di concetti e negli approcci delle due culture nei confronti della realtà, dell’ontologia e delle strategie di pensiero.
E’ soltanto esaminando le relazioni tra corpo, cosmo, stato ed il ruolo del filosofo che possiamo offrire una immagine unitaria di una cultura e del suo modus operandi piuttosto che della sua opus operata.

Corpo
Si potrebbe dire, un po’ provocatoriamente, che non importa quanto simili sembrino certe strategie rivolte al corpo; se non condividiamo lo stesso corpo, queste somiglianze hanno poca importanza. Ora, se é vero che i nostri corpi sono innati per noi quanto noi lo siamo ai nostri corpi, ciò non significa che essi siano “naturali”, distanziati come sono da noi da una molteplicità di codici psicologici, sessuali, sociali e politici. Questa codifica sistematica dei corpi significa che essi sono contemporaneamente il prodotto e l’origine dell’esperienza.
E’ quindi rilevante per il nostro discorso analizzare i differenti modi nei quali il corpo é stato ‘costruito’ in Cina e in Grecia. In entrambi i sistemi é presente la correlazione tra corpo (microcosmo) e macrocosmo, ma queste correlazioni si sono create con modalità differenti.
Il corpo descritto da Aristotele é un modello del macrocosmo, perché la stessa tecnica di ricerca della verità può essere applicata ad entrambi, ed il corpo può funzionare come una mappa . Il corpo dei cinesi é invece l’universo in miniatura, non una copia, ed é allo stesso tempo uno specchio dell’ordine sociale; infatti la simbologia usata nel dialogo dell’Imperatore Giallo con il suo consigliere é la stessa usata per descrivere l’Impero.
Il sistema viene descritto in termini di uffici nella burocrazia centrale del corpo, non in termini anatomici. Gli organi sono, all’opposto che in Grecia, meri correlati del sistema di funzioni.
Anche nel caso della medicina, il corpo viene costruito in maniere completamente diverse. I limiti del corpo sono differenti, per cui anche la “semplice” traduzione di termini diviene problematica. Per tradurre il termine greco per corpo – sarkos – un termine che denota chiaramente il fisico, ci troviamo di fronte a quattro termini: shen, t’i, ch’u e hsing. Di questi i primi tre hanno una denotazione più ampia (denotano o implicano il concetto di personalità o persona), mentre il quarto, hsing (=forma) veniva raramente impiegato. Secondo Sivin (1995) il corpo cinese é “composto soprattutto da ossa e carne vagamente definita e attraversata da tratti circolatori” ; questi tratti collegano degli “insiemi di funzioni”, i cosiddetti organi, per cui si può dire, con Unshuld (1993) che la patologia cinese é funzionale.
Come si legge sul Classico dell’Imperatore Giallo: “Il soggetto del discorso…é il flusso libero ed il movimento centrifugo e centripeto del Qi divino (shen qi). Non sono pelle, carne, tendini ed ossa.” (Larre, Rochat de La Vallée 1994). L’etica buddista, colla sua idea di sacralità del corpo, ad un certo punto si innesta sulla filosofia confuciana e contribuisce a rendere il corpo cinese un tutto indiviso, per studiare il quale il medico deve osservare le funzioni, l’equilibrio delle sostanze. Un corpo dissezionato non é di alcun interesse per il terapeuta, ed é significativo che in medicina cinese la immagine tipica usata per descrivere la morte imminente sia quella di una separazione tra yin e yang.

Il corpo della medicina galenica é invece aperto e dissezionato. Esso é costituito da strutture, tessuti, organi e umori. Le patologia derivano da un disequilibrio negli umori fisici, che possono essere drenati da vasi osservabili. E tutta la teoria medica é in effetti basata su questa osservabilità. Queste strutture servono come strumenti di categorizzazione, e sopra di esse viene costruita una logica, una tassonomia della realtà; la frammentazione del corpo ci dà i mezzi per conoscere la natura, per svelare la verità. l’anatomia, per Galeno, é coestesa con le possibili modalità della ragione scientifica. In effetti, la dissezione diviene una necessità così cogente che Galeno non può neppure immaginare l’esistenza di una medicina che non vi faccia ricorso.

