Fitoalimurgia Chepang 1/2

In questi giorni di tribolazione per il Nepal (leggi qui e qui le cronache di Enrico Crespi), spintonato da un post di Meristemi (eccolo qui) sulla fitoalimurgia, prendo l’occasione per scrivere nuovamente di Chepang, un gruppo etnico di cui avevo già parlato in un’altra occasione, descrivendo un albero particolarmente importante nella loro cultura.

Come giustamente rimarca Meristemi, la fitoalimurgia, o più in generale lo studio del ruolo delle piante selvatiche o non coltivate nella storia dell’uomo, è particolarmente affascinante perché rappresenta una chiave di lettura poliedrica, che ci permette molteplici punti di entrata nel “discorso” piante e uomo. Inoltre è un esempio di ciò di cui parlava Andrea Pieroni in un post di qualche tempo fa, ovvero delle dimensioni pratiche ed etiche dell’etnobotanica, che diviene una attività non solo accademica ma applicata, uno strumento per modificare la realtà.

Il tema delle piante selvatiche tra cibo e medicina pone inoltre in primo piano il problema dell’articolazione tra tradizione e progresso scientifico. Mi ci hanno fatto pensare i post di Anna Meldolesi sul consumo etico, e di Bressanini sugli OGM, e non tanto per quello che hanno detto, quanto per le riflessioni che mi pareva scaturissero dai vari commenti.

Le strategie di gestione, di raccolta e di conservazione delle piante selvatiche sono pratiche tradizionali che meritano di essere studiate? O dovremmo invece pensare che siano fasi primitive, preagricole, del nostro rapporto con le piante, quindi ormai desuete e impari allo scopo? La fitoalimurgia è un campo dello scibile utile solo a survivalist che si allenano per la terza guerra mondiale, o per romantici innamorati del folklore, oppure ci possono dire qualcosa di rilevante sulle strategie di salute alimentare?

E ancora, se il dato scientifico si deve tradurre in politiche (in questo caso agricole ed alimentari) e se contesti differenti esigono risposte differenti anche a partire dagli stessi dati, le pratiche agricole tradizionali o le pratiche pre-agricole possono rappresentare parte delle politiche alimentari in determinati contesti?

Non intendo tentare di rispondere a nessuna di queste domande, almeno per il momento

I Chepang

Il caso di studio dei Chepang (che ho portato a Pollenzo, presso l’Università di Scienze Gastronomiche, su invito di Andrea Pieroni) credo possa servire proprio a vedere la complessità del problema, e di come la soluzione ai problemi di salute e sicurezza alimentare passi contemporaneamente dalla necessità:

1. di un approccio trickle-up, ovvero che parte dall’ascolto delle popolazioni locali, della loro percezione dei problemi e delle possibili soluzioni (che spesso sorprende chi parte da posizioni preconcette)

2. di un approccio scientifico allo studio dei sistemi tradizionali di gestione del territorio e della biodiversità

3. dell’inserimento della dimensione dell’identità culturale di un gruppo all’interno dell’equazione sulle possibili soluzioni.

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Rimando i lettori al post precedente per una introduzione ai Chepang. Ricordo brevemente che sono vissuti come cacciatori-raccoglitori fino a poco tempo fa, dipendendo interamente dalla foresta come fonte di radici e piante alimentari, e cacciagione,  fino a 100-150 anni fà.[1]

Più di recente sono diventati stanziali e si sono adattati ad una vita da agricoltori con la tecnica del debbio (in lingua Chepang Khorya, in inglese swidden, o slash-and-burn).

From Viaggio tra i Chepang di Musbang

Rimangono però ancora pesantemente dipendenti dalla foresta (come d’altronde è vero, in minor misura, per molta della popolazione nepalese, che per il 90% vive in aree al limine tra foresta e campi coltivati) e dai suoi prodotti, o da piante non coltivate (ad esempio il Chiuri– Dyploknema butyracea (Roxb.) H. J. Lam — Sapotaceae, qui la monografia infoerbe) per la sussistenza alimentare, per le medicine, per la cultura materiale, per il foraggio, per il combustibile ed anche per un sostegno economico, dato che scambiano o vendono vari prodotti ai mercati locali.

Sono certamente una delle comunità più svantaggiate del Nepal dal punto di vista socio-economico, dell’accesso all’educazione e ai servizi di salute, in termini nutrizionali (soprattutto deficit proteico, mentre la dieta fortemente vegetale riduce i deficit vitaminici), in particolare tra donne e bambini (i bambini possono soffrire di malnutrizione e le donne incinte di deficienza di ferro e di proteine) (anche se negli ultimi 15 anni molte cose sono cambiate),[4] circa il 50% delle famiglie sono in situazione di debito, con un deficit di contanti molto acuto e con un surplus annuale molto basso; l’agricoltura (in particolare le coltivazioni di mais – Zea mays L. e panico indiano – Eleusine coracana (L.) Gaertner. – Poaceae) provvede sostentamento al 97% della popolazione solo per 5-6 mesi all’anno e per il resto dell’anno le famiglie devono fare ricorso alla foresta ed ai suoi prodotti. [5]

Anche se negli ultimi anni sono stati introdotti gli orti familiari, con cetrioli, pomodori, zucche e zucchine ed altri ortaggi, la maggior parte dei Chepang continua a fare affidamento più sulle piante selvatiche o non coltivate, o sulle piante coltivate con il metodo del debbio. [6]

Come è stato detto, gli alimenti principali dei Chepang sono il mais e la Eleusine coracana. Da quest’ultima si ricava il Dhindo, ovvero la polenta di miglio, e il Jand (bevanda fermentata a base di miglio e mais), la bevanda più tipica, bevuta da tutti in famiglia.

From Viaggio tra i Chepang di Musbang

Di grande importanza, non solo alimentare ma anche culturale, sono i curry a base di larve e pupe di api e vespe, e a base di pipistrelli.

Centrale nella cosmogonia Chepang è, come si è detto, l’albero del Chiuri (Diploknema butyracea), o Yoshi in lingua Chepang, che provvede la famiglia di frutta, miele, nettare, ghee, foglie per piatti, fiori per bevande fermentate, ecc., per il consumo locale o per la vendita nei mercati a valle, vendita che fornisce fino al 60% del reddito familiare (vedi il mio precedente post per il dettaglio sull’albero).

From Viaggio tra i Chepang di Musbang

Altri items venduti o scambiati al mercato sono i germogli fermentati di bambù, i doko (cesti di bambù), i naglo (i grandi piatti di fibre intrecciate per separare il loglio dal cereale) e le namlo (le cinghie da trasporto).

