Invito ad una moratoria su Aniba rosaeodora

Riporto paro paro da the aromaconnection questa bella notizia che riguarda due specie forestali aromatiche, Aniba rosaeodora e Bulnesia sarmientoi. L’inserimento delle due specie nell’elenco delle specie commerciabili solo se provenienti da piantagioni certificate CITES è un piccolo passo, ma io continuo ad invitare tutti ad una moratoria totale sull’utilizzo di derivati del Legno di rosa e, già che ci siamo, del legno di Sandalo!

Ma ecco le news dal CITES:

L’ Environment News Service annuncia che il 19 marzo 2010 due alberi sudamericani, sfruttati in maniera non sostenibile dai produttori/commercianti di olii essenziali per l’industria profumieristica e cosmetica, saranno immessi nell’Appendice II della Convenzione sul Commercio Internazionale (Convention in International Trade – CITES), decisione presa dal CITES a Doha, nel Qatar. I controlli sul commercio (scambi commerciali internazionali permessi esclusivamente sulla base di permessi ufficiali) verranno applicati entro 90 giorni per Aniba rosaedora (legno di rosa brasiliano), che è stato proposto per l’appendice II dal Brasile, e per Bulnesia sarmientoi (Palo Santo – da cui si ricava l’olio di guaiaco, l’olio acetilato di guaiaco e l’acetato di guaile) dalla regione del Gran Chaco in America Centrale, proposto dall’Argentina.

Cropwatch ha da lungo tempo sottolineato il declino dello status ecologico del Legno di rosa (scarica qui i files Cropwatch), e molti utenti di olii essenziali hanno indipendentemente e volontariamente deciso di smettere di acquistare l’olio essenziale. Sfortunatamente c’è sempre un elemento poco etico nel mercato che continuerà ad utilizzare specie aromatiche in pericolo di estinzione, fino al punto di farlo anche quando sia illegale.  Lo status del Palo Santo (legno di Guaiaco) nel Parco Nazionale di Gran Chaco, che si estende attraverso il Paraguay occidentale, l’Argentina settentrionale ed orientale, e la Bolivia meridionale era stato di recente analizzato da Cropwatch nella sua Updated List of Threatened Aromatic Plants Used in the Aroma & Cosmetic Industries v1.19 (scarica il pdf. qui). L’olio essenziale di Legno di Guaiacoè in realtà una pasta marroncina che si scioglie a 45ºC, e i suoi derivati acetilati hanno occupato un posto molto importante nel ventaglio aromatico profumieristico.

L’inserimento delle due specie nell’Appendice II farà la differenza? Certamente l’inserimento nell’Appendice CITES I sarebbe stata più efficace, specialmente nel caso del Legno di Rosa, il cui futuro è più di altri alberi nelle mani di commercianti illegali. Olio essenziale di Aniba rosaeodora da distillerie clandestine nel profondo della foresta  continua ad arrivare nei nostri mercati, anche se alcuni lotti si distinguono per una composizione chimica peculiare che spinge a porsi delle domande sull’origine botanica (vedi la bibliografia relativa qui). Ci si domanda se l’olio di Guaiaco continuerà ad essere disponibile legalmente, se solo quello di origine argentina verrà bandito. Anche se questo lo si potrà vedere solo nel futuro,  certamente questi inserimenti nella lista CITES II sono un passo nella giusta direzione.

Uomo e piante 4/dimoltialtri

Il rapporto con i patogeni
Se l’Africa è il luogo di origine e della prima evoluzione del genere Homo, per comprendere i rapporti coevolutivi tra Homo e patogeni è necessario approfondire l’argomento della distribuzione dei patogeni nel mondo, per capire se le malattie infettive siano distribuite a random o se esistano delle differenze  caratterizzanti il continente africano.

Dato che l’indagine archeologica è impossibile per l’assenza di resti analizzabili, una conferma diretta sulla distribuzione dei patogeni nel periodo di interesse non è possibile, ma secondo Guegan e collaboratori (23)  le inferenze dalle attuali distribuzioni permettono di dire che:

  1. la diversità delle specie patogene per l’uomo era ed è massima nelle zone tropicali e subtropicali.
  2. le specie di patogeni endemiche nelle zone temperate del mondo sono molto poche, mentre nelle zone tropicali sono presenti sia i patogeni endemici (patogeni, spesso zoonosi,  con stadi esterni legati a vettori o a riserve, come gli elminti) sia quelli a distribuzione globale (di solito virus, batteri e funghi trasmessi direttamente, adattati alle popolazioni umane, con ciclo vitale interno all’uomo e quindi poco sensibili all’ambiente).

Ciò significa che le diverse popolazioni umane non sono state esposte allo stesso carico di malattie infettive, e che le popolazioni africane hanno avuto (e hanno) a che fare con una maggior diversità di patogeni.

