Il suino in casa – 3

Oops, quasi mi ero dimenticato dei post suini, ecco quindi l’ultimo il penultimo della serie, per parlare di altre strategie (sempre vegetali) di gestione delle infezioni virali, a parte gli olii essenziali di cui si è già parlato qui e qui.

Se, come è stato detto, la strategia direttamente virucida è interessante dal punto di vista teorico ma poco praticabile in pratica, almeno per adesso, quali altre strategie abbiamo a nostra disposizione?

Per capirlo bisogna dare un’occhiata ai fattori facilitanti le infezioni per capire se possiamo modificarli. Schematizzando grandemente individuerei i seguenti punti:

  • Fattori ambientali come clima freddo, correnti d’aria improvvise ed ambienti eccessivamente riscaldati e non adeguatamente umidificati, che, attraverso un’azione riflessa del SNA (raffreddamento mani e piedi ad esempio), riducono il flusso ematico alle mucose, causano ischemia e una riduzione nella concentrazione di anticorpi e un raffreddamento delle mucose.  Questi  fattori  portano ad una temporanea riduzione dell’immunità e ad una facilitazione nella riproduzione di virus e batteri.
  • Condizioni generali del sistema respiratorio. Possibile danneggiamento e guarigione incompleta dei tessuti a causa di molteplici infezioni ed infiammazioni respiratorie
  • Trattamento antibiotico cronico e/o eccessivo, con danneggiamento della flora batterica intestinale e del sistema linfatico intestinale
  • Vita sedentaria e mancanza d’esercizio, particolarmente nei bambini iperprotetti dal freddo.

L’intervento su questi fattori é di primaria importanza in ogni approccio naturale alle infezioni, e contribuisce a limitarne la ricorrenza.  I questi casi una prescrizione automatica di un immunomodulante come l’Echinacea non e più intelligente della prescrizione di antibiotici, solo meno dannosa.  E’ inutile utilizzare immunostimolanti se prima non si e lavorato sulle condizioni più generali di salute.

Una volta presisi cura di questo aspetto, vi sono naturalmente molte piante che possono essere di grande aiuto.

Trattamento fitoterapico

Nello specifico, nel combattere un’infezione virale cercheremo le seguenti attività:

  • Immunomodulazione
  • Attività antivirale in senso lato
  • Azione troporestorativa sui tessuti interessati all’infezione
  • Miglioramento del metabolismo epatico e generale per sostenere l’organismo
  • Applicazioni topiche virucide, antinfiammatorie, analgesiche e antipruriginose.

Piante immunomodulanti

Piante che sono genericamente stimolanti per la risposta immunitaria, o usate tradizionalmente per la profilassi delle infezioni croniche.

  • Andrographis paniculata
  • Picrorrhiza kurroa
  • Echinacea spp
  • Allium sativum
  • Astragalus membranaceus
  • Eleutherococcus senticosus
  • Grifola frondosa
  • Ganoderma lucidum
  • Lentinus edodes
  • Andrographis paniculata

Piante che lavorano al livello dei recettori Toll-like (TLR)
E’ nozione generale che il sistema immunitario naturale non possa operare in maniera discriminativa ma affronti le infezioni in maniera generica o non specifica, attraverso la fagocitosi, l’espressione di citochine e la chemiotassi, e che per una risposta sistemica fosse necessario il coinvolgimento del dei leucociti B e T.  Ma le ricerche degli ultimi anni hanno mostrato che anche questo comparto possiede alcune proprietà discriminative.

La scoperta dei recettori Toll-Like (TLR) nelle membrane e nelle membrane cellulare di macrofagi e cellule dendritiche ha mostrato che essi possono mediare risposte sistemiche, riconoscendo caratteristiche specifiche di batteri, virus e funghi. Essi sembrano emergere come degli snodi importanti per l’attività immunomodulante e proinfiammatoria; dieci membri di questa classe di recettori sono stati riscontrati negli esseri umani.

Nei mammiferi questi recettori svolgono un ruolo fondamentale nel riconoscimento di composti virali, micotici e batterici (Takeda et al. 2003; Seya et al 2006), che funziona come percorso per l’attivazione di risposte sistemiche, che prima si pensavano essere limitate al sistema immunitario specifico. E’ un sitema estremamente antico e conservato in molte linee evolutive, che una volta attivato, facilita il rilascio e la traslocazione nucleare del fattore nucleare NF-kB, che a sua volta causa una secrezione di citochine proinfiammatorie ed immunomodulanti (Oshiumi et al. 2003; Cooper 2006).

Sembra che alcune componenti delle piante medicinali (polisaccaridi) possano scatenare l’espressione di alcuni TLR ed iniziare una risposta di immunosorveglianza (Cooper 2006). Le piante a polisaccaridi che hanno mostrato attività sui TLR sono:  Astragalus membranaceus (Shao et al; 2004b), Ganoderma lucidum (Shao et al, 2004a), Panax ginseng (Nakaya; Pugh)  Panax quinquefolius (Pugh), Echinacea angustifolia e purpurea (Pugh), Eleutherococcus senticosus (Han), Platycodon grandiflorum (Yoon) e forse Spirulina (Balachandran et al. 2006).  Dato che i polisaccaridi sono insolubili in alcol, è necessario assumere queste piante in forma di polvere, infuso o decotto.

Piante che modificano l’equilibrio Th-1/Th-2
Molto si è sentito parlare negli ultimi anni dell’equilibrio tra linfociti T helper tipo 1 e tipo 2 nella genesi di problematiche autoimmuni, allergiche o in problemi di ridotta efficienza antivirale del sistema immunitario.
I linfociti Th (CD4+) sono responsabili dell’attivazione e facilitazione della risposta immunitaria cellulare ed umorale. In particolare sembra che il Th1 tenda a favorire la Immunità cellulo mediata, proinfiammatoria, mediante l’espressione di IL-2 e INF-gamma, mentre il Th2  stimola la Immunità umorale (linfociti B) tramite l’espressione di IL-4 e IL-5.

Uno sbilanciamento verso uno o l’altro polo d’attivazione potrebbe essere alla base di vari disturbi.  Ad esempio uno sbilanciamento a favore del comparto Th2, il sistema immunitario, in risposta ad una infezione virale, produce molti anticorpi ed è estremamente reattivo, ma al contempo produce poche risposte cellulomediate e quindi non riesce a gestire i virus verso cui si è allertato.

Questo può portare ad episodi d’allergia o reazione immunitaria esagerata, ed anche alla non completa risoluzione dell’infezione virale.
Sempre in via teorica, quindi, piante che fossero in grado di riportare l’equilibrio verso Th-1 potrebbero essere utili in caso di problemi virali.  Alcune di queste piante sono:

  • Allium sativum
  • Astragalus membranaceus
  • Ganoderma lucidum
  • Grifola frondosa
  • Panax ginseng

NB: Le Echinacea spp. potrebbero essere controindicate in caso di dominanza Th2, perchè aumentando rapidamente il numero di linfociti T circolanti potrebbe aggravare un preesistente disequilibrio verso Th2 (ma questa è una considerazione solo teorica).