Apparenza e realtà
In Grecia, Nello sviluppo teorico da Parmenide ad Aristotele, si osserva una progressiva “neutralizzazione” della sacralità, per cui si passa dalla verità divina alla verità autorivelantesi. Questa nuova concezione di verità viene definita da Vegetti (1979) come non-latenza (aletheia). Essa deve essere individuata attraverso processi logici che eliminino le inadeguatezze del discorso poetico e religioso e lascino che la luce della verità emerga da sola.
Per i naturalisti greci vi é quindi una realtà (ousia) “sottostante”, nascosta, che ha a che vedere con la natura essenziale delle cose e che si contrappone alle cose come “appaiono” (phainetai) cioè le apparenze. Questa realtà può essere rivelata grazie al metodo assiomatico-deduttivo, derivato anch’esso dalla pratica legale e che non ha riscontri in Cina.
In Cina questa dicotomia non si pone almeno fino al terzo secolo DC con l’introduzione della metafisica indiana (ma anche in questo caso si parla di realtà spirituale e non fisica, vedi Zürcher 1980). Questa differenza si rivela anche nella diversa concezione di ‘esperto’: se in Grecia esso é colui che riesce ad utilizzare il metodo logico per ‘svelare’ la realtà, in Cina essere esperti significa essere degli iniziati, cioè potersi ricondurre a saggi antichi in possesso del sapere, grazie ad una linea di trasmissione testuale ininterrotta.

Cause
Dipingere una contrapposizione assoluta Grecia/Cina, con i greci interessati alle cause e i cinesi alle correlazioni, sarebbe semplicistico. I primi si mostrarono interessati alle corrispondenze (vedi la tavola pitagorica degli opposti) e i secondi studiarono il concetto di causa nel campo della diagnosi medica e in politica. Ma se si esclude la breve parentesi dei logici Mohisti, la letteratura cinese del periodo classico non fa accenni specifici alla causalità, mentre per i Greci essa diviene un problema fondamentale.
In Grecia infatti la questione delle cause é di grande importanza, e viene mutuata dal discorso legale sulle responsabilità. Essa viene però spersonalizzata: la spiegazione causale identifica ancora ciò che è responsabile degli effetti osservati, ma non si tratta più di responsabilità umane o divine, come nel discorso legale, ma di proprietà intrinseche delle cose.
Se la logica rende possibile l’espressione del vero discorso, l’anatomia rende possibile la categorizzazione razionale della Natura; la medicina che si basa sull’anatomia permette la vera conoscenza della salute e della malattia. Non é un caso che Galeno e l’autore ippocratico di ‘Della Medicina Antica’ tentino di modellare la medicina sulle scienze esatte, con metodi di prova certi ed esatti in puro stile geometrico.

L’unità delle corrispondenze
Se comparate al processo di razionalizzazione aristotelico, le concettualizzazioni cinesi appaiono molto differenti. Due tra le differenze più evidenti risiedono nella concezione unitaria del cosmo cinese, notata da vari autori (Granet 1987; Sivin 1995; Kwok 1993; Ng 1993), e nell’assenza dei classici concetti di causalità. Secondo Granet queste differenze sono dovute a divergenze fondamentali nei concetti di tempo e spazio. La temporalità logicamente strutturata di Aristotele descrive un tempo scandito, frammentato, mentre la temporalità socialmente costruita dei cinesi é più simile ad una idea empedoclea di un tutto immutabile ma dinamico, dove gli eventi che appartengono alla stessa categoria sono interconnessi, a prescindere dalla loro posizione temporale. L’idea dominante nella filosofia cinese, specialmente nel periodo post neo-confuciano, é quella di un “monismo dinamico” (Kwok 1993), dove il concetto di Ho – termine che implica “la capacità di contenere e accomodare tutti i tipi di eventi logici, qualsiasi sia la loro definizione temporale o spaziale” – é più importante del concetto di T’ung, termine che implica “logicalità”, “identificazione e identificabili” e “classificare”. Mentre i greci tentano di ridurre la Natura alle sostanze individuali o agli elementi, per i cinesi “era importante l’universo inteso come trama o pattern (wen)”.

La stessa idea di “concetto”, una entità in qualche modo astratta dalla realtà ma applicabile ad essa, é distante dalla filosofia cinese. “Niente ci invita a vedere nello Yin e nello Yang sostanze, forze o principi: sono solo emblemi animati da una forza evocativa che é indefinita, o meglio, totale” (Granet 1987).