Vivono in villaggi, o meglio gruppi di case sparse sui pendii molto ripidi del gruppo del Mahabarat, nel Nepal centrale lungo i fiumi Trisuli, Narayani e Rapti e nei bacini degli affluenti (Manahari e Lothar al sud, Malekhi e Belkhu al nord) compresi nei Distretti del Dhading, Makwanpour, Chitwan e Gorkha.

Le loro case sono a tetto basso, piccole e quasi sempre ad una sola camera, con poca ventilazione. I componenti della famiglia vivono in questa unica stanza, mentre il secondo piano funge da solaio per I cereali ed altri alimenti conservati. Onnipresenti nella casa sono il ripiano di bambù sopra al fuoco per essiccare ed affumicare carne, pesce e cereali (e semi di Chiuri), e la mola (due pietre circolari per le farine di cereali), mentre subito fuori dalla porta troviamo l’attrezzo per decorticare il grano o rompere il guscio dei semi.

From Viaggio tra i Chepang di Musbang

A differenza di molto altri gruppi etnici nepalesi, i Chepang non danno molto rilievo alle gerarchie ed alle differenze di genere sessuale che, pur sussistendo, sono meno marcate rispetto al resto del paese. Le donne godono di maggior libertà, ed il cibo viene equamente diviso tra tutti i membri della famiglia, senza differenze di età o di genere (cosa non comune nel resto delle zone rurali del paese, dove spesso le donne devono nutrirsi dopo il resto della famiglia e con ciò che rimane, nutrendosi quindi poco e male, un dato rilevante per il problema del prolasso uterino).

Studi antropologici

Mentre i Chepang sono stati oggetto di molte ricerche ed analisi di tipo sociologico, minori e di minor qualità sono gli studi e gli interventi sullo sviluppo economico e sociale. Come lamentano gli stessi Chepang, c’è veramente poco sui Chepang che provenga dai Chepang stessi, e poco spazio è stato dato alla domanda “quale beneficio ha portato ai Chepang tutto il lavoro svolto sui Chepang?”. [7]

Fino a poco tempo fa i progetti governativi si sono poco interessati alle definizioni di sviluppo fornite dai locali, e spesso gli sforzi delle ONG sono stati trascurabili e politicamente non impegnati, evasivi, almeno fino alla metà degli anni ‘90.

Nel 1993 si è tenuto il primo “Gathering of the concerned” e nel testo che raccoglie le esperienze di questo incontro, emergono le istanze avvertite come più pressanti: [8]

1. Inferiorità, o mancanza di autostima, imposta ed istituzionalizzata. Quando CAED iniziò a lavorare con I Chepang, era comune riferirsi ad essi, anche nei documenti ufficiali, come Jungli (selvaggi/incivili) o Bankar/Banmanchhe (scimmie), ed in genere caratterizzarli come primitivi e stupidi. Questa istanza è stata infatti il primo punto di “attacco” del progetto SEACOW, la rivalutazione delle competenze e conoscenze del gruppo rispetto alle NTFP, competenze che potevano essere tradotte in riscatto sociale ed economico.

2. La cultura. Secondo Battharai le domande che è necessario porsi, prima della classica: “come facciamo a salvare la cultura dei Chepang?” sono le seguenti: “perché è necessario salvare o conservare questa cultura quando sono gli stessi Chepang a non voler essere chiamati così, a rifiutare la propria cultura? E come identifichiamo la cultura da salvare? Chi è che vuole conservarla e perché? Non si rischia un approccio tipo ‘zoo umano’?” E’ possibile raggiungere un maggior benessere senza rischiare la perdita di identità culturale?”. [9]

3. Autonomia tribale. Come si può gestire il miglioramento delle condizioni economiche vis-a-vis l’autonomia tribale e culturale, dove troviamo l’equilibrio? In particolare quale è la soluzione più desiderabile al problema della gestione della foresta? Nazionalizzazione, proprietà privata o diritti etnici collettivi?

4. Sostenibilità. L’opinione fortemente espressa dai Chepang e dalle ONG locali è che è insostenibile continuare a discutere del concetto di sostenibilità solo in termini economici. Questa tendenza ha eclissato importanti istanze, come ad esempio la necessità di rinforzare le risorse di base, la giustizia sociale e i bisogni specifici ed area-dipendenti.

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Note

[1] Bista DB (2004) People of Nepal. Ratna Pustak Bhandar

[2] Chhetri NS, Ghimire S, Gribnau C, Pradhan S, Rana S (1997) “Can Orange Trees Blossom on a Barren Land”. In Identification of development potentials of Praja communities in Chitwan Distict SNV, Kathmandu; Marandhar NP (1989) “Medicinal plants used by Chepang tribes of Makwampur District, Nepal”. Fitoterapia Lx, Perish; Bhattrai TR (1995) “Chepangs: Status, efforts and issues; a Syo’s perspective”. In TR Bhattrai Chepang Resources and Development. SNV/SEACOW, Khatmandu; Gautam MK, Roberts EH, Singh BK (2003) “Community based leasehold approach and agroforestry technology for restoring degraded hill forest and improving rural livelihoods in Nepal”. Paper presented at the International Conference on rural livelihoods, Forest and Biodiversity, Bonn; Pandit BH (2001) “Non-timber forest products on shifting cultivation plots (Khorya): a means of improving livelihoods of Chepang Rural Hill Tribe of Nepal”. Asia-Pacific Journal of Rural Development; 11:1-14

[3] declino dovuto probabilmente ad una epidemia

[4] Kerkhoff, E. & E. Sharma. (2006) Debating Shifting Cultivation in the Eastern Himalayas: Farmers’ innovations as lessons for policy. International Centre for Integrated Mountain Development (ICIMOD), Kathmandu

[5] Balla, M.K., K.D. Awasthi, P.K. Shrestha, D.P. Sherchan & D. Poudel. (2002) Degraded Lands in Mid-hills of Central Nepal: A GIS appraisal in quantifying and planning for sustainable rehabilitation. LI-BIRD, Pokhara, Nepal

[6] Aryal G.R. & G.S. Awasthi. (2004) “Agrarian Reform and Access to Land Resource in Nepal: Present status and future perspective/action“. ECARDS review paper (Unpublished). Environment, Culture, Agriculture, Research and Development Services (ECARDS), Kathmandu, Nepal

[7] Bhattarai, Teeka R. (1995) Chepangs, resources, and development : collection of expressions of the Gathering of the Concerned, 7-9 February 19. Kathmandu: SNV: 1995. 185 p.

[8] Bhattarai, Teeka R. (1995) Op. Cit.

[9] Bhattarai, Teeka R. (1995) Op. Cit.

Prolasso uterino in Nepal, un progetto da sostenere!