Materia Medica Immunomodulante

1. Panax quinquefolium (Araliaceae)

Studi clinici: in alcuni studi clinici controllati il Panax quinquefolium ha ridotto l’incidenza, durata e severità di raffreddore e influenza in soggetti sani e malati. Uno studio di 4 mesi su 323 soggetti (età 18-65) ha testato 400 mg (in due dosi) di estratto di P. quinquefolium standardizzato all’80% di poli-furanosil-piranosil-saccaridi contro il placebo. Nel gruppo verum il numero di episodi di raffreddore riportati è calato del 9.2%, il rischio di contrarre un raffreddore si è ridotto del 12.8%, rispetto al gruppo placebo; inoltre la severità dei sintomi e la loro durata sono calati rispettivamente del 31% e del 34.5% rispetto al gruppo placebo (Predy et al. 2005).

In un secondo studio sono stati testati 43 anziani, con la stessa posologia (ma con estratto standardizzato differente), e per la stesso lasso di tempo. Dopo un mese tutti i soggetti hanno ricevuto il vaccino antinfluenzale. Per i primi due  mesi non sono state notate divergenze tra i due gruppi, mentre negli ultimi due mesi solo il 32% dei soggetti del gruppo verum (rispetto al 62% del gruppo placebo) ha riportato una infezione del tratto respiratorio, ed anche la durata dei sintomi è risultata più bassa (5.6 giorni contro 12.6 nel gruppo placebo) (McElhaney et al. 2006).

2. Andrographis paniculata (Burm. f.) Nees. (Acanthaceae)

Un tonico amaro con interessanti attività immunostimolanti, antipiretiche e antiinfiammatorie, con attività confermata su infezioni batteriche e virali respiratorie, enteriche e urinarie. Classificata come pianta fredda, quindi preferibile utilizzarla in caso di soggetti di costituzione calda o nelle fasi infiammatorie delle infezioni. Sconsigliata in condizioni ‘fredde’, come nel caso di una costituzione fredda oppure nel caso di ‘freddo’ di origine esterna come è spesso il caso nei primi stadi infettivi.

Farmacologia: stimola risposta immunitaria antigene specifica e non antigene specifica in modelli sperimentali, stimola la fagocitosi in vitro e in modelli animali (endovena) (Farnsworth, Bunyapraphatsara 1992; Kapoor, 1990).

Studi clinici
Immunostimolante in studi non controllati di infezioni respiratorie batteriche e virali.  In uno studio controllato in doppio cieco e randomizzato, un estratto somministrato a bambini sani per tre mesi nella stagione invernale ha diminuito in maniera significativa  l’incidenza e la severità dei sintomi del raffreddore (Bone e Mills 2000).

Una combinazione con Eleutherococcus senticosus (Andrographis (88.8 mg) + Eleutherococcus (10.0 mg) tre volte al giorno per 3-5 giorni) è risultata efficace in uno studio cinico contro antivirali classici, su 540 soggetti con influenza. Il 30.1% dei soggetti nel gruppo verum hanno sviluppato complicanze rispetto al 67.8% del gruppo placebo, e la durata dei sintomi è stata minore nel gruppo verum (Kulichenko et al. 2003).

Dosaggio: dose giornaliera pari o equivalente a 1,5-3 gr. di pianta secca, in grado di apportare 20-40 mg di andrografolide. Ovvero 15-30 ml di TM, o 400-600 mg ES (5:1) standardizzato al 6-10% di andrografolide.

3. Echinacea angustifolia DC; E. purpurea (L.) Moench (Asteraceae)


Farmacologia: (Barret et al 1999; Bone & Mills 2000; Bergner 1997; Wagner 1997
L’estratto di E. angustifolia ha mostrato, in vitro: aumento fagocitosi degli eritrociti e dei granulociti; aumento della funzione immunitaria cellulare delle cellule mononucleate in soggetti normali e immunocompromessi.

Ciò che rende interessante la pianta è che sembrerebbe poter stimolare l’attività delle cellule NK e dei monociti, le cellule che costituiscono la prima linea di difesa dell’organismo. Questa potenzialità risulterebbe da una doppia azione: la pianta e le alchilamidi inibiscono COX e 5-LOX, riducendo i fenomeni infiammatori, ed in particolare riducendo (agendo su 5-LOX) i livelli della PGE2, una prostaglandina che sopprime l’attività delle cellule NK. Inoltre la pianta, i polisaccaridi (arabinogalattano) e le alchilamidi, stimolano in maniera non specifica i fagociti/monociti, con aumento della secrezione di beta interferone, TNF alfa e IL 1, tutte sostanze che stimolano le cellule NK, e l’attività antivirale.

Le ricerche recenti sul ruolo delle alchilamidi nell’attività immunomodulanti della pianta hanno rivelato una interessante interazione di alcune di esse con i recettori cannabinoidi. In particolare sembra che tramite l’interazione con il recettore CB2 le alchilammidi modulino l’espressione di TNF-alfa in monociti e macrofagi, e di IL-6. Ci sarebbe inoltre un effetto sulla espressione di IL-8 non mediato da CB2. Questa catena di azioni porterebbe ad un effetto analgesico, antitumorale ed antinfiammatorio.

Uno studio molto recente ed estremamente interessante è la review della Miller (2005) sugli studi del suo team su modelli murinici. Pur basato su ricerca su modelli animali, l’articolo è estremamente significativo: l’Echinacea è stata somministrata a dosaggi paragonabili a quelli umani (dosi pari a 1.3 gr di radice essiccata per un soggetto di 70 Kg) e per via orale. I risultati indicano che Echinacea sembra in grado di: stimolare la proliferazione delle cellule NK e dei monociti nel midollo di topi giovani e sani; stimolare la stessa proliferazione in caso di topi vecchi e sani, e soprattutto di riportare queste cellule  alla loro originaria funzionalità (persa nei topi a causa dell’età), attività questa non riscontrata in altri composti stimolanti le NK (indometacina e IL-2).

In nessun caso echinacea ha stimolato la proliferazione di altri comparti immunitari. Lo stesso studio mostra come questi effetti siano legati all’utilizzo della pianta in toto, piuttosto che a singole molecole isolate. Ancora più interessante il fatto che l’assunzione cronica della pianta non solo non ha mostrato di essere di detrimento, ma anzi ha mostrato un continuo effetto di profilassi. La stessa dose di echinacea orale, usata su topi leucemici ha mostrato un raddoppio del numero di cellule NK ed un aumento statisticamente significativo della sopravvivenza.

Una scoperta ancora più recente getta una luce del tutto nuova sull’echinacea ma anche su molte altre piante. Quattro studi molto recenti (Pugh et al. 2005; El-Obeid et al. 2006a; El-Obeid et al. 2006b; Sava, et al. 2001) si sono concentrati sulla melanina di origine vegetale, isolandola da Nigella sativa, Camellia sinensis, Echinacea spp., Medicago sativa ed altre piante. Secondo gli autori, la melanina sarebbe un composto particolarmente importante per l’attività immunomodulante ed antiossidante.

Questa, se confermata, sarebbe una scoperta sorprendente, dato che fino ad oggi la melanina non è mai stata considerata importante dal punto di vista farmacologica, è poco e male caratterizzata, non è un metabolita secondario, si sa poco su quali siano le migliori modalità di estrazione, e la possibilità che si creino degli artefatti sperimentali è elevata (Sava, et al. 2001).