Natura
Quindi per i Greci la natura (phisis) si identifica con il dominio sul quale filosofi e medici dichiarano di essere in grado di dare spiegazioni fisiche, che non chiamano in causa il divino. Abbiamo visto come l’introduzione di questo concetto non sia solo il risultato di una fredda analisi intellettuale, ma anche del tentativo di sconfiggere i propri rivali nel dibattito e di acquisire prestigio e soldi. Gli elementi (stoicheia) diventano uno strumento teorico e retorico importante perché danno delle fondamenta sicure per le teorizzazioni naturalistiche, e per questa ragione sono enti puramente materiali (a differenza del pneuma dei Presocratici e degli Stoici che é forse il concetto greco più vicino a quello di Qi, perché é contemporaneamente materiale e vitale – vedi Sambursky 1959).
Troviamo dei corrispettivi di natura ed elementi in Cina? I maggiori sospetti ricadono naturalmente sui concetti di Qi, Ying-Yang, e wu-hsing (le cd. Cinque fasi). Diciamo subito che questi concetti non diventano parte di un sistema organico ed integrato se non dopo il 300 AC. Tra il terzo e il secondo secolo AC essi iniziano ad essere usati insieme secondo una dottrina cosmologica matura, per ragioni in parte arbitrarie ed in parte utilitaristiche. Il Qi é un concetto abbastanza vasto e di grande applicabilità, yin-yang rappresenta una categorizzazione in base due molto adattabile come pure le wu-hsing. Con il primo secolo AC yin-yang e wu-hsing divengono vere e proprie categorie del Qi, usate per declinarlo; esso stesso viene ad essere definito in maniera più chiara: materia, materia trasformativa, materia di qualche tipo che incorpora vitalità (a differenza degli elementi greci che sono solo materiali). Non esiste una controparte cinese al termine phisis (inteso come universo fisico e materiale) almeno fino al 1881, quando i cinesi presero a prestito questo significato dai giapponesi. I cinesi non sentono il bisogno di un concetto puramente fisico, ed utilizzano il complesso qi, yin-yang e wu-hsing ad un livello di astrazione maggiore: il tao.

Conclusioni
Come scrive Sivin (1968) “la tradizione cinese é certamente scienza, secondo qualsiasi definizione che non sia completamente campanilistica, ma eccetto che a quel livello che la rende scienza, i suoi obiettivi divergono in maniera così costante dai nostri che qualsiasi similitudine diventa gratuita”.

Concetti come quello dei quattro elementi, la teoria della crasis – o complessione –  e dei quattro umori, l’incorporazione dei semplici nella teoria della qualità primarie e dell’equilibrio della complessione, l’idea della malattia come mala complexio e molte altre caratteristiche della medicina galenica hanno affascinato molti autori proprio a causa della apparente somiglianza con concetti cinesi. In effetti penso sia un argomento valido quello che pone la patologia dei “vasi” cinesi come controparte della patologia umorale greco-romana, visto anche che in entrambi i sistemi la malattia viene vista come un disequilibrio. Inoltre é vero che in entrambi i sistemi manca la nozione di una cesura radicale tra corpo e spirito, ed entrambi appaiono di natura allopatica.
Ciononostante, quando esaminiamo i sistemi nella loro interezza, nel loro decorso e non solo nelle immagini finali che ci offrono, ci colpiscono soprattutto le grandi differenze che ho tentato di descrivere nell’articolo: il diverso rapporto tra pensatori e stato dal quale poi discendono buona parte delle differenze nella creazione di concetti e terminologie. Da un lato l’attenzione dei greci per le dimostrazioni incontrovertibili, i fondamenti del sapere, la chiarezza ed il rigore deduttivo, che si accompagna alla scarsa attenzione per il consenso, uno scetticismo radicale e un favore per l’analisi. Dall’altra pare l’attenzione dei cinesi per le corrispondenze, le risonanze e le interconnessioni, la capacità di sintesi e la trasversalità tra campi di sapere divergenti, con una forte riluttanza verso il radicalismo e la critica delleposizioni dell’establishment. E poi il diverso peso dato ai concetti di causa/causalità e natura come ente fisico analizzabile; la mancanza della dicotomia apperenza/realtà in Cina; infine la diversa “costruzione” del corpo e la diversa natura dei concetti che così spesso usiamo come unico metro di paragone e che sono invece solo il risultato finale di un processo: elementi, phisis, yin-yang, qi, wu-hsing.

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