I Cro Magnon erano probabilmente organizzati in piccoli gruppi egalitari di cacciatori e raccoglitori e, a differenza di H. neanderthalensis, avevano una dieta dominata dagli alimenti di origine vegetale. (24)

Come tutti gli ominidi, essi convivevano con parassiti con i quali si erano evoluti in Africa (dai macroparassiti come Enterobius, Ancylostoma, Uncinaria, Necator, ai microparassiti come Plasmodium responsabile della malaria e Flavivirus della febbre gialla) ed anche con parassiti di altri animali, ad esempio il Trypanosoma brucei rhodesiense della tripanosomiasi africana, il Leptospira della leptospirosi, la Brucella della brucellosi, la Salmonella della salmonellosi, lo Schistosoma della schistosomiasi, la Amoeba della dissenteria amebica, il Treponema pertenue, proveniente da animali o carne decomposta, che causa la framboesia, la Borrelia che porta la borreliosi, e la Yersinia pestis.

E’ probabile che, se non esenti da malattie, i primi Homo sapiens fossero comunque poco colpiti da malattie infettive, e soffrissero prevalentemente di ferite, traumi e di infezioni croniche a bassa intensità della pelle e del tratto gastrointestinale, le uniche che potevano mantenersi attive in popolazioni numericamente esigue, o perché duravano a lungo (dissenteria amebica) o perché potevano alternarsi tra ospiti diversi (schistosomiasi).(25)

Certamente non soffrivano di infezioni acute come morbillo o varicella, infezioni virali che o uccidono o rendono immuni e necessitano quindi di grandi numeri per mantenersi attive. Inoltre la maggior parte dei gruppi umani erano sempre in movimento, quindi non esistevano quelle riserve di focolai infettivi tipici degli insediamenti stabili che sono le latrine, la spazzatura e gli allevamenti.

Un caso di studio: la malaria
L’analisi delle frequenze di alcune malattie a base genetica ha dato indizi molto importanti proprio sul fondamentale ruolo selettivo/evolutivo delle malattie infettive. L’esempio più studiato è certamente quello del rapporto tra disordini dell’emoglobina e la malaria, che mostra come nonostante i fattori stocastici impliciti nella trasmissione della malaria, il rischio di infezione dipenda in buona parte da fattori predeterminati a livello genetico. (26)

L’anemia falciforme risulta da una modificazione della subunità di tipo beta dell’emoglobina con formazione della emoglobina S (HbS) invece che la forma normale A (HbA). Negli omozigoti HbSS la HbS, quando viene ossidata, tende a precipitare e ad alterare la forma degli eritrociti, che divengono rigidi e distorti a falce (drepanociti), fragili, proni ad emolisi. I soggetti soffrono una elevata morbosità e mortalità, hanno aspettative di vita basse e raramente si riproducono.

L’allele modificato dovrebbe quindi essere estremamente raro o già scomparso, mentre si osservano frequenze molto elevate (più del 20%) nella fascia dell’Africa tropicale e frequenze meno elevate ma ancora superiori a quanto ci si aspetterebbe in Grecia, Turchia, India, Sicilia, ecc., mentre l’allele è assente in Nord America, Nord Europa, Australia.

Questa persistenza si potrebbe spiegare con una frequenza molto elevata di mutazione ricorrente, ma è più probabile che l’eterozigote HbAS abbia un vantaggio selettivo sugli individui “sani” HbAA. Questo vantaggio selettivo risulta evidente sovrapponendo le aree di persistenza dell’allele con quelle della distribuzione della malaria, aree che combaciano molto bene. Ed infatti si è scoperto che gli eterozigoti hanno ridotta prevalenza ed intensità della malaria rispetto agli omozigoti HbAA.

I parassiti della malaria (Plasmodium spp.) hanno più difficoltà a sopravvivere all’interno degli eritrociti anemici, probabilmente perché la loro azione pro-ossidante danneggia più facilmente l’eritrocita, causa una sua morte precoce e un rilascio di forme parassitarie immature che non sopravvivono all’esterno della cellula.

La stessa ipotesi di un vantaggio selettivo è stata avanzata anche per altre modificazioni patologiche dell’emoglobina, come alfa- e beta-talassemie, o per disfunzioni eritrocitarie, come ad esempio per il favismo, ovvero la deficienza dell’enzima Glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD). La deficienza di questo enzima chiave causa una reazione avversa a farmaci pro-ossidanti (l’emoglobina si ossida molto più facilmente, precipita e causa lisi dell’eritrocita) che si manifesta come una eccessiva distruzione di eritrociti. La ridotta capacità della cellula nel resistere allo stress ossidativo starebbe però alla base dell’effetto protettivo dalla mortalità da Plasmodium falciparum.