(English version here)

Finalmente riesco a pubblicare una intervista a cui tengo molto. Nel 2004, la prima volta che sono andato a lavorare in Nepal, la ONG con la quale collaboravo era il CAED (Centre for Agro-Ecology and Development), una ONG nata nel 1992 per interventi nel campo agroforestale, conosciuta soprattutto per il suo progetto leader del 1993, SEACOW (School of Ecology, Agriculture and Community Works), e che ha una forte sensibilità per l’approccio sociale e di genere, e la convinzione che sia possibile lavorare nel campo dell’ecologia, dell’agricoltura sostenibile, della protezione ambientale e dei diritti umani usando uno stile di intervento distante da quello di stile fortemente occidentale tipico di molte altre ONG.
Avevo già parlato di questo gruppo in un post precedente, riguardo al loro lavoro con l’etnia Chepang. Già allora mi aveva colpito il lavoro multidisciplinare della ONG, che spingeva molto sui temi della mobilizzazione delle risorse locali da parte dei locali, sui processi di trasformazione piuttosto che su target predefiniti, ed in particolare su processi di autotrasformazione e di educazione degli adulti (REFLECT), sulla necessaria interconnessione tra temi ambientali e temi sociali, di genere, culturali ed identitari, e politici. Nel 2004 il CAED stava già lavorando al progetto sulla crisi del prolasso uterino, denominato Sustainable Livelihood Programme (SLP), e stavano in quei giorni filmando un documentario di educazione sanitaria indirizzato alle famiglie delle zone rurali.

Tra pochi mesi tornerò in Nepal cercando di documentare i progressi nel lavoro sull’etnia Chepang e nella campagna sul prolasso uterino, ed ho pensato che era ora che rendessi più disponibile ad un pubblico italiani questo progetto, che personalmente sostengo e che invito tutti a sostenere.
L’intervista è con Samita Pradhan, direttrice del programma sul prolasso uterino e cofondatrice di CAED.
Chi, dopo questa lettura, fosse interessato alla possibilità di sostenere il programma SLP, può contatarmi o contattare direttamente il Maya Fund presso il CAED (Maya Fund, CAED, P Box 4555, Kathmandu, seacow@healthnet.org.np)

La versione originale dell’intervista, in inglese, è qui

Silphion: ciao Samita, mi piacerebbe iniziare con una rassegna generale della situazione in Nepal in questi giorni, dopo le elezioni. Quanto facile, o difficile, è per te e per CAED continuare con le vostre attività? Come è cambiata la situazione dall’ultima volta che sono stato in Nepal (estate del 2006)?

Samita: in Nepal c’è al momento una crisi energetica,  ci sono solo 16 ore di elettricità  al giorno, solitamente concentrate alla sera, e praticamente non abbiamo acqua corrente, almeno nelle principali città e villaggi. C’è insufficiente scorta di prodotti petroliferi, le code per la benzina e per il gas da cucina sono lunghe, e rimaniamo con appena 10 ore di elettricità alla settimana nelle ore lavorative. E questi sono solo alcuni esempi

Si.: cosa c’è all’origine di questi problemi?

Sa.: le centrali elettriche lavorano solo parzialmente, a causa dei danni alla diga del Terai orientale causati dalle ultime inondazioni. Il governo non ce la fa a rispondere alle richieste di elettricità, le risorse sono insufficienti.
Dal punto di vista politico la situazione non è nè molto stabile nè molto sicura, gli episodi di violenza sono aumentati, come anche le proteste, le manifestazioni ed anche le uccisioni.

Si.: secondo te cosa quali sono le cause scatenanti di questa situazione?

Sa.: il cambio di regime dalla monarchia alla democrazia ha innalzato le aspettative del popolo, ed ora la gente vuole poter richiedere ciò che è loro di diritto.
Nel passato abbiamo pazientato troppo con il governo, ma ora dobbiamo imparare anche a non essere eccessivamente impazienti. E forse questo è un normale processo in momenti critici come questi.
D’altro canto, l’insoddisfazione è comprensibile, la vita non è facile senza elettricità e senza acqua, cosa che per molti significa senza lavoro e senza paga.  Le persone hanno normali esigenze di base, ed ora sono arrabbiate, ed anche se tutto questo non è responsabilità esclusiva dei maoisti, sono loro ad essere al comando ora. Non si tratta semplicemente della richiesta di una minima qualità di vita, la gente ha iniziato a reclamare i propri diritti da molte angolazioni, ad esempio si parla di diritti delle popolazioni indigene, di stato federale, delle popolazioni del Terai, dei dalit (gli intoccabili), della discriminazione e della violenza verso le donne, ecc.
Ci sono proteste in ogni dove, anche nei villaggi più piccoli. Qui a Kathmandu sono molto comuni le manifestazioni degli studenti e gli scioperi dei tassisti.

Si.: quindi i problemi e le violenze sono aumentate anche nella valle di Kathmandu?

Sa.: si, la valle di Kathmandu è meno sicura di una volta, e non sappiamo quanto tempo ci vorrà, una volta usciti di casa, per andare a lavoro o per visitare i luoghi che dobbiamo visitare.
Le regioni del Terai, che comprendono così tanti gruppi etnici diversi (Terai madhesis, tharus, dalits ecc.) con aspettative differenti, sono anch’esse molto instabili, mentre le regioni collinari (l’area del Mahabharat Lekh) sono più sicure.

Si.: e tutto questo ha un impatto sul progetto?

Sa.: tutti questi scioperi ritardano il procedere del progetto, molte volte siamo costretti a cambiare il programma della giornata, ed è molto difficile pianificare le cose in anticipo. La situazione ci fa sentire insicuri dato che le uccisioni sono diventate abbastanza comuni in Nepal

Si: Dopo questa rapida descrizione della situazione generale in Nepal, mi piacerebbe che introducessi il soggetto del prolasso uterino e del lavoro che state facendo in questo campo.

Sa.: Il problema del prolasso uterino era conosciuto da molto anni ma non ha ricevuto alcuna attenzione, anche da parte delle ONG che lavoravano con le donne, o dal governo. CAED ha iniziato a lavorare  in questo campo perché era riportato come un problema scottante per le donne del distretto di Achham, nell’ovest. Negli anni sempre più ONG e persone si sono interessate al problema ed hanno comunicato con le gente e i politici, dicendo che qualcosa era possibile fare. Il CAED ha nominato il programma sul PU Women’s Reproductive Rights Program (WRRP e qui, e qui una esperienza sul campo di una volontaria). Lavora sia a livello di base sia a livello politico. Si concentra principalmente su educazione alla prevenzione, azione pubblica e lobbying, per sensibilizzare uomini e donne sulle cause sociali e mediche, sulla prevenzione ed il trattamento del PU.  E’ stata riconosciuta come una delle organizzazioni leader in questo campo nel paese. Ha avuto successo nell’influenzare almeno in parte la classe politica ed i donatori internazionali.  WRRP supporta e fa lobby sui diritti riproduttivi delle donne, incluso lo spingere perché il problema del PU sia incluso nella National Health Policy and Reproductive Health Strategy.  E’ stata fondata una alleanza di organizzazioni coinvolte con il PU, il cui ruolo sarà di coordinare e fare lobby.
Non posso dire che questo sia derivato dal cambio di regime politico, ma si è sviluppato gradualmente, nel parlare con i politici, ed anche grazie alla pressione dei finanziatori internazionali.