Secondo (Pugh et al. 2005) la melanina da Echinacea e da Medicago sativa sarebbe differente dalle altre melanine vegetali, sarebbe più efficace come immunomodulante (con aumento di gamma-interferone dalla milza e di IgA ed IL-6 dalle placche di Peyer, e agirebbe tramite l’attivazione di NF-kB nei monociti attraverso un recettore Toll-like (TLR 2) (Pugh et al. 2005) o forse altri recettori. Anche gli altri studi hanno riscontrati ììo una azione a livello dei recettori Toll-Like, secondo (El-Obeid, et al. 2006a) il recettore influenzato dalla melanina da Nigella sativa sarebbe TLR4, ed essa indurrebbe l’espressione di TNF-alfa, IL-6 e VEGF dai monociti (El-Obeid, et al. 2006b).

Quale che sia la reale portata di questi studi, se la melanina vegetale è veramente importante per la immunomodulazione, è certo che essa non è presente nella maggior parte dei supplementi da estrazione, e che solo la polvere della pianta potrebbe essere usata a scopo terapeutico (la melanina sembra insolubile sotto un pH di 10).

Da questi due studi si possono estrapolare due interessanti indicazioni cliniche: la prima è che la supplementazione a lungo termine di echinacea è probabilmente di beneficio, non sopprime il sistema immunitario e migliora la funzionalità delle cellule del sistema immunitario non specifico, migliorando lo screening antitumorale. La seconda è che la pianta intera sia più efficace degli estratti o delle molecole isolate. I dosaggi di echinacea radice secca vanno da 1.5 a 3 gr per giorno, anche se il dosaggio utilizzato in Miller 2005 era vicino al termine inferiore.

Studi clinici
Una metanalisi ha valutato nove studi di trattamento e quattro studi di prevenzione, tutti controllati e randomizzati, in doppio cieco, delle malattie infettive dell’alto tratto respiratorio, e tutti, a parte uno degli studi di trattamento, hanno mostrato evidenza positiva e significativa, con  riduzione della durata della sindrome influenzale e della severità dei sintomi in pazienti già ammalati, e  riduzione della frequenza di ricorrenze di infezioni, specialmente in pazienti con particolare tendenza.

Dopo questa metanalisi, e fino al 2001, sono stati pubblicati altri 6 studi, 4 dei quali randomizzati controllati in doppio cieco. Tre dei quattro studi controllati hanno dato esito positivo, e l’unico a non avere mostrato differenze significative con il placebo ha usato estratti di bassa qualità.

Studio clinico randomizzato in doppio cieco su 48 donne per 4 settimane, con Echinacea e arabinogalattani da Larice (Kim et al. 2002); i livelli di properidina (una componente del sistema alternativo del complemento, un marker dell’arttivazione immunitaria) sono aumentati del 21% (Echinacea angustifolia ed E. purpurea) e del 18% (E. angustifolia, E. purpurea e arabinogalattani) rispetto al placebo.

Studio clinico randomizzato in doppio cieco su 282 adulti che hanno assunto  un estratto di Echinacea spp. (standardizzazione e posologia: 2.5 mg alcamidi, 25 mg acido cicorico e  250 mg polisaccaridi il primo giorno; 1 mg alcamidi, 10 mg ac. cicorico, 100 mg polisaccaridi al giorno per i seguenti 7 giorni). La severità dei sintomi è calata del 23.1% rispetto al placebo (Goel et al. 2004).

In uno studio clinico correlato al precedente su 150 pazienti con la stessa formulazione (posologia:  2 mg alcamidi, 20 mg ac. cicorico, 200 mg polisaccaridi il primo giorno; 0.75 mg alcamidi, 7.5 mg ac. cicorico e 75 mg polisaccaridi al giorno per i seguenti 7 giorni). Il gruppo verum ha mostrato una riduzione dei sintomi ed un aumento nel numero di leucociti totali, di monociti, neutrofili, e cellule NK (Goel et al 2005).

In uno studio clinico seguente, 80 soggetti hanno assunto un estratto di E. purpurea dall’inizio del raffreddore fino alla scomparsa dei sintomi. La mediana della durata del raffreddore è risultato di 6 giorni rispetto ai 9 giorni nel gruppo placebo (Schulten et al. 2001).

Altri studi hanno riportato l’assenza di miglioramenti statisticamente significativi in caso di raffreddore (Grimm, Muller 1999; Turner et al. 2005; Schwarz et al. 2005; Yale, Liu 2004).

In uno studio clinico randomizzato in doppio cieco, sono state somministrate a 148 studenti capsule da 1 gr contenenti polvere di E. purpurea herba (25%) e radix (25%) e E. angustifolia radix (50%) o placebo, sei volte al giorno il primo giorno di raffreddore e tre volte al giorno per un massimo di 10 giorni.  Nessuna differenza significativa tra gruppo verum e placebo (Barret et al. 2002).

In uno studio clinico seguente 128 adulti hanno ingerito 100 mg di E. purpurea o placebo tre volte al giorno fino alla scomparsa dei sintomi del raffreddore (max 14 giorni); nessuna differenza statistica osservata (Yale, Liu 2004).

L’echinacea stimola la fagocitosi, l’attività delle cellule NK, il numero di linfociti T, il complemento e l’espressione di qualche mediatore. La sua azione normalizzante sull’immunità cellulo-mediata è meno sicura.  Ha una chiara attività immunostimolante se assunto ai primi sintomi e per tutta la durata dell’infezione. Nonostante l’utilizzo come terapia di profilassi sia meno supportato dai dati clinici, è utilizzabile nella profilassi a breve termine (2-4 settimane).

Dosaggio: dose giornaliera pari o equivalente a 1,5-3 gr. di pianta secca, in grado di apportare 10-15 mg di alchilammidi.  Ovvero 15-30 ml di TM, o 500 -1000 mg di ES (4:1) standardizzato rispetto alle alchilammidi. La standardizzazione ad echinacosidi è utile solo ai sensi della prevenzione delle adulterazioni, ma non ha alcun significato in termini di efficacia.  Per assicurare la non adulterazione dell’E. angustifolia bisognerebbe richiedere la garanzia di assenza di acido cicorico.

4. Astragalus membranaceus (Fisch. Ex Link) Bge. (Fabaceae)


Farmacologia: la pianta contiene polisaccaridi, flavonoidi, minerali ed amminoacidi. L’Astragalo in vitro aumenta la citotossicità delle natural killer cells e riduce la soppressione dei macrofagi, stimola l’attività fagocitica, la produzione di anticorpi ed  interleuchina 2.

Somministrato per via orale ad animali aumenta il numero e la funzionalità dei macrofagi e la loro attività fagocitaria, protegge contro le infezioni da virus (parainfluenza virus tipo I, Newcastle virus, coxsackie B2 e B3 virus, Hep B), aumentando la sopravvivenza del 30-40%, molto probabilmente non per una azione diretta ma per l’azione immunostimolante e di stimolazione di produzione di interferone (Brush et al. 2006). Aumenta la risposta dell’interferone alle infezioni virali (Bone e Mills 2000; Bone, 1998; Chang, But 1987).