Come ha ben esposto Nina Etkin in un suo recente articolo la coscienza di questi legami evolutivi non è interessante solo dal punto di vista accademico, ma può funzionare come sapere applicato.(27) Comparare questi adattamenti biologici alla malaria agli adattamenti culturali, ad esempio la scelta delle piante medicinali o i comportamenti alimentari, ci può aiutare a spiegare perché tali adattamenti si siano presentati, e ci può aiutare a usare il dato etnobotanico come filtro per la ricerca di nuove piante utili.

L’autrice usa la pianta al momento più interessante per il trattamento della malaria, la Artemisia annua e la molecola artemisinina, mostrando come l’azione antimalarica derivi dal potenziale proossidante della molecola, che agisce sull’eritrocita e sul plasmodio, mimando in questo l’effetto di sensibilizzazione all’ossidazione delle anemie emolitiche.

L’autrice indica anche altri  comportamenti come probabili adattamenti culturali di fronte alla malaria, come la tradizione est africana di fermentare la birra in recipienti ferrosi. La birra così ottenuta sarebbe carica di ferro, un fattore chiave nei processi ossidativi che faciliterebbe la lesione ossidativa agli eritrociti.

L’espansione

Con l’espandersi verso le nuove aree temperate, H. erectus e le altre specie di Homo si lasciarono indietro (in Africa) tutte le malattie con vettori o ospiti intermediari speciali e specifici del continente (tripanosoma, arborvirus, ecc.), mentre il clima più mite riduceva il carico di patogeni; se a queste differenze sommiamo il disgelo seguito all’ultima glaciazione (10.000 anni fa), si spiega forse la crescita demografica e la conseguente aumentata necessità di cibo che spinse verso la domesticazione degli animali e verso l’agricoltura. (28)

In questo quadro assume particolare rilevanza sanitaria il fatto che queste popolazioni assumessero sempre una grande varietà di cibi vegetali, ricchi di una grande diversità di nutrienti e di tossine vegetali, responsabili, come vedremo più avanti, della riduzione delle infezioni enteriche. (29)

Sempre questo quadro suggerisce che fosse ancora assente la figura dell’esperto guaritore, dell’esperto di piante medicinali e di riti, e che la gestione della salute ed il trattamento della malattia (vista ancora come un evento che si originava all’esterno del corpo, biologico e sociale) fosse collettivo e non segreto, folklorico e comunque comprendente un complesso di terapie razionali, sia chirurgiche sia erboristiche, usate per curare malattie semplici (diarrea, costipazione, ferite, ecc.) più un uso di tonici primaverili o altro che forse apportavano nutrienti. (30)

Come si vedrà più avanti, la “scoperta” dell’agricoltura, con la possibilità di discriminare tra piante spontanee e piante coltivate, piante alimentari e piante medicinali, permette la individuazione di soggetti esperti e di conoscenze segrete, limitate agli esperti, esoteriche.

La conquista del mondo
I movimenti migratori che hanno portato H. sapiens a conquistare il mondo sono conosciuti nelle loro linee più generali.

Nell’arco temporale del “grande balzo in avanti”, dopo la conquista dell’Eurasia meridionale, H. sapiens arriva in Australia e Nuova Guinea (unite al tempo a causa della glaciazione) tra i 30.000 e i 40.000 anni fa (iniziando l’estinzione della megafauna australasiana), con quello che è stato probabilmente il primo utilizzo di imbarcazioni per superare grandi distanze (intorno agli 80 km). Circa 20.000 anni fa l’uomo conquista le terre fredde della Siberia, probabilmente contribuendo all’estinzione del Mammut e del rinoceronte lanoso. E’ probabile che solo le maggiori capacità di H. sapiens rispetto ad H. erectus e H. neanderthalensis abbiano permesso questo passaggio.

L’ultima grande massa continentale ad essere conquistata è stata l’America. Approfittando di favorevoli condizioni climatiche, è probabile che intorno a 12-000 anni fa i primi coloni siano arrivati in Alaska, e che nel giro di mille anni queste popolazioni siano arrivate in Patagonia. La Groenlandia dovrà aspettare il 2000 a.C. (31)

Se la parte principale della dieta di Homo sapiens arcaico era costituita dai vegetali (lo indicherebbero le strie dei denti comparabili a quelle dei vegetariani contemporanei, i cestini per la raccolta di vegetali nel tardo Paleolitico, i fitoliti indicanti uso di cereali, il rapporto Stronzio/Calcio delle ossa che si innalza nel Mesolitico), con il passare del tempo egli diviene sempre più attivo nel procacciarsi la carne, passando da scavenger passivo a scavenger attivo e cacciatore, e gli strumenti, specie quelli utilizzati per la macellazione delle carcasse animali, si fanno più sofisticati a mano a mano che cresce la competizione con i grossi carnivori.

Certamente l’utilizzo più massiccio della carne come alimento energetico facilita l’apporto di principi nutritivi atti a sostenere l’encefalizzazione e quindi l’ominazione.