Si.: ci puoi dare dei dettagli sulle dimensioni del problema?

Sa.:  in media il 10% delle donne in Nepal soffre di PU, ma se prendiamo in considerazione la regione del Terai orientale e le regioni collinose del Mahabharat Lekh), questa percentuale sale drammaticamente fino a 42%.  In un lavoro sul campo nel Terai abbiamo intervistati 400 donne, delle quali circa 249 soffrivano di PU (il 62.25%).

Nel 2006 uno studio coordinato dallo United Nations Population Fund ha osservato che vi sono 600.000 donne che soffrono di PU, ed ha stimato un numero di 200.000 donne che necessitavano di interventi chirurgici. Il numero è in aumento perché non molte ONG ne il governo lavorano sulla prevenzione, ed inoltre sempre più donne iniziano a parlarne. Il problema non è più una stigmate, per lo meno nelle zone dove il programma è stato implemenato. D’altro canto, nelle aree che non sono state sede di interventi, è ancora un tabù ed una stigmate.
Durante le sommosse nel Terai orientale 700 donne si fecero avanti richiedendo una cura per la condizione, cosa questa piuttosto rara perché le donne del Terai di solito non vengono fuori dalle case a parlare apertamente con altre persone.  Si fecero avanti perché avevano saputo che esisteva una cura ed anche delle strutture adatte allo scopo.

In Nepal, generalmente, le donne si sposano a 13-15 anni. Questo significa che partoriscono molto giovani. Nello studio effettuato nel Terai orienale, il 38% delle donne soffre di PU dopo il loro primo parto. Questo mostra che i matrimoni precoci (prima dei 20 anni) sono una delle ragioni della prevalenza del PU, mentre altri fattori importanti sono la cattiva nutrizione, utero immaturo, carico di lavoro eccessivo sia prima sia dopo il parto (a volte le donne iniziano a lavorare solo 3 giorni dopo il parto). Importante anche la mancanza di riposo post-partum, il fatto che molte donne partoriscano da sole, nella propria casa, senza l’aiuto di una ostetrica o di una vicina/parente (il 91% nelle aree rurali),  a volte ponendo eccessiva pressione sull’addome durante il parto. Altre ragioni sono la elevata frequenza dei parti e la riduzione del periodo tra i parti.

E c’è da sottolineare il fatto che il PU è più di un problema meramente medico; il problema si radica profondamente nelle discriminazioni di genere. Per esempio, quando nasce una bambina, la famiglia non è felice ed e sa non riceve tutte le cure che sono riservate ai fratelli, la sua dieta non è corretta e sufficiente, sono discriminate sotto tutti gli aspetti. Questo significa che la tradizione impedisce alle ragazze di avere una crescita normale nell’età della pubertà.

Si.: diresti quindi che le cause di questa epidemia sono principalmente di tipo sociale?

Sa.: tieni in mente che la povertà è un fenomeno molto diffuso in Nepal, ma che la malnutrizione deriva principalmente da discriminazione di genere, perché anche donne che provengono da famiglie benestanti si presentano con PU. In una tipica famiglia nepalese la nuora mangia sempre dopo per ultima, e se non c’è cibo rimasto, non mangia.
Per di più, queste donne non hanno accesso all’educazione, lavorano molto duramente in casa, dall’età di 5 anni non si fermano mai, continuano a lavorare anche se hanno un prolasso. Gli uomini non sono nemmeno coscienti che questo sia un problema; sia gli uomini sia le donne pensano che sia normale soffrire di PU dopo il primo parto.

Si.: Quindi quali sono a tuo parere le strategie sulle quali concentrarsi?

Sa.: senza dubbio dobbiamo concentrarci sull’educazione alla prevenzione alle donne e alla famiglia in genere. I matrimoni tra bambini devono essere vietati, si devono insegnare strategie di pianificazione familiare per ridurre la multiparità e per aumentare il tempo tra i parti, si deve intervenire sull’igiene, sulla nutrizione, sui parti seguiti da ostetriche o operatori sanitari, sui periodi di riposo in gravidanza e post-partum. Soprattutto, le donne devono ottenere il controllo sul proprio corpo e sui propri organi riproduttivi, dovrebbero avere accesso a strutture sanitarie e dovrebbero poter esprimersi sui propri diritti.

La soluzione risiede nella prevenzione e non nella chirurgia. Quest’anno  (2009) il governo ha pianificato 12.000 interventi chirurgici; indubbiamente questo è uno sforzo molto importante ma non risolverà il problema a meno che allo stesso tempo non siamo in grado di offrire una educazione alla prevenzione. Questo è un problema che è stato brevemente affrontato ma l’intervento si è limitato a 2-3.000 soggetti.

Si.: Samita, potresti spiegarci come è successo che CAED (che ricordo, è una ONG agroforestale) è arrivata ad interessarsi di questo problema?

Sa.: CAED è nato nel 1991 come ONG agroforestale e sugli NTFP, lavorando inizialmente con la comunità minoritaria dei Chepang.
Avevamo avuto una buona esperienza con questa comunità ed abbiamo adatato questa esperienza nella regione dell’ovest del distretto di Achham, lavorando con i Dalit, i Paria o intoccabili.
Mentre stavamo lavorando in campo fummo avvicinati da delle coppie che volevano discutere problemi di genere, ed alcune donne  parlarono del PU ai membri del nostro staff, spiegando che stavano soffrendo molto. Pensammo che se intendevamo lavorare con le istanze femminili dovevamo affrontare questo problema, presente ormai da decenni. Abbiamo iniziato ufficialmente a lavorare con il PU nel 1998.

Si.: e cosa avete fatto a livello pratico?

Sa.: abbiamo iniziato a discutere con gli ufficiali distrettuali, abbiamo portato le donne perché discutessero di queste istanze a vari livelli, anche a livello ministeriale.  Stavamo tentando di far includere questo problema nel Public Health Scheme/Program (schema sanitario nazionale). Abbiamo anche iniziato a parlare ai giornalisti, perché portassero allo scoperto il problema, per il pubblico generale, per il governo e per i donatori internazionali. Eravamo pienamente consapevoli del fatto che una ONG non può risolvere il problema da sola, e del fatto che è un diritto basilare delle donne quello di ricevere tutti i trattamenti necessari.
Comunque, abbiamo iniziato ad insegnare alle donne e agli operatori sanitari governativi delle strategie preventive di base, metodi per l’inserzione dei pessari (anelli di gomma, di plastica o di silicone collocati nella vagina per sostenere l’utero) ed esercizi per il pavimento pelvico, ed anche l’utilizzo di piante medicinali.