Studi clinici
Un decotto di Astragalo aumenta la concentrazione di IgM, IgE e cAMP e l’induzione di interferone (INF) da parte dei leucociti periferici. In soggetti predisposti al raffreddore aumenta la concentrazione di IgA e IgG dopo 60 giorni (Bone e Mills 2000; Bone, 1998; Chang, But 1987)

In uno studio aperto su soggetti proni al raffreddore il trattamento è risultato profilattico per il raffreddore, con grande riduzione delle recidive. In uno studio clinico aperto randomizzato su pazienti con leucopenia si è dimostrato un aumento del numero dei leucociti (Bone e Mills 2000; Bone, 1998; Chang, But 1987)

In un piccolo studio clinico controllato con placebo in doppio cieco sono stati comparati Echinacea purpurea, Astragalus membranaceus, Glycyrrhiza glabra, una combinazione delle tre piante e il placebo. L’Astragalus ha causato l’attivazione e la proliferazione più potente, in particolare dei CD8 e CD4 (Brush et al 2006)

L’Astragalo trova la sua applicazione ideale nella profilassi delle infezioni, nei primi giorni di infezione, nelle infezioni virali croniche con debilitazione e sudorazione spontanea, ma deve essere abbandonato durante gli episodi di infezione acuta.

Dosaggio: dose giornaliera pari o equivalente a 2-4,5 gr di pianta secca. Ovvero 20-40 ml di TM, o 400-900 mg ES (5:1).

5. Eleutherococcus senticosus (Rupr. & Maxim.) Maxim. (Araliaceae)


Farmacologia: l’estratto ha aumentato del 30-45% la fagocitosi in vitro di Candida albicans da parte di granulociti e monociti di donatori sani. Il pre-trattamento con estratto di eleuterococco aumenta la resistenza di modelli animali alle infezioni batteriche e virali.
In uno studio in doppio cieco randomizzato l’eleuterococco ha stimolato la produzione di linfociti T helper e l’attività dei linfociti T, l’attività citostatica delle cellule NK ma non ha avuto effetti su granulociti e monociti (Boh et al 1987).

Uno studio in doppio cieco con 36 soggetti umani ha mostrato che l’estratto della pianta migliora la reattività immunitaria non specifica (Bone e Mills 2000; Bone, 1998). Vedi anche lo studio combinato con Andrographis paniculata (sopra).

Dosaggio: dose giornaliera pari o equivalente a 1-4 gr di pianta secca. Ovvero 10-40 ml di TM, o 500-1000 mg ES (4:1) o 100-200 mg di ES (20:1), in grado di apportare 2-4 mg di eleuteroside E.

6. Baptisia tinctoria (L.) R. Br. (Fabaceae)


Farmacologia: la frazione polisaccaridica e l’estratto etanolico aumentano la produzione di anticorpi in vitro e stimolano la fagocitosi. L’estratto etanolico alza il conteggio leucocitario e migliora le reazioni di difesa endogene. Le glicoproteine hanno dimostrato di essere immunologicamente attive (Barret et al 1999; Bone e Mills 2000; Bone, 1998; Henneicke-von Zepelin et al 1999).

Non esiste alcuno studio clinico effettuato su Baptisia da sola, ma esistono  studi clinici randomizzati, controllati, in doppio cieco, su tre combinazioni contenenti Baptisia. Due di questi studi sono di tipo omeopatico. L’unico ad utilizzare dosi ponderali, anche se molto ridotte, combinava Baptsia tinctoria, Echinacea spp. radice e Thuja spp. con posologia di 170 mg/die su 238 soggetti con raffreddore, con riduzione dell’intensità e della durata della sintomatologia (Henneicke-von Zepelin et al. 1999)

Dosaggio: dose giornaliera pari o equivalente a 1-3 gr gr di pianta secca. Ovvero 10-30 ml di TM.

7. Uncaria tomentosa (Willd. ex Schult.) (Rubiaceae)


Farmacologia
L’azione immunostimolante dell’Uncaria tomentosa è stata fino ad oggi dimostrata solo in test in vitro e su modelli animali. Stimola la secrezione di interleukina-1 e interleukina-6 in vitro, e la fagocitosi in vitro ed in modelli sperimentali.  Gli alcaloidi ossindolici pentaciclici inducono le cellule endoteliali a secernere un fattore di proliferazione dei linfociti (Bone e Mills 2000; Obregon Vilches 1995)

Dosaggio: dose giornaliera pari o equivalente a 2-5 gr di pianta secca. Ovvero 20-40 ml di TM, o 450-1100 mg di ES (5:1),
Sono stati identificati due chemiotipi, quello da utilizzare è il chemiotipo ad alcaloidi ossindolici pentaciclici (POA), in particolare speciofillina, mitrafillina, pteropodina, isomitrafillina e isopteropodina; l’altro contiene, oltre ai POA, degli alcaloidi ossindolici tetraciclici (TOA) come rinchofillina e isorincofillina.  Quest’ultimo chemiotipo non deve essere usato.

8. Funghi

Il fungo Agaricus blazei Murr possiede spiccate proprietà immunostimolanti e antitumorali, comparabili a quelle dei più conosciuti Lentinus edodes, Grifola frondosa e Ganoderma spp.  Le frazioni indicate come responsabili dell’attività del fungo comprendevano vari glucani, complessi polissacaride-proteina (ATOM), complessi RNA-proteine, e glucomannano (Mizuno 2002; Mizuno et al. 1990; Wasser, Weis 1999; Ito et al. 1997; Fujimiya et al. 1998; Fujimiya et al. 2000; Cho et al. 1999), che vanno ad aggiungersi al lentinano, polisaccaride responsabile dell’attività immunostimolante del Lentinus edodes (Aoki 1984; Kanai, Kondo 1981).

In uno studio recente (Takeda e Okumura 2004) l’assunzione di estratti di Agaricus blazei e Lentinus edodes ha aumentato l’attività delle cellule NK, anche se è stato notato che la sensibilità all’estratto di Agaricus blazei era molto varia tra i soggetti, ed era correlata alla sensibilità all’estratto di Lentinus edodes.  Gli autori ipotizzando una sensibilità selettiva di alcuni individui ai composti presenti negli estratti.

Possibili meccanismi di attivazione delle cellule NK.

  1. Attivazione dei recettori Toll-like (TLR). Dieci membri di questa classe di recettori sono stati riscontrati negli esseri umani. Nei mammiferi questi recettori svolgono un ruolo fondamentale nel riconoscimento di composti micotici e batterici (Takeda, Kaisho, Akira 2003). I TLR attivano percorsi di segnalazione come NK-κB, che risultano nella secrezione di varie citochine proinfiammatorie (Oshiumi et al. 2003). Sembra che il recettore TLR-2/6 riconosca alcune componenti dello zimosano ma non  dei β-glucani (Underhill et al. 1999; Gantner et al. 2003).
  2. Attivazione dei recettori per le lectine. Alcuni tipi di lectine possono funzionare come immunomodulanti (Hofer et al. 2001), ed è possible che l’interazione tra lectine presenti nei funghi e recettori lectinici di tipo C possa giocare un ruolo nella immunomodulazione.
  3. Attivazione dei recettori per β-glucano.  I β-glucani hanno mostrato interessanti proprietà in vivo di stimolazione delle risposte antinfettive ed antitumorali dei soggetti (Tzianabos 2000).  Sono un gruppo eterogeneo di polimeri del glucosio, costruiti da uno scheletro di unità β-D-glucopiranosil a legame β(1→3), con catene laterali  a legame β(1→6); sono una parte fondamentale della struttura delle pareti cellulari di funghi, macrofunghi, piante ed alcuni batteri, e vengono riconosciute dal sistema immunitario innato dei vertebrati (non sono presenti nei tessuti animali), esclusivamente attraverso vari recettori cellulari superficiali (Battle et al. 1998).  L’attività di questi recettori è stata individuata su leucociti di vario tipo (macrofagi, neutrofili, eosinofili e cellule NK) e cellule non immunitarie (endoteliali, epiteliali alveolari, fibroblasti).  Dei recettori individuati (Zimmerman et al. 1998; Rice et al. 2002; Brown, Gordon 2001; Taylor et al. 2002) solo uno, dectin-1 ha mostrato chiaramente di essere in grado di mediare le risposte biologiche al β-glucano  (Brown, Gordon 2003).