A questo periodo risalgono altri importanti ritrovamenti di indizi sull’uso delle piante da parte dell’uomo. I resti trovati nei siti Neolitici degli abitanti dei laghi dell’Europa centrale indicano coltivazione o raccolta di ca. 200 specie diverse di piante (ad es. papavero da oppio, Papaverum somniferum L. — Papaveraceae).

Il maggior consumo di cibi ad elevata densità e d’origine animale ha probabilmente migliorato lo status nutrizionale di Homo sapiens ma ha anche cambiato il suo rapporto con foglie e composti allelopatici, ed è probabile che questi cambiamenti abbiano avuto un effetto sull’equilibrio tra status nutritivo, organismi patogeni e proprietà positive e negative dei composti attivi. Il cambiamento di dieta, infatti, potrebbe aver reso da un lato meno necessario l’utilizzo di foglie (energeticamente povere) e dall’altro aver reso possibile un loro consumo più elevato in caso di necessità (perché un organismo ben nutrito detossifica più facilmente gli xenobiotici, ovvero i composti chimici farmacologicamente attivi esogeni introdotti con la dieta).

Forse è qui, con lo sganciamento parziale dell’uomo dalla necessità di ingerire piante tossiche, e con l’inizio del lungo processo che avrebbe portato alla domesticazione di alcune piante, che si ha per la prima volta la possibilità di parlare di medicina e non solo di comportamenti di automedicazione. Perché il disaccoppiamento della frazione nutritiva da quella tossica permette di individuare due soggetti fino a questo momento fortemente sovrapposti: le piante alimentari e le piante medicinali, ed è possibile ingerire, coscientemente, composti allelopatici a scopo curativo.

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Note

23. Guegan J-F, Prugnolle F, Thomas F (2008) “Global spatial patterns of infectuous diseases and human evolution”. In S.C. Stearns & J.C. Koella (eds.) Evolution in Health and Disease. Second Edition. Oxford University Press

24. Kiple K.F. “The ecology of disease”. in W.F. Bynum e R. Porter 1993 op. cit. pp. 357-381. Anche se la presenza di asce e coltelli di pietra e di segni da taglio sui denti indicano un utilizzo di carne, le strie sui denti e la loro qualità estremamente simile a quelle dei vegetariani odierni indica una dieta prevalentemente vegetariana (Consiglio e Siani 2003 op. cit. )

25. In mancanza di dati archeologici, la fonte più importante di inferenze sul passato sono le condizioni di vita odierne delle ultime popolazioni di cacciatori raccoglitori; essi sono ben nutriti rispetto ai vicini coltivatori, e di solito in salute (Vickers W.T. “The health significance of wild plants for the Siona and Secoya”. In Etkin, N.L. (Ed.), 1994 op. cit. pp. 143-165), ed i loro problemi parassitari ed infettivi sono probabilmente in equilibrio con la popolazione (Kiple 1993 op. cit. ).

26. Ma, come hanno mostrato Mackinnon MJ, Mwangi TW, Snow RW, Marsh K, Williams TN (2005) “Heritability of malaria in Africa”. PLoS Med 2(12): e340,  i fattori genetici dell’ospite sembrano contare per il 25-33% della variabilità totale nella suscettibilità, e solo una piccola percentuale di questa variazione sembra legata ai geni più conosciuti e studiati, rafforzando l’ipotesi che la suscettibilità alla malaria sia sotto il controllo di molti geni differenti, e di fattori non genetici sempre predeterminati, che si articolano in maniera complessa con i fattori genetici.

27. Etkin, N (2003) “The co-evolution of people, plants, and parasites: biological and cultural adaptations to malaria”. Proceedings of the Nutrition Society, 62:311-317

28. Diamond 1997 op. cit.

29.  Johns 1990 op. cit.;  Vickers 1994 op. cit. ; Kiple 1993 op. cit.

30. Anche in questo caso ci si rifa ai agli studi effettuati sulle ultime popolazioni di cacciatori raccoglitori, che utilizzano rimedi per molti problemi: ferite, fratture, slogature, dolore, problemi di pelle, febbre, raffreddore, tosse, diarrea, mal di testa, ecc. Le piante venivano e vengono consumate come infusi, forse ancora prima come pianta fresca o secca ingerita tal quale.

31. Diamond 1997 op. cit.

Silphion feat. Piccioli: “La figura femminile nella Medicina”

Ricevo dall’amica Ilde Piccioli, strega toscana oltre che farmacista, specialista in Scienza e Tecnica delle Piante Medicinali e Fitoterapia, il seguente trattatello, che con piacere ospito e pubblico.
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Il ruolo della donna, fin dall’antichità era deputato a mantenere il buon funzionamento della casa ed il dialogo Economico dello storico Senofonte, discepolo di Socrate, ne è testimone,  indicando molto bene l’ambito di conoscenze e competenze , riservato alle donne.