Pessari di gomma
Pessari di gomma

In particolare abbiamo osservato che i rimedi vegetali più comunemente utilizzati erano dei semicupi di acqua tiepida e foglia polverizzata di Neem (Azadiractha indica –  Meliaceae),  o decotti di corteccia di Mango (Mangifera indica –   Anacardiaceae); queste operazioni erano però difficili per molte donne, perché in moltio casi esse non avevano una bacinella o un bagno separato dove farle.
Un altro rimedio utilizzato era l’alcol ottenuto dal frutto del butter tree, mahwa o mahua (Madhuca longifolia – Sapotaceae) usato come medicina per debolezza muscolare e perdite biancastre.

Neem
Neem

Mango
Mango

Butter tree
Butter tree

400 operatori sanitari sono stati preparati nell’ovest e nel Terai orientale, e 100 operatori sociali locali sono stati formati sugli argomenti dei diritti delle donne e sulla discriminazione di genere. 14 ONG locali hanno continuato il lavoro.

I quattro punti fondamentali del nostro programma ora sono:
•    Capacity Building delle ONG locali, dei facilitatori di coppia locali e degli operatori sanitari governativi.
•    Educazione alla prevenzione a livello locale.
•    Lavoro di lobby e di pubblicizzazione a vari livelli (di villaggio, di Distretto, nazionale, media, partiti politici, autorità locali e ministri interessati)
•    Trattamenti chirurgici (pochi)

Si.: i vostri sforzi sono stati coronati da successo?

Sa.: fino ad un certo punto si, da quando abbiamo iniziato il nostro intervento l’istanza del PU è stata introdotta nel programma governativo sulla salute riproduttiva, esiste un programma nazionale specifico sul PU, i media (internet, televisione e radio) ne hanno parlato molto. Qualche mese fa c’è stato un breve intervento del primo ministro alla TV.

Non siamo solo, per lo meno non più, e ci sono altre ONG al lavoro, ma vorrei dire che CAED è ancora l’unica che combina l’aspetto curativo a quello preventivo.
Da quando il problema è diventato “famoso”, i donatori internazionali hanno mostrato più interesse e stanno offrendo finanziamenti; è chiaro che molte ONG sono attratte da questa nuova dimensione. Penso però, a volte, che questa attrazione abbia a che vedere con gli affari, dato che molte di queste ONG si concentrano esclusivamente sulI’aspetto curativo, e fanno pagare cari gli interventi chirurgici, e nello stesso momento abbiamo bisogno di programmi di prevenzione.

Si.: Samita, ci hai spiegato che CAED si è interessata al PU per la prima volta nell’Ovest. La situazione è differente in altre aree del Nepal?

Sa.: come ho detto precedentemente, abbiamo scoperto che anche le donne del Terai soffrono di PU. Nel Terai orientale abbiamo censito 2.300 donne, ed abbiamo riscontrato una prevalenza di PU del 37%.  Il governo ed altre ONG erano al momento del tutto inconsapevoli della dimensione del problema.
Arriverei a dire che nelle aree rurali la maggior parte delle donne soffrono di prolasso, mentre nella regione tibetana il problema è minore, ma i dati a disposizione sono pochissimi, ed è quindi difficile dare numeri specifici ed accurati.
Secondo alcuni ricercatori la prevalenza è minore nei distretti del Mustang e di Solukhumbu, mentre un censimento del Nepal centro-occidentale, in particolare del distretto di Mugu, nella regione del Karnali, mostra una prevalenza elevata.
Una delle possibili ragioni per la prevalenza nelle aree rurali occidentali è lo status molto basso delle donne, la presenza di molti tabù. Ma questo non spiega tutto, perché nella regione del Terai (che ha la stessa prevalenza), non ci sono gli stessi problemi di status o di tabù sulle mestruazioni.
E quindi torniamo a quanto detto prima:  mancanza di supporto durante il parto, livelli molto elevati di sforzo fisico e lavoro durante la gravidanza e prima e dopo il parto.

Si.: diresti che la religione gioca un ruolo nella prevalenza?

Sa.: insomma, nel Terai orientale sono prevalentemente Hindu, e questo certamente ha un ruolo con le differenze di genere, mentre nelle regioni himalaiane esistono religioni differenti con impatto differente sul ruolo femminile. La prevalenza sembra più elevata nelle donne appartenenti alle caste Brahmin e Chhettri che sono praticanti Hindu. Non volgio suggerire che vi sian un arelazione diretta con la religione, ma  a causa della fede e delle credenze della cultura Hindu, le donne sono trattate come intoccabili nel periodo mestruale e post-partum (almeno fino al 21o giorno). Vi sono così tanti tabù sociali legati alla religione che è innegabile che vi sia un legame tra PU e religione.

Si.: bene Samita, in conclusione, quali sono a tuo parere i prossimi passi necessari, o che come CAED avete programmato?

Sa.: brevemente, CAED è coinvolto attivamente nella attività di lobby presso il governo per sviluppare dele politiche specifiche sul PU, e nel breve termine intende condividere le proprie esperienze con altre ONG nel paese, pubblicizzando il problema per farlo conoscere ancora di più alla gente, ai politici perché se ne occupino sotto vari aspetti, intende inoltre formare sempre più operatori sociali, rappresentanti di ONG, donne attiviste e counselor, fornire educazione preventiva a livello locale, e continuare il suo lavoro di lobby e di supporto a livello generale.
Nel lungo termine dobbiamo promuovere una ricerca specifica a livello nazionale sul prolasso uterino, attraverso il governo, perché abbiamo bisogno di evidenmza scientifica specifica sui fattori che contribuiscono al PU.
Ma ancora più pressante è la necessità di rafforzare le donne sofferenti, di portare le loro voci alle autorità, di stabilire reti di donne sofferenti, perché sono loro le protagoniste.
Ho contatti con una ONG statunitense che ci aiuterà ad internazionalizzare questa istanza (The Advocacy Project).

Per ultimo, vorrei dire che il prossimo passo per noi è quello di diventare una resource ONG, sulla scorta della nostra esperienza. Abbiamo imparato così tanto dal livello locale, abbiamo esperienza nel far conoscere il problema, nel utilizzare il PU come punto di entrata nel problema più generale della riduzione della discriminazione e della violenza di genere.  Abbiamo esperienza di lavoro sia a livello locale si a livello nazionale.