Il suino in casa – 2

Ho terminato il primo post della serie suina in maniera forse criptica, e mi si domanda: “perché consideri gli olii essenziali il metodo che meno ti attira? E alla fine della giostra, come li posso usare?”

Allora, gli olii essenziali sono la strategie che meno mi attira, nonostante io sia molto interessato a questi materiali, perché sono e rimango un fitoterapeuta di formazione tradizionale, e tendo a preferire quelle strategie fitoterapiche che mi pare offrano delle alternative vere agli approcci già esistenti nella farmacopea classica.

Ovvero mi interessa ciò che le piante e il loro utilizzo (che non sono le piante a curare, ne il terapeuta, ma il triangolo pianta-paziente-terapeuta)  possono offrirci di innovativo, di non già presente, addirittura di non ottenibile con gli strumenti “ricevuti”.

E da questo punto di vista gli olii essenziali, IMHO, sono molto simili ad un farmaco classico (mutatis mutandis):

  • sono molto selettivi (nel produrli/estrarli riduciamo la diversità molecolare della pianta di origine più di quanto non facciamo con altri metodi estrattivi)
  • sono molto concentrati, quindi a parità di unità di utilizzo tenderanno ad avere un ventaglio di attività più ridotto ma con intensità di azione maggiore, ed il loro profilo tossicologico ed i livelli di rischio saranno maggiori che rispetto ad altri preparati tipicamente erboristici
  • sono inoltre un rimedio relativamente nuovo sul palcoscenico fitoterapico rispetto ad altre preparazioni, e quindi abbiamo meno dati storici ed etnobotanici che possano accompagnare i dati sperimentali, epidemiologici e clinici.

D’altro canto l’attività antinfettiva è certamente quella elettiva per questi prodotti, e la minireview offerta sulla loro attività antivirale offre spunti interessanti.

Credo che i dati più interessante siano:

  1. il fatto che non si osserva uno sviluppo di resistenza agli olii essenziali, circostanza che in alcuni casi potrebbe renderli un presidio estremamente importante
  2. il fatto che agiscano come virucidi/virustatici con modalità differenti da quelle degli antivirali di sintesi, quindi potenzialmente abbinabili a questi per ampliare il raggio di intervento e ridurre eventuali effetti collaterali
  3. il fatto che, per quanto selettivi, sono ancora dei rimedi con uno spettro di attività ampio, per cui una scelta oculata permetterebbe di utilizzare un OE contemporameamente antinfettivo, antinfiammatorio ed espettorante, una combinazione particolarmente utile nei disturbi del tratto respiratorio

D’altro canto prima che i dati sull’azione antivirale ed in particolare sull’azione antinfluenzale possano tradursi in prassi, credo debba passare ancora del tempo.

L’azione antivirale è quasi sempre limitata al virione prima della penetrazione o dopo il rilascio dalla cellula, e questo limita il campo di applicazione.

I test effettuati sono limitati all’utilizzo topico, per cui è prematuro parlare di utilizzo antivirale per os, tenuti presenti anche i possibili effetti indesiderati derivanti dall’ingestione di quantità significative di olii essenziali, riducibili solo da formulazioni particolari per eccipienti e strumenti di delivery (ad esempio capsule gastroresistenti, ecc.).

Credo quindi che per il momento l’utilizzo più razionale in caso di influenza e virosi respiratorie in genere sia quello di vaporizzazioni ambientali tramite areosol a scopo preventivo, applicazioni topiche che permettano il rilascio lento di olii essenziali respirati dalla soggetto, e suffumigi/fumigazioni nel momento della piena infezione a scopo sia antivirale sia antibatterico (in caso di superinfezioni) sia espettorante/antinfiammatorio.

E allora? Se gli olii essenziali non sono la mia prima scelta, quale lo è?

Non è questo il luogo per parlare di terapia, ma se la fitoterapia può contribuire in maniera interessante sarà, come dicevo più sopra, solo se potrà offrire prospettive terapeutiche nuove o strategie diverse, non incompatibili (anzi) con altre prospettive, ma sperabilmente concorrenti nel contribuire alla salute del paziente.

E allora ci saranno le piante che agiscono migliorando le condizioni dell’organismo in modo che meglio possano affrontare le infezioni. Quindi piante stimolanti la circolazione e diaforetiche,  immunomodulanti, piante adattogene (ma non nel momento di infezione acuta), piante espettoranti e piante per gestire la febbre e la tosse senza sopprimerle. Poi ci saranno certamente le piante ad azione antivirale ed antibatterica in caso di superinfezione. Ma altrettanto importanti saranno i rimedi da convalescenza, tra i quali tradizionalmente troviamo gli amari e gli epatici.

Ma questo argomento merita un post intero, ed adesso non ne ho il tempo.

Il suino in casa – 1

Dato che ho passato una settimana a fare tisane per il bimbo, ho pensato utile ripassare i basic facts sull’influenza e sulle possibili armi non convenzionali da usare (oppure da non usare). Ed ora ve lo riverso :-).

Intanto iniziamo proprio dall’inizio…

Virus
Oggettini quasi-vivi composti da acido nucleico (DNA o RNA) inserito in un involucro proteico (capside) e in certi casi (virus rivestiti) in una membrana lipoproteica. Le dimensioni vanno da 20 nm a 250-300 nm.

Classificazione virale
I virus possono essere classificati secondo la presenza di DNA o RNA, a singola o doppia elica. Se ne conoscono più di 70 famiglie, 20 negli uomini. A differenza degli organismi superiori, non è possibile costruire un albero genealogico dei virus al di fuori della famiglia, unico raggruppamento naturale che mostri somiglianze di strutture genomiche e geni omologhi.

Influenza
I virus dell’influenza appartengono  (secondo la classificazione di Baltimora) al V gruppo virale, alla famiglia delle Orthomyxoviridae, con RNA a elica singola, senso negativo, con rivestimento lipoproteico.

I virus influenzali che colpiscono l’uomo appartengono a tre serotipi: A, B e C. I virus del tipo C sono relativamente innocui, quelli del tipo B sono abbastanza rischiosi da giustificare la comprensione nella vaccinazione, ma sono quelli di tipo A ad essere responsabili della maggior parte delle infezioni.