In età ellenistica ad Atene ed Alessandria esistevano università in cui le donne potevano insegnare e seguire insegnamenti. Per i Romani invece la situazione della donna era molto diversa e difficile e già  a partire dal momento della nascita il padre poteva, se desiderava, non sollevarla dal terreno su cui la levatrice l’aveva posata e  perciò farla morire.

Alle fanciulle erano riservati studi generali, mentre la Vestali, Sacerdotesse della antichissima dea Vesta, che ne custodivano il tempio, mantenendo sempre acceso il fuoco, ricevevano istruzione in campo scientifico, conoscendo erboristeria e farmacologia. Nell’alto Medioevo, la trasmissione della cultura era quasi esclusivamente orale, basata sull’esempio, il consiglio o imitazione di saperi concreti. I conventi maschili e femminili erano un luogo di elaborazione e trasmissione della conoscenza.  e solamente nel IX secolo ci fu una laicizzazione della cultura ed la creazione di  strutture educative pubbliche.

Per secoli, il divario culturale fra i sessi fu consistente, conferendo alla donna un ruolo di subordinazione e limitazione, in seguito col concilio di Trento e l’introduzione della clausura si scoraggiò definitivamente qualsiasi tipo di autonomia, studio e ricerca ,sia delle monache ma anche di tutte le donne.  Dal 1500 in poi inizia la” caccia alle streghe, mentre dal 700′ in poi si preparavano le bambine ad una vita faticosa dedicata al lavoro domestico ad approntare cibo, abbigliamento e riscaldamento, per tutta la famiglia.

” Le fanciulle hanno bisogno fino dagli anni più teneri di essere avvezzate a quel contegno tranquillo e posato che tanto è favorevole alla modestia e alle grazie, ed è necessario dar loro fin da principio abitudini che le rendano sedentarie”

questo è quanto veniva consigliato nell’800, per quanto concerne l’educazione femminile. Dobbiamo arrivare agli inizi del’900 per trovare una presenza abbastanza significativa di donne che potevano studiare e frequentare le università, non senza problemi e conflittualità e a tutt’oggi non è stata ancora raggiunta la completa parità.

Questo è quanto avveniva in generale, ma se andiamo a guardare il campo medico, e curativo, possiamo notare che fin dalla preistoria le donne erano dedite alla raccolta di frutti e radici, per il sostentamento e la cura del proprio clan, perciò, grazie alla loro esperienza nel campo delle piante medicinali e velenose, commestibili e non, misero anche le basi della botanica e della medicina.

Attraverso l’uso del fuoco, con la cottura, fu poi possibile trasformare chimicamente le sostanze e ottenere medicamenti e cosmetici, da usarsi in cerimonie religiose e danze rituali.  Sempre le donne svilupparono l’agricoltura, conservando le sementi, selezionando cereali selvatici e facendo esperienza di coltivazione ed uso di piante, sia come alimenti che come farmaci. Nei popoli antichi, in campo medico, la presenza femminile è stata sempre particolarmente  significativa, le donne erano per tradizione guaritrici e levatrici.

Ad Atene operò Agnodice, che travestita da uomo, studiò medicina ad Alessandria e sotto mentite spoglie esercitò l’arte medica, acquisendo enorme fiducia fra le donne dell’ariostocrazia, a tal punto che la salvarono dalla condanna a morte , quando fu poi scoperta la sua vera identità sessuale.

Per i romani la donna ideale era rappresentata dalla dea del silenzio Tacita Muta; questo sta ad indicare il ruolo attribuitole in quell’epoca, ma soprattutto in quale considerazione era tenuto il sapere femminile.

Nella realtà il sapere della donna era fortemente temuto dagli uomini e veniva osteggiato, ne sono di esempio i diversi processi che videro numerose matrone imputate di aver fatto uso di “venena”, cioè medicamenti. A testimonianza di ciò si ricorda il processo che si svolse attorno al 180 a.C. in cui vennero condannate a morte 2000 donne.

Tuttavia l’assenza degli uomini per la lunghe campagne militari, permise alle donne una maggior indipendenza  economica e di conseguenza una maggior autonomia, sia a livello psicologico che sociale e questo permise a molte donne  di sviluppare una conoscenza più approfondita in diversi ambiti culturali, in particolar modo in medicina. Si ricordano Metrodora, Cleopatra, la chirurga ginecologa Aspasia e altre ancora.


Di Metrodora si conserva tuttora un trattato di medicina alla biblioteca Laurenziana di Firenze.

Il centro della cultura mediterranea in tale periodo era Alessandria d’Egitto, con la sua famosa scuola il Museion, dedicato alle Muse, patrone delle arti e delle scienze. Lì vi aveva anche sede la famosissima biblioteca che raccoglieva tutti i testi prodotti fino ad allora e che fu poi distrutta in seguito, ad opera degli Arabi.