Risorse in rete

Situazione diritti umani Nepal 2008

Prolasso uterino stampa nepalese

The advocacy project: uterine prolapse alliance

Joint Report UNFPA e TU teaching hospital Kathmandu

Studio di Bonetti su prolasso uterino

Studio di Bodner-Adler su prolasso uterino

Seconda conferenza sulla maternità

Report CAED

L’albero dei Chepang

Un bell’articolo sull’etnobotanica dei Chepang (Arun Rijal (2008) “Living knowledge of the healing plants: Ethno-phytotherapy in the Chepang communities from the Mid-Hills of Nepal” Journal of Ethnobiology and Ethnomedicine, 4:23) mi da lo spunto per parlare della mia breve ma bella esperienza con questo gruppo etnico nepalese, uno dei gruppi più svantaggiati e più poveri del Nepal, che possiede una vasta conoscenza tradizionale del territorio e della sua gestione, e che grazie al lavoro di alcune ONG nepalesi sta riconquistando la propria autostima e la coscienza dell’importanza del sapere locale.

From Nepal 2004

I Chepang, ufficialmente conosciuti come Praja, fanno parte di uno dei 61 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti dal governo nepalese (ce ne sono in realtà più di 80), uno dei più piccoli (rappresentano lo 0,25% della popolazione nepalese) e uno dei più poveri e marginalizzati.
Fisicamente si distinguono per avere delle caratteristiche tipicamente mongoloidi ed il loro linguaggio deriva da dialetti Tibeto-Burmani.

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Vivono in villaggi, o meglio gruppi di nuclei familiari, sparsi sulle colline delle montagne del Mahabharat, nel Nepal centrale, soprattutto nei distretti di Makwanpur, Dhading, Chitwan e Gorkha.   I loro antenati sono stati cacciatori-raccoglitori fino a 100-150 anni fa, e coltivatori con tecnica slash-and-burn.

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Dipendono ancora molto dalla foresta (in particolare dall’albero del Chiuri) per ricavare cibo, materiale ed introiti; la loro dipendenza da una agricoltura più complessa è molto recente.

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Riescono mediamente ad ottenere dalla coltivazione il necessario per sostenersi per 6-8 mesi, mentre per il resto dell’anno (da febbraio a giugno) devono arrangiarsi con la raccolta nel selvatico oppure indebitarsi.  Nel 1999 il 50% della popolazione risultava indebitato, e il reddito pro-capite annuo era al di sotto dei 130 dollari.

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La vendita di prodotti forestali non legnosi (Non Timber Forest Products – NTFPs) rappresenta una fonte di reddito importante che ha molti margini di aumento, che permette un recupero delle tradizioni popolari ed un aumento dell’autostima di questa popolazione che per secoli è stata vista (e si è vista) come retrograda, incapace, primitiva.

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In lavoro di molte ONG nepalesi, ed in particolare del progetto SEACOW (School for Ecology, Agriculture and Community Work) sulle pratiche agricole e produttive ecologiche, si è per l’appunto concentrato sulla capacità di utilizzare il sapere tradizionale e i secoli di rapporto con la foresta per modificare l’immagine di sé di questi gruppi e per demistificare i processi economico-produttivi, in modo che la popolazione stessa possa trarre vantaggio economico e sociale dalle proprie conoscenze.

Parte integrante di questo progetto è lo studio delle piante medicinali della zona.
Le principali piante medicinali tradizionalmente usate dalla comunità Chepag nella zona del Mahabharat sono:
•    Chebulic myrobalan (Terminalia chebula)
•    Belleric myrobalan (Terminalia bellirica)
•    Emblic myrobalan (Phyllanthus emblica)
•    Asparagus racemosus
•    Gurjo (Tinospora cordifolia)
•    Jasminum officinale
•    Castanopsis indica
•    Dioscorea alata
•    Cinnamomum tamala fol.
•    Chiuri (Diploknema butyracea)

L’albero del Chiuri

I Chepang hanno un rapporto particolarmente stretto con l’albero del Chiuri (da loro chiamato Yoshi).  Una famiglia è considerata più o meno ricca a seconda di quanti alberi possiede, e il sapere tradizionale sulle tecniche di semina, raccolta dei vari frutti e derivati e loro utilizzo è di grande interesse perché estremamente specializzato e caratterizzato culturalmente.  Si può senza dubbio dire che la cultura Chepang sia strettamente associata al Chiuri.

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Narra una leggenda Chepang che: “molto tempo fa, una bufala scappò dalla propria stalla di notte e andò a mangiare nel campo di miglio finché non fu completamente satolla.  Ma al momento di tornare, dato che era buio, la bufala non riuscì a ritrovare la strada e cadde in un pericoloso precipizio, e vi rimase incastrata a metà strada.  Nessuno riuscì ad estrarre la bufala, e quindi ella lì morì.  Nello stesso luogo, fertilizzato dalla carcassa, nacque il primo albero di Chiuri”.
Secondo questa leggenda, si possono leggere nel Chiuri le tracce della sua origine: il frutto del Chiuri dà un succo bianco, che è il latte della bufala, e l’olio ottenuto dai semi è il burro di bufala.  I piccoli granelli neri che si trovano nel frutto sono il miglio mangiato dalla bufala durante la notte.  Ancora oggi i Chepang dicono che il Chiuri è come una “bufala da latte per noi”.

Botanica sistematica

  • Nome scientifico: Diploknema butyracea (Roxb.) H. J. Lam
  • Famiglia: Sapotaceae  Juss.  Composta da 800 specie tropicali suddivise in 35-75 generi mal definiti.
  • Sinonimi: Bassia butyracea Roxburgh; Madhuca butyracea (Roxb.) J. F. Macbride; Aesandra butyracea (Roxb.) Baheni

Nomi locali

  • Uttar Pradesh – Chiura, Bhalel
  • Hindi – Phalwara, Phulvara, Phulwa
  • Chepang: Yoshi (Ban Yoshi se l’albero è selvatico e Rang Yoshi se è coltivato).

A dimostrazione della profonda conoscenza che i Chepang hanno del Chiuri, basti sottolineare come essi usino almeno 32 nomi diversi per descrivere l’albero a seconda del tempo di fioritura, del colore del frutto, delle foglie, del tronco, dei rami e dei semi, della forma del tronco e dei rami, della dimensione della consistenza, del sapore e dell’odore del frutto, della produttività ed infine della posizione dell’albero stesso nel territorio.

Descrizione botanica
L’albero del Chiuri è un sempreverde di media grandezza (da 3 a 10 metri in altezza) che necessità di una buona insolazione ed ha una certa tolleranza al freddo. (Jackson 1987, Campbell 1983).