Il serotipo del virus è determinato da due proteine di superficie – emaglutinina (H) e neuramminidasi (N) – che permettono al virus di entrare nelle cellule e di passare da cellula a cellula. In particolare la  emmaglutinina è necessaria sia per l’aggancio alla parete cellulare sia per la fusione. La emmaglutinina ha bisogno di essere “spezzata” da un enzima per funzionare nella fusione, e nell’uomo normalmente l’unico luogo dove questo enzima è presente è il tessuto polmonare.
Ci sono 16 sottotipi H e 9 N, che possono dare 144 serotipi HN, dei quali solo tre (H1N1, H2N2 e H3N2) sono stati osservati essere perfettamente adattati all’uomo, mentre combinazioni quali quella responsabile per la “aviaria” (ovvero la H5N1), possono infettare l’uomo occasionalmente ma sono virus aviari (naturalmente H5N1 potrebbe evolversi in una nuova pandemia se divenisse trasmissibile perfettamente tra uomo e uomo).

Ogni anno i virus del tipo A modificano leggermente le proprie proprietà antigeniche, in quello che si chiama il drift antigenico. Ma per tre volte nel XX secolo è stato osservato il cosiddetto shift antigenico, ovvero una modificazione radicale delle proprietà antigeniche con cambiamento del serotipi e quindi insorgenza di nuove pandemie.

1918
Dalla preesistente riserva genetica naturale del virus, gli uccelli acquatici, nel 1918 emerse (si adattò al nuovo ospite) il ceppo H1N1 che causò all’inizio (in primavera) una crisi di problemi respiratori di lieve entità, chiamata la “febbre dei tre giorni”, nella milizia di Fort Funston, in Kansas (ed una concomitante epidemia nei maiali nordamericani), da dove raggiunse altre basi militari negli Stati Uniti e quindi l’Europa. Questa prima ondata causò pochi decessi e la maggior parte degli infetti recuperò in pochi giorni. Essa fu seguita da una seconda “ondata” nell’agosto dello stesso anno, sempre di lieve entità anche se maggiore delle normali influenze stagionali (mortalità del 2.5% rispetto al normale 0.1%), che raggiunse il picco in settembre e novembre.

Nella primavera del 1919 si ebbe la terza (seconda secondo alcuni) ondata, e la situazione mutò gravemente dal punto di vista epidemiologico. La famigerata “spagnola” sembrava avere caratteristiche molto diverse: alcune vittime morirono nel giro di poche ore, ed erano suscettibili tutti i gruppi di età, dai più giovani agli adulti agli anziani. Colpì sia aree rurali sia cittadine, interessando, secondo alcune stime, 1/5 della popolazione mondiale ed uccidendo 50 milioni di persone.  Il virus era mutato, diventando più virulento?   In assenza di dati da comparare per accertare variazioni geno- o fenotipiche (l’unico ceppo di virus della H1N1 del 1918, ottenuto da tessuto polmonare appartenente ad un cadavere riesumato che era rimasto congelato nell’artico, era dell’ondata autunnale) è difficile dirlo con  certezza; i dati sulla mortalità (5% nella ondata primaverile, 60% in quella di novembre) sembrano supportare l’idea dell’aumentata virulenza, ma ci sono altri possibili fattori, o cofattori: le condizioni ambientali invernali (aria fredda, maggior presenza di pneumococchi e staffilococchi), la situazione di guerra (maggioro promiscuità), la copresenza di altri agenti virali patogeni, e differenza delle popolazioni colpite.

Certo è che il virus H1N1 riesumato del 1918 è diverso da quello delle H1N1 stagionali odierne: ha l’abilità di replicarsi in assenza di tripsina (ovvero la sua emmaglutinina può essere spezzata da proteasi ubiquitarie e non solo da quelle presenti nel tessuto polmonare) e mostra un fenotipo molto aggressivo nella crescita nelle cellule dell’epitelio polmonare umano, ed è in grado di uccidere i ratti infettati.

1957
Nel 1957 avvenne il primo shift genetico conosciuto (teniamo presente che la prima caratterizzazione dei serotipi era avvenuta solo negli anni 30) che portò alla comparsa del serotipo H2N2 (derivante da una ricombinazione: 3 segmenti da virus aviario e 5 da H1N1) che causò la cosiddetta pandemia “Asiatica” che apparentemente eliminò H1N1.

1968
Nell’estate del 1968 avvenne il secondo shift genetico conosciuto che portò alla comparsa in Asia del sud di H3N2 (2 segmenti da virus aviari) e alla influenza di Hong Kong, che eliminò H2N2 e che fu responsabile di sporadici casi da settembre a dicembre negli Stati Uniti, in Inghilterra ed in Giappone. L’epidemia nell’emisfero settentrionale finì in aprile del 1969, mentre in Australia iniziò a gennaio dello stesso anno, scomparve in ottobre e ritornò nel giugno del 1970.

1976
Nel febbraio del 1976 si ha la riemergenza di un ceppo di H1N1 (che teoricamente doveva essere stato eliminato dalla comparsa di H2N2) simile a quello del 1918, nella milizia di Fort Dix, dove causò il decesso di un soldato.  Molto velocemente (forse troppo velocemente?) il governo americano organizzò una vaccinazione di massa che raggiunse 48 milioni di americani, nonostante che il virus rimanesse limitato all’area di Fort Dix e sparisse molto velocemente (solo un ceppo collegato e poco virulento rimase presente fino a marzo). La vaccinazione venne sospesa dopo 532 casi di paralisi da sindrome di Guillain-Barré e 25 decessi apparentemente legati alle vaccinazioni. La vaccinazione causò cioè quindi più morti del virus (ma il virus non era veramene presente nella popolazione, che ricevette una cura inutile).

Il virus era così simile al virus H1N1 pre-1950 da far pensare ad un vero e proprio “congelamento” del ceppo. La riemergenza di H1N1 non eliminò H3N2 perché non era una novità per i soggetti di età maggiore di 20 anni, che avevano avuto la possibilità di incontrarlo prima del 1957, e quindi dal 1977 (ma alcuni autori ritengono fino dal 1918) ci sono due serotipi di influenza A circolanti, H1N1 e H3N2.

L’influenza H1N1 2009
La comparsa della nuova H1N1 rinforza l’opinione di alcuni autori che dal 1918 in poi siamo vissuti in un era pandemica dominata da H1N1, che continua a ritornare come una dinastia virale. Infatti, nonostante le iniziali affermazioni che si trattasse di un virus suino passato all’uomo, sappiamo che la nuova pandemia deriva da un virus H1N1 che include geni aviari, umani e suini. In effetti, il dato osservato che la virulenza del virus sia decresciuta con l’espandersi dell’area infetta si spiegherebbe bene con il fatto che esistono nella popolazione (in particolare in un terzo dei soggetti over 60) anticorpi preesistenti contro il virus, derivanti dall’immunizzazione o l’incontro con l’influenza stagionale.
E’ interessante, notano vari autori, il fatto che gli anticorpi prodotti da precedenti virus H1N1 non hanno dato protezione crociata dal H1N1 2009, forse perché gli epitopi del H1N1 2009 invece di stimolare la prodizione di anticorpi producono una risposta immunitaria cellulo-mediata, tramite cellule T citotossiche e sostanze chimiche tossiche.