Molti studiosi di quell’epoca insegnarono a questa scuola contribuendo a renderla famosa in tutto il mediterraneo, a questo polo culturale partecipò, nel I° sec. d.C.,  anche Maria L’Ebrea la più importante alchimista dell’antichità. Di lei restano un testo dal titolo Maria Pratica e alcuni frammenti delle sue dissertazioni.

Il suo operato teorico-pratico, ha  costituito le basi dell’alchimia occidentale e i fondamenti della chimica moderna. Si occupò della formulazione e manifattura di farmaci, cosmetici, profumi, e si devono a lei l’invenzione di tecniche di laboratorio, apparecchiature sperimentali per la distillazione e la sublimazione, alcune delle quali tutt’oggi in uso, come ad esempio il bagnomaria “balneum mariae“, recipiente a doppia parete, nella cui intercapedine, è presente acqua ,utilizzato per il riscaldamento graduale ed uniforme di sostanze. L’importanza che le donne ebbero in quel periodo, viene messa in risalto dal fatto che i lavori alchimistici venivano in generale denominati “Opus mulierum” (opera femminile).

Abbiamo però pochi documenti scritti del lavoro da loro svolto, perchè dette conoscenze erano tramandate oralmente da donna a donna e spesso, quando lasciavano materiale scritto, usavano o nomi maschili o pseudonimi di fantasia.

In seguito nel periodo medievale, dai monasteri emersero molte donne erudite soprattutto badesse, come la naturalista e filosofa Ildegarda di Bingen.

La vita monastica rappresentava all’epoca una valida alternativa al matrimonio, e per molte famiglie ricche, anche la possibilità di non disperdere il patrimonio; in più nei conventi le donne avevano l’opportunità di accedere ai testi presenti nelle biblioteche e di conseguenza anche  istruirsi. Successivamente con il crescente sviluppo economico, i conventi divennero inadeguati come centri di cultura ed incapaci di rispondere ai bisogni di una società che stava espandendosi.

Nacquero così nell’XI sec., i primi centri laici di istruzione, le “Universitas Studiorum“, quali Bologna e Salerno, ed in seguito  Parigi ed Oxford. Solo gli uomini erano ammessi a frequentare questi studi, eccezion fatta per l’Italia dove si hanno notizie di donne che insegnavano e frequentavano alcuni corsi, ed in particolare alla Scuola Medica di Salerno.

Si ha notizia di una cospicua presenza di donne che esercitavano la professione medica, con una formazione extra-accademica, molte volte si affiancavano ai medici laureati alle università, in un rapporto spesso conflittuale. Per gli uomini gli studi prevedevano molta teoria, ma avevano poca dimestichezza con la cura degli ammalati, mentre le donne avevano una formazione pratica sotto la guida di altre professioniste esperte. Vi furono degli ambiti medici esclusivamente di competenza femminile, come l’ostetricia e la ginecologia, ma anche nella cura dei “mali dell’anima”, le donne furono le prime operatrici, per questo si possono considerare anche pioniere della psicologia. Farmaciste e cerusiche erano organizzate in corporazioni, mentre guaritrici e levatrici, disponevano di metodi contraccettivi, procuravano aborti , davano assistenza alle donne durante la gravidanza  e  parto, effettuando anche parti cesarei.

In Italia venne mantenuta la presenza di donne di medicina ,così come era tradizione anche in epoca romana e Trotula e le Mulieres della scuola Salernitana ne sono l’esempio, infatti Salerno ,che a quei tempi era un centro di scambio  commerciale conosciuto in tutto il mediterraneo ,rappresentò il primo centro di cultura non controllato dalla Chiesa e la prima Università europea, ma soprattutto, aveva la peculiarità di essere aperta anche alle donne.

Poco si conosce di Trotula de Ruggiero, discendente di un antico e nobile casato, e come tale ebbe la possibilità di frequentare le scuole superiori e di specializzarsi in medicina. Visse a Salerno intorno al 1050, sposo il medico Giovanni Plateario da cui ebbe due figli che seguirono la stessa professione dei genitori.

Lasciò parecchi trattati di medicina, soprattutto in campo ginecologico e dermatologico, dimostrando approfondite conoscenze della scuola di Ippocrate e di Galeno. Raccolse gli insegnamenti di sette grandi maestri della Scuola, nel testo De Agritudinum curatione ed insieme al marito ed i figli scrisse un manuale di medicina. Inoltre elaborò un trattato sulla cura delle malattie della pelle, conosciuto come Trotula minor, nel quale descrive rimedi per l’igiene del corpo e da consigli su come migliorare lo stato fisico con massaggi e bagni, per questo si può  considerare una anticipatrice della naturopatia. Ebbe idee innovative per quanto riguarda l’approccio preventivo alla salute,consigliando un corretto stile di vita, una sana alimentazione e soprattutto per quell’epoca una adeguata igiene del corpo.