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Ecologia e distribuzione

Nel subcontinente indiano si trova nel tratto sub-himalayano, da Dehra Dun al Buthan, tra i 400 e i 1400 m, ma alcuni esemplari sono stati identificati a 4500 m

In India si trova soprattutto nel Sikkim e nell’Uttar Pradesh (distretto di Pithoragarh) al confine con il Nepal (tra 600 e 1000 m), e nelle colline del Kumaon e del Gharnal.  E’ presente anche sull’oceano indiano, ad Andaman e Nicobar

In Nepal si trova nella zona sub-himalayana, su pendii scoscesi, terreni rovinosi e precipizi, soprattutto nelle foreste dei distretti di Chitwan, Gorkha, Dhading, Rolpa, Argha, Khanchi e Makwampur.  In particolare vi è una grande concentrazione nelle colline del Mahabharat, tra i 500 e i 1400 m.
Si pianta con successo su terreni poveri e sassosi e la germinazione dei semi è di meno di tre settimane.

Importanza del Chiuri
Quali sono i punti di interesse del Chiuri nell’ambito di un progetto di sviluppo?

•    Importanza economica per i contadini poveri.
•    Sostenibilità ecologica: è adattato a terreni non coltivabili e migliora la qualità del suolo.
•    Potenziale economico per l’industria nepalese.
•    Importanza socioculturale per i Chepang.

Il Chiuri rappresenta ancora una fonte di reddito non secondaria per i Chepang (ed altre popolazioni).  E’ normale per ogni famiglia possedere almeno alcuni alberi di Chiuri, da 5 a 10-20 per le famiglie più ricche.  Il possesso dell’albero è slegato dal possesso della terra; una famiglia può possedere degli alberi in terreni non propri; questo possesso le dà il diritto di sfruttare per prima gli alberi per la raccolta dei frutti e dei semi, ecc., fino al mese di Saun masanta (metà di luglio), dopo il quale l’albero diviene di proprietà comune e chiunque può sfruttarlo, anche se di solito vi sono accordi interfamigliari per regolare lo sfruttamento (questo tipo di gestione comune dei beni e di modificazione della proprietà è tipico dei Chepang che si distinguono dal resto delle popolazioni nepalesi anche per un ridotto divario tra uomo e donna rispetto ai diritti).  L’albero è trattato come un membro della famiglia, e gli alberi della famiglia sono ereditati e divisi in parti uguali tra i membri della famiglia stessa.  Il legame con questa pianta è così forte che, quando un albero è malato, viene curato dal guaritore locale proprio come curerebbe un essere umano.

Il ghee derivato dai semi rappresenta la principale fonte di sussistenza per molti Chepang; esso costituisce la principale fonte di grasso alimentare, ed i Chepang preferiscono famiglie numerose anche perché queste significano più mano d’opera per la raccolta dei frutti. La produzione varia da 15 a 60 kg di ghee all’anno, dei quali 3-10 vengono venduti al mercato.  La vendita del ghee rappresenta una fonte di sussistenza potenzialmente molto importante per i Chepang.  De la Court (1995) ha infatti calcolato che vendendo il ghee la popolazione riuscirebbe a comprare 4 volte la quantità di cereali coltivabili nello stesso tempo.  Il problema è che mentre offerta e richiesta di ghee sono sufficienti, i mediatori hanno per molti anni approfittato dell’ingenuità dei coltivatori per aumentare il loro profitto.  E’ necessario quindi creare nuove opportunità di incontro saltando i mediatori.  E’ inoltre necessario risolvere alcuni gravi problemi legati all’albero stesso.

Problemi
In alcune zone del Nepal la produzione di frutti è andata declinando fino ad essere al giorno d’oggi il 20-30% della produzione di dieci anni fa.  Questa riduzione è dovuta ad un aumento della caduta di frutti immaturi, per cause non chiare, ma probabilmente legate a cambiamenti climatici regionali o globali (riduzione delle precipitazioni invernali, erosione del suolo, attacchi di insetti).
Uno dei compiti futuri sarà quello di studiare a fondo le ragioni della caduta dei frutti immaturi, le migliori condizioni pedo-climatiche per l’albero ed eventualmente la selezione di genotipi più resistenti.

Il seme
Il seme costituisce l’11-15% del peso del frutto fresco.

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Composizione
1. Proteine 5-8%

2. Saponine 12-15%
Dalle saponine, dopo l’idrolisi, si ottengono β-D-glucoside del β-sitosterolo e vari diterpenoidi, tra cui acido bassico, acido protobassico e acido idrossiprotobassico.

3. Grassi 41-48% (60-70% del seme decorticato)
Acidi grassi

  • Acido palmitico    50-65%
  • Acido stearico    3-5%
  • Acido oleico        25-36%
  • Acido linoleico    3-4%
  • Acido miristico    0,3%

Trigliceridi

  • Tripalmitina    7,7-10%
  • Oleodipalmitina    54-62%
  • Palmitooleostearina    7-8,6%
  • Palmitodioleina    14,4-23%
  • Oleodistearina    0-0,4%
  • Stereodioleina    0-1,2%
  • Altri    0-13%

4. Carboidrati totali 30%
Zuccheri tra i quali:

  • Glucosio
  • Arabinosio
  • Xilosio
  • Ramnosio

Il guscio del seme (19-30% del peso del seme fresco) contiene flavonoidi tra i quali lo 0,2% di quercetina e 1,75% di diidroquercetina, cosa quest’ultima piuttosto rara.

Grasso
Il grasso ricavato dal seme quando è puro è bianco, di odore e sapore buoni e non irrancidisce facilmente.

Processo di estrazione
•    Raccolta dei frutti maturi
•    Eliminazione polpa e lavaggio dei semi
•    Essiccazione dei semi al sole
•    Contusione e polverizzazione del seme in un piccolo mulino detto dhiki
•    Separazione della farina del seme dal guscio
•    “Cottura” a vapore della farina (contenente il 52% di grasso)
•    La farina viene posta in un cesto di bambù detto pyar , e viene estratta per compressione grazie alla chepuwa, un attrezzo composto di due assi di legno (dette kole) che comprimono il pyar.
•    Dalla prima compressione si ricava il 27% dell’olio; il residuo viene nuovamente estratto ottenendo il 10% di grasso.
•    Una volta estratto il grasso si raffredda e solidifica
•    Il cake (pina) residuo contiene ancora il 15% di grasso.

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Essicazione dei semi al sole e contusione dei semi

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Setacciatura e separazione dei gusci

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“Cottura” dei semi

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I semi “cotti” vengono inseriti in una pressa idraulica e pressati

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Il Ghee di Chiuri assume la sua forma solida dopo essersi raffreddato

Il metodo d’estrazione tradizionale, dal punto di vista occidentale, è poco efficiente, dato che lascia nel residuo dei semi circa il 14% del grasso estraibile.  Un’ovvia proposta è stata quella di utilizzare dei metodi di spremitura più potenti.  Ma la soluzione non è cosi semplice.  Una pressione più elevata estrae una maggior quantità di grassi, ma anche una elevata percentuale di saponine, rendendo il grasso non commestibile, di odore molto sgradevole e di colore dal verde al marrone.  E’ quindi necessario ripartire dai metodi tradizionali e trovare un compromesso.  La spremitura con pressa idraulica può andare bene per la produzione di grasso destinato a successive purificazioni per la fabbricazione di saponi o creme.