From schemi

Attività antivirale

La strategia è quella di interferire con l’abilità del virus di penetrare la cellula bersaglio. Il virus passa attraverso vari passaggi per penetrare: legame a recettori di superficie cellulare grazie all’antirecettore emagglutinina, che si lega alla glicoproteina con l’acido neuramminico; fusione dell’involucro lipoproteico; adsorbimento; penetrazione; denudamento; rilascio dei contenuti all’interno della cellula. La neuraminidasi (N) serve a sciogliere il legame tra H e glicoproteine della membrana cellulare, sia nel caso che la penetrazione non abbia successo, sia quando il virus replicato debba lasciare la cellula bersaglio.

Interferire con l’attacco alla cellula
Gli agenti usati al momento per interferire con queste fasi possono mimare la proteina associata al virus (VAP) e legarsi ai recettori virali; possono mimare il recettore cellulare e legarsi al VAP. Sono però strategie molto costose da sviluppare.
Altri agenti possono inibire la penetrazione e/o il denudamento (Amantadina e Rimantadina per l’influenza, Pleconaril per i rinovirus del raffreddore e vari enterovirus)

Intervento durante la sintesi virale.
Un secondo approccio è quello di mirare ai processi che sintetizzano le componenti virali dopo l’invasione del virus stesso. Un modo tipico per farlo è inibire la trascrittasi inversa, l’enzima che sintetizza la trascrizione da RNA a DNA (acyclovir per HSV, AZT per HIV, Lamivudina per HBV). Un altro modo è quello di bloccare la fase di trascrizione di mRNA (necessario per la sintesi proteica), oppure la fase di traduzione.

Approccio diverso è quello di inibire la proteasi, un enzima che taglia le catene proteiche virali perché possano poi assemblarsi nella configurazione finale, oppure di inibire del tutto l’assemblaggio (come la Rifampicina).

Rilascio
L’ultima fase del ciclo virale è il rilascio del virus completo dalla cellula. Alcuni farmaci antiinfluenzali (Zanamavir, Oseltamivir) impediscono il rilascio virale bloccando la neuraminidasi.

Virus e resistenza
Sia i farmaci antivirali (acyclovir) sia i vaccini possono causare insorgenza di resistenza nei virus. Questa seconda resistenza è la meno conosciuta. Vediamo qualche sempio di resistenza ai vaccini:

  • Virus dell’epatite B: la vaccinazione è iniziata nei primi anni 80. Il vaccino contiene un antigene ricombinante di superficie, ed il determinante a è il target primario degli anticorpi. Nel 1990 è emerso il primo caso di sostituzione nel gene S codificante per a, e negli anni si è evidenziato il fatto che la frequenza della resistenza aumenta la individui vaccinati.
  • Influenza aviaria (H5N2) nei polli. Continuano ad emergere nuove linee virali resistenti.
  • Malattia di Marek, causata dal virus dell’Herpes nei polli. Le prime vaccinazioni sono iniziate negli anni 60, e la prima campagna è stata di successo; già la seconda campagna (negli anni 70) non è risultata più sufficiente ad assicurare una copertura paragonabile alla prima. La seconda generazione di vaccini, negli anni 80, è risultata insufficiente dopo pochi anni. La terza generazione è uscita negli anni 90.
  • Infectuous Bursal Disease (IBD) nei polli, causato da un birnavirus. La vaccinazione è fallita.

Perchè falliscono?
Le “nuove” malattie virali sono molto differenti dalle prime (ad esempio le esantematiche), classici esempi del successo delle vaccinazioni. Nelle nuove malattie i ceppi virali sono capaci di operare anche in soggetti vaccinati, e la vaccinazione non è sterilizzante, non dura per tutta la vita e non è indipendente dai ceppi virali.
L’adattamento dei virus dipende certamente da meccanismi classici quali l’evoluzione degli epitopi e della virulenza, e in secondo grado da aumento della capacità immunosoppressiva, dall’aumento nella produzione di molecole smokescreen, dalla modificazione delle variazioni antigeniche, dalla modificazione del tropismo tessutale e dall’attivazione di vie di penetrazione alternative.
Il futuro è incerto e la scelta di usare target sempre più specifici nei virus può portare a conseguenze inaspettate e non prevedibili.

E ora passiamo alle strategie dello stregone. Iniziando dall’approccio a mio parere meno interessante da un punto di vista strettamente fitoterapico, ovvero l’azione direttamente virucida o virustatica degli olii essenziai.  Più avanti esamineremo altre opzioni


Attività antimicrobica

E’ indubbio che l’attività antimicrobica degli olii essenziali (OE) sia quella con più supporto sperimentale. Il fatto che gli OE possiedano proprietà antinfettive, in particolare antimicotiche, concorda inoltre con le nostre conoscenze riguardo le funzioni di queste sostanze nelle piante, come difesa da infezioni secondarie a lesioni dovute all’azione degli erbivori..
Se quest’attività è data ormai per scontata, bisogna sottolineare come la maggior parte degli studi sia stata effettuata in vitro, e di come esistano ancora pochi studi clinici di buona qualità.
Il volume di dati sull’attività antimicrobica resta, comunque, significativo; sono stati testati molti e diversi patogeni: virus animali e vegetali, funghi micotossigeni, lieviti patogeni, differenti ceppi batterici, amebe.

Olii essenziali antivirali
Se tra gli olii specificamente virucidi troviamo spesso olii genericamente antinfettivi, come per esempio quelli con alto tenore in fenoli o eteri fenoliche (Cinnamomum zeylanicum cortex, Origanum hirtum, Thymus vulgaris, Lippia origanoides, Syzygium aromaticum), o ad alcoli (Zingiber officinale, Melaleuca alternifolia, Mentha x piperita, Santalum album, Cymbopogon martinii), emergono anche olii diversi dal solito, come Salvia officinalis, Hyssopus spp., Artemisia vulgaris, Laurus nobilis. In particolare sembra che la presenza di citrali sia importante per la attività antivirale (come Cymbopogon spp., Melissa officinalis). Vi sono poi olii essenziali interessanti ma molto poco studiati, come Santolina insularis, Heracleum spp., Artemisia arborescens, Cynanchum stauntonii, Salvia fruticosa, Minthostachys verticillata.

Qualche dettaglio: OE attivi sui virus influenzali

L’olio essenziale di varie specie di Heracleum hanno mostrato attività virucida in vitro sul virus dell’influenza.
L’olio essenziale di Houttuynia cordata e le molecole metil n-nonil chetone, lauril aldeide, e capril aldeide sono risultati virucidi, in vitro, sui virus dell’herpes simplex 1, dell’influenza e dell’HIV-1, in maniera tempo dipendente.
L’olio essenziale di radice di Cynanchum stauntonii (Ascelpiadaceae), i cui composti principali sono (E,E)-2,4-decadienal, 3-etil-4-metilpentanolo, 5-pentll-3H-furan-2-one, (E,Z)-2,4-decadienale e 2(3H)-furanone, diidro-5-pentile, è attivo in vitro sul virus dell’influenza con IC50s = 64 μg/ml. In un esperimento in vivo su modelli animali ha ridotto i decessi da influenza in maniera dose dipendente.