Nel suo trattato di cosmesi De ornatu mulierum fornisce ricette su come curare e tingere i capelli, combattere l’alito cattivo e sbiancare i denti, depilarsi, togliere le borse sotto gli occhi, truccare viso e labbra. I suoi studi in campo ginecologico ed ostetrico, furono notevoli, e soprattutto nella trattazione degli argomenti non vi era nessun accento moralistico, cosa inusuale per quei tempi. Si occupò di malattie sessuali, di sterilità ricercando le cause, non solamente nella donna ma anche nell’uomo, contrariamente a quanto era affermato all’epoca.

Studiò nuove metodologie per rendere il parto meno doloroso e per il controllo delle nascite. Tutta questa mole di lavoro fu di molta utilità alle donne che ricorsero alle sue cure e divenne parte della tradizione popolare; i suoi scritti furono anche usati come testi classici presso le maggiori scuole di medicina fino al XVI° sec. Sono arrivati a noi diversi documenti di poco successivi all’epoca di Trotula, che parlano di lei come donna rinomata nell’arte medica a Salerno, sono documenti che provengono da diverse parti dell’Europa. Questo sta a significare quanto ampia fosse la sua fama.

Un altro suo testo, “De passionibus Mulierum Curandarum“, conosciuto successivamente come Trotula major, venne trascritto ed utilizzato fino al XIX sec., ma nel corso del tempo venne attribuito ad un fantomatico medico “Trottus”, così come avvenne anche per altri testi scritti da donne.

Alcuni storici cercarono di negare l’autenticità dei suoi testi, obbiettando che una donna non poteva aver scritto testi così importanti ,ma contrariamente a ciò,alla fine dell’ottocento, l’opera di Trotula  fu pienamente riconosciuta grazie, agli studi di ricercatori italiani.


Troviamo all’incirca nella stessa epoca ma questa volta in Germania, una figura molto importante ed eclettica che, per la peculiarità del suo lavoro, è tuttora attuale. Si tratta di Ildegarda di Bingen, che nacque nel 1098 in Sassonia, da una famiglia aristocratica e dall’età di otto anni fu chiusa in convento, dove la zia Yutta era badessa. Pur non avendo ricevuto un insegnamento sistematico,studiò in parte sotto la guida della zia ed in parte come autodidatta, divenne una donna di grande cultura che conosceva bene  sia il pensiero medievale, che quello antico, reintrodotto in occidente tramite la cultura araba.

Di salute cagionevole, trascorse molto tempo a letto a causa di numerose malattie ed in quei frangenti ricevette molte visioni, che tenne nascoste fino all’età di 42 anni, ma che trascrisse nei suoi trattati mistici. L’autenticità delle sue visioni fu esaminata in seguito, da una commissione papale e quando il papa Eugenio III, nel 1147 pronunciò il riconoscimento ufficiale della chiesa, divenne una figura pubblica e nota in tutta Europa. Ildegarda fu una donna autorevole ed impegnata sia sul piano politico che culturale, fu spesso in contrasto con il clero della chiesa cattolica, fondò il monastero di Bingen, in Germania diventandone poi badessa. La sua personalità fu straordinaria, soprattutto se pensiamo all’epoca in cui visse, resta la più celebre fra le religiose e le  scienziate medievali.

Spaziò dalla medicina alle scienze naturali, alle composizioni musicali, e alla pittura: Ildegarda non rivendicò mai una ispirazione autonoma delle sue opera,  ma preferiva definirsi “il piccolo messaggero di Dio”.

Produsse molti testi: una cosmologia inclusa nel Liber Scivias e nel Liber Divinorum operum, il Liber vitae meritorum, terzo libro di visioni, nel quale Ildegarda rappresentò una discussione fra vizi e virtù, che ritroviamo poi alla base della sua  concezione medica. Fu la prima donna a comporre brani musicali sacri, raccolti sotto il nome di “Symphonia harmoniae celestium revelationum”. Famose sono anche le sue lettere a vari destinatari, in cui Ildegarda trattò di diversi argomenti, soprattutto in riferimento a richieste di consigli di ordine spirituale.

Scrisse inoltre un’opera di argomento medico Causae et Curae ed un compendio di scienze naturali Physica, in cui sono riportate moltissime piante, animali ,pietre e metalli e le indicazioni delle loro proprietà curative. Ildegarda conosceva l’arte medica di Galeno e quella praticata nei conventi medievali ed era una famosa guaritrice e dotata di poteri miracolosi. Morì all’età di 81 anni, e sebbene non sia mai stata canonizzata, la chiesa ha concesso che sia onorata come una santa.