Dati fisico-chimici

  • Punto di fusione    47-49° C
  • Sp gr 15° C    0,856-0,870
  • nD 40° C    1,4552-1,4659
  • Acidità    0,5-14,5
  • Saponificazione    170-200
  • Valore dello iodio    40-51
  • Acetyl value    605
  • RM value    0,4-4,3
  • Hehuer value    96,2
  • Polenske value    0,65
  • Non saponificabili    1,4-5% (di solito 2-2,8%)

Cake

Composti           Grezzo*    Processato**
Saponine           15-27%     0%
Proteine            25-37%     18-34%
Grassi               29%           0,25%
Carboidrati       17%           40%
Fibre                4,5%          8,9%

* Dopo la normale estrazione del grasso mediante compressione
** Dopo l’estrazione completa di saponine e grassi

Utilizzo
Semi interi
I semi sono considerati galattogoghi

Grasso

Usi tradizionali
•    Alimentare: usato in cucina in svariati modi, è il grasso più economico sul mercato
•    Medicinale: internamente per costipazione cronica e febbre biliare. Rimedio topico per reumatismi, pelle infiammata e secca, lesionata, tenia pedis.
•    Combustibile per lampade a burro a scopo religioso: non crea fumo od odori cattivi, la sua luce è molto brillante e la fiamma è di lunga durata.

Usi possibili
•    Margarina
•    Buona fonte di acido palmitico per l’industria farmaceutica
•    Candele
•    Saponi, usato al posto dell’olio di cocco
•    Creme ed unguenti medicali
•    Unito all’Attar per ungere i capelli

Cake

Il cake grezzo è usato come:
•    Concime con proprietà pesticide (date dalle saponine), usato per i campi di riso e per le coltivazioni di banani.  E’  però molto povero in azoto (< 4%-5,5%).
•    Sostituto del sapone, soprattutto per il lavaggio del bucato.
•    Vermicida, nematocida, molluschicida, rodenticida ed insetticida
•    Veleno per la pesca, meno tossico dei normali pesticidi utilizzati
•    Veleno per lombrichi per prati e campi da golf
•    Come componente di mix insetticidi.
•    Lozione per capelli in combinazione con Acacia cananna
•    Dopo la rimozione delle saponine si utilizza come mangime per bestiame bovino e polli.

Altre parti del Chiuri utilizzate dai Chepang

Fiori

Composizione chimica

•    Molibdeno    0,95 ppm
•    Zinco    13,95 ppm
•    Zuccheri tra i quali:
•    Arabinosio
•    Ramnosio
•    Fruttosio
•    Glucosio
•    Saccarosio
•    Maltosio
•    Levulosio
•    Destrosio
•    Pentosi
•    Grassi        0,6%
•    Fibre        1,7%
•    Vitamine, tra le quali:
•    Vitamina A
•    Vitamina C
•    Tiamina
•    Acido nicotinico
•    Riboflavina
•    Acido folico
•    Biotina

Il Saccharomyces cervisia è presente naturalmente nei fiori e li rende un ottimo materiale grezzo pronto per la fermentazione alcolica.

I fiori sono inoltre ricchissimi di nettare, che è usato dalle popolazioni locali per fare uno sciroppo molto apprezzato.
E’ una pianta mellifera e le api producono da questi fiori un miele di ottima qualità, usato anche a scopo medicinale per il trattamento dei disturbi dell’occhio.

Usi medicinali
•    Sono considerati rinfrescanti, afrodisiaci, galattogoghi, espettoranti, carminativi.  Usati per disordini cardiaci, pirosi, biliosità, disordini dell’orecchio.
•    Secchi si usano sotto forma di fomente calde per l’orchite
•    Fritti nel ghee si usano per le emorroidi
•    Il liquore ricavato dai fiori viene descritto nell’Ayurveda come: caldo, astringente e tonico

Frutto

Composizione

Parte    % del peso fresco
Buccia    25,3
Seme    18,2
Polpa    5605

La polpa contiene:
•    Acqua    87,5%
•    Fibre    5,56%
•    Zuccheri    6,47%, di cui 3,8% zuccheri riducenti e 3,39% zuccheri non riducenti
•    Pectina    0,289%
•    Vitamina C    3,21 mg su 100 gr
•    Acetato di α-amirina
•    Acetato di β-amirina
•    Palmitato dell’acido oleanolico
•    Eritrodiol-3-caprilato
•    Eritrodiol-3-palmitato
•    D-glucosidi dell’α-spinaserolo e del β-spinasterolo
•    Olio essenziale contenente: etilcinnamato, α-terpineolo e vari sesquiterpeni

Usi
Alimentari: sciroppo per addolcire il tabacco; liquore fermentato; succo di frutta oppure frutto fresco
Medicinali: bronchite, disordini del sangue, consunzione

Foglia

Composizione chimica

•    Entriacontano
•    Esacosanolo
•    Acetato di β-amirina
•    α-spinasterone
•    α-spinasterolo
•    Miricetina-3-O-L-ramnoside
•    Saponine, tra le quali acido protobassico e acido epiprotobassico
•    Glucosio
•    Arabinosio
•    Xilosio
•    Ramnosio

Corteccia

Composizione chimica

•    Tannini (17%)
•    Glicosidi, tra le quali: bassianina a, b e c
•    Vari agliconi polimerici di leucocianidine associati a R-O-xilosio-O-arabinosio-O-ramnosio-O-ramnosio-O-glucosio
•    Acetato di α-amirina
•    Acetato di β-amirina
•    Eritrodiol-3-palmitato
•    Palmitato dell’acido betulinico
•    Friedlina
•    D-glucosidi dell’α-spinasterolo e dell’β-spinasterolo

Usi
Rimedio per reumatismi, ulcera, prurito, gengivite sanguinante, tonsillite, lebbra e diabete
Veleno per pesci

Utilizzo del Chiuri da parte dei Chepang.

  • Tronco: pali e travi, manici di attrezzi agricoli
  • Rami: legna da ardere, manici di attrezzi agricoli
  • Foglia verde: mangime, piatti
  • Foglia secca: ‘cartina’ per tabacco
  • Corteccia: legna da ardere, farmaco veterinario, rimedio medicinale, veleno per pesci
  • Frutto: alimento, sciroppo per tabacco, liquore fermentato, bronchite, disordini del sangue, consunzione
  