La trans-cinnamaldeide, uno dei principali composti dell’olio essenziale da corteccia di Cinnamomum zeylanicum e C. cassia,  ha mostrato attività in vivo ed in vitro sul virus dell’influenza A/PR/8. Incubato a 40 μM con cellule di rene di cane preinfettate, ha ottenuto il massimo  del controllo dell’infezione (29.7%) se somministrato 3 ore dopo l’infezione, e  ha inibito la crescita del virus in maniera dose dipendente da 20 a 200 μM, quando il virus non è stato più individuabile.
Nei topi infettati con il virus PR-8 virus l’inalazione di 50 mg/gabbia/giorno ha aumentato la sopravvivenza in 8 giorni del 100% (rispetto al 20% dei controlli), ed ha grandemente ridotto la presenza virale nel fluido di lavaggio broncoalveolare dopo 6 giorni.
L’olio essenziale di Melaleuca alternifolia ed alcuni dei composti in esso contenuti (soprattutto terpinen-4-olo, ma anche α-terpinene, γ-terpinene, p-cimene, terpinolene e α-terpineolo) hanno mostrato attività inibitoria sulla replicazione del virus dell’influenza A/PR/8 virus H1N1 a dosi minori di quella citotossica (ID50 = 0·0006% e CD50 = 0·025%, indice di specificità 41,6). L’effetto su HSV-1 ed HSV-2 è stato molto minore (CD50 = 0·125%).
La propoli (non un olio essenziale ma rilevate comunque, potendo funzionare da resina veicolo) è risultata attiva sul virus dell’influenza aviaria.

Attività su altri virus
L’olio essenziale di Artemisia arborescens è risultato efficace su HSV-1 (del 50% a dosi di 2.4 microg/ml, dell’80% a dosid di 5.6 microg/ml) e -2 (del 50% a dosi di 4.1 microg/ml, dell’80% a dosi di 7.3 microg/ml) con azione direttamente virucida e inibente il passaggio da cellula a cellula e a dosi molto più basse di altri olii essenziali.

In uno studio recente gli olii essenziali di zenzero, sandalo, timo e issopo si sono dimostrati efficaci su herpes virus 1.
L’olio di Santolina insularis e di Melissa officinalis sono attivi su HSV-1 e -2. In particolare l’OE di melissa ha mostrato IC50 = 0.0004% ed inibizione del 98.8% per HSV-1, e IC50 = 0.00008% ed inibizione del 97.2% per HSV-2. L’OE di melissa agisce sul virus prima della penetrazione della cellula, ma non dopo.
L’olio essenziale di Salvia fruticosa ha mostrato una elevata attività virucida su HSV-1, e i diterpeni di Salvia officinalis mostrato attività antivirali.
L’olio essenziale di Myntostachys verticillata ha inibito sia HSV-1 sia il virus della pesudorabbia.
L’olio essenziale di eucalipto (non meglio specificato) ha ridotto del 57.9-75.4% i livelli di HSV.
L’olio essenziale di Laurus nobilis e i suoi composti beta-ocimene, 1,8-cineolo, alfa- e beta-pinene hanno mostrato attività antierpetica con IC50 = 120microg/ml e un indice di selettività pari a 4.16.
Altri olii attivi sono genericamente la Mentha xpiperita e l’Origanum vulgare.
Gli OE di Artemisia douglasiana e Eupatorium patens sono risultati attivi su HVS-1 e Dengue 2.
L’OE di Cymbopogon citratus è risultato attivo su HSV-1, con il 100% di inibizione a conc. di 0.1%, dell’80% a 0.05% e del 50% a 0.005%. Anche gli OE di Rosmarinus officinalis ed Eucalyptus globulus sono risultati interessanti, seppure non così attivi, causando inattivazione delle particelle virali.
Gli OE di Lippia alba, Lippia origanoides, Origanum vulgare e Artemisia vulgaris sono attivi sul virus della febbre gialla, con MIC di 3.7 microg/ml per i primi tre e di 11.1 microg/ml per l’ultimo.

Composti attivi e meccanismi d’azione.
Vari studi hanno identificato gli OE con molecole che portano un gruppo idrossilico, ovvero alcoli, fenoli ed eteri fenoliche, come quelli più attivi.  In ricerche effettuate sugli effetti antimicotici delle molecole degli OE, le più attive si sono dimostrate quelle con un gruppo idrossilico legato ad un sostituente alchilico (fenoli come carvacrolo, timolo, iso-eugenolo ed eugenolo e aldeidi aromatiche come cinnamaldeide).

Attualmente l’ipotesi principale sui meccanismi d’azione è che l’attività antimicrobica vada di pari passo con l’attività citotossica e che quindi condivida lo stesso meccanismo, in altre parole una reazione associata alla membrana. Anche il legame tra attività antisettica e gruppi idrossi fenolici supporta quest’ipotesi, vista la riconosciuta attività dei fenoli a livello cellulare, con denaturazione di proteine batteriche o alterazione della membrana citoplasmatica.

I fenoli e le eteri fenoliche agirebbero sulla struttura e funzionalità della membrana cellulare, strato polisaccaridico (in G-), e parete cellulare, causando lesione drammatica e morte. Altri composti (forse gli alcoli) indebolirebbero solo la membrana senza causare lisi, stimolano il rilascio di enzimi autolitici, con lesione subletale e perdita delle capacità regolatoria e forse una azione mitocondriale.

Nei virus gli OE sembrano nella quasi totalità agire nella fase subito precedente alla penetrazione, molto poco  nelle fasi di replicazione, e poco nella fase di replicazione e passaggio da cellula a cellula. Per queste ragioni si ipotizza che il meccanismo di azione sia quello della interferenza con l’involucro virale, con disturbo delle strutture del virione necessarie per la penetrazione della cellula, o forse la dissoluzione della capsula del virus (l’OE di origano ad esempio la distrugge). Il fatto che il meccanismo si adifferente da quello tipico degli antivirali di sintesi spiegherebbe il fatto che spesso questi OE sian attivi anche su ceppi resistenti ad acyclovir.

Ci sono però delle interessanti eccezioni, ad esempi il già citato OE di Santolina insularis agisce su HSV inibendo la trasmissione da cellula a cellula; gli OE di Melaleuca alternifolia e di Eucalyptus globulus sembrano agire sul virus dell’herpes sia prima sia durante la penetrazione; la cinnamaldeide sembra fare eccezione poiché inibisce la sintesi proteica virale a livello post trascrizionale.

From schemi

Molto interessante l’osservazione fatta da molti ricercatori che l’azione degli OE sui patogeni non varia molto tra ceppi da laboratorio e ceppi selvaggi.  Questo sembrerebbe supportare l’idea che i patogeni non abbiano sviluppato una resistenza agli OE come hanno invece fatto per quanto riguarda molti antibiotici.  E questo nonostante gli OE siano parte della biosfera da moltissimo tempo, e siano stati sicuramente coinvolti in processi d’adattamento di tipo evolutivo. E’ ipotizzabile che la ragione del mancato sviluppo della resistenza sia la complessità degli OE e del loro meccanismo d’azione con punti d’attacco a diversi livelli della membrana cellulare; questo renderebbe più difficile l’attivarsi di meccanismi di resistenza, o quantomeno di quelli di tipo one-step.

(continua)