La sua intuizione scientifica può considerarsi di straordinaria modernità, infatti elaborò una visione terapeutica che preannuncia da vicino quella della medicina olistica. I suoi “rimedi” sono basati sulla teoria dei temperamenti, sul caldo e sul freddo, sull’umido e sul secco, e su un bilanciamento rispetto ad una carenza o ad un eccesso di sostanza. Alcune delle sue intuizioni, se non tutte sono tuttora utilizzate.

Intuizioni e visioni per la salute dell’essere umano

Ildegarda vedeva l’essere umano come parte di una relazione ecologica, afflitto  però dal “male di vivere” che lo poteva isolare pericolosamente e farlo ammalare.

In questo dunque possiamo vedere a sua attualità, che si esprime nella visione

della malattia come rottura dell’equilibrio fra corpo e spirito: l’uomo si ammala quando, quando è in conflitto con se stesso e con gli altri, quando subentrano emozioni negative come la rabbia, l’odio e la paura.

Salute e malattia dipendono quindi dall‘equilibrio tra corpo e Anima.

Secondo Ildegarda la guarigione avviene non solo tramite la tecnica o la medicina, ma occorre restaurare l’equilibrio interrotto , lavorando su se stessi, col perdono e con la consapevolezza dei propri stati d’animo: in pratica lavorando su ciò che ha  causato la disarmonia. Senza un risveglio e lo stimolo di questi poteri, che lei chiamava “virtù”, la guarigione non può verificarsi.

La parte centrale del suo pensiero ruota intorno alla Viriditas o energia vitale, intesa come rapporto tra l’uomo – con le sue riflessioni e le sue emozioni – e la natura, preziosa alleata per guarire dalle malattie.  La Viriditas riassume la nozione universale di salute, di prosperità e di bellezza, ciò che i latini chiamavano integritas (integrità) e i greci holon (il tutto).

Inoltre Ildegarda anticipa le indicazioni della recentissima medicina di genere, personalizzando la posologia del rimedio, a seconda che ad assumerlo fosse un uomo o una donna.
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BIBLIOGRAFIA:

S.Sesti, L.Moro: Donne di scienza , Pristem-Eleusi  seconda edizione marzo 2002

R.Levi Montalcino,G.Tripodi: Le tue antenate, ed. Gallucci 2009

a.a.v.v. : Il Farmaco nei tempi, dalle origini ai laboratori: ed. Farmitalia-Carlo Erba 1987

C.Zamboni: Filosofia donna, percorsi di pensiero femminile, ed. Giunti 1997

R. Schiller: Le cure miracolose di Suor Ildegarda, ed. Piemme 1994

G. Vicarelli: Donne di Medicina ed. Il Mulino 2008

G.Hertzka: Piccola Farmacia di Sant’Ildegarda, ed. Ancora Milano 1994

I. Porciani, Le donne a scuola. L’educazione femminile nell’Italia dell’Ottocento, ed. Il Sedicesimo, Firenze, 1987.

G. Bonadonna , Donne in medicina. Ed. Rizzoli Milano 1991

Siti consultati

www.universitadelledonne.it

www.scuolamedicasalernitana.it

www.accademiajr.it

Stress ossidativo e infiammazione nel malato oncologico

Ricevo  dalla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, e pubblico

Il 27 marzo 2010 a Milano, presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, si terrà il convegno

“Stress ossidativo e infiammazione nel malato oncologico”

Breve orientamento sul convegno:

Tutti ne parlano, anche la televisione trasmette spot pubblicitari sugli antiossidanti.
Si tratta di argomenti di grande attualità, per questo riteniamo che possa essere utile approfondire il tema degli antiossidanti e dell’infiammazione, in particolare nella gestione del malato oncologico, anche nell’ottica della prevenzione di malattie.

I relatori presenti sono tutti di grande livello, tra di essi spicca il Premio Nobel 2008 per la Medicina, prof. Luc Montagnier, a loro si aggiungerà il valore aggiunto di ogni singolo iscritto che potrà portare nelle discussioni il proprio contributo.

Con la presente Vi invito ad iscrivervi e a diffondere questa mail ai Medici, Farmacisti e Biologi di vostra conoscenza che riteniate interessati agli argomenti proposti, certo che tutti noi trarremo da questo evento non solo conferme di ciò che già sappiamo, ma anche spunti di riflessione e, soprattutto, notizie pratiche di immediata applicabilità nella professione.

Dr. Alberto Laffranchi

Responsabile scientifico del Gruppo Me.Te.C.O. (Medicine e Terapie Complementari in Oncologia), Organizzatore dell’evento.

Nota: Il costo iscrizione è stato inevitabile per poter sostenere la giornata, abbiamo comunque cercato di contenerlo e fino al 2 marzo sarà ridotto del 30%, per questo se siete dell’idea di iscrivervi, vi invito a farlo rapidamente.

Programma_27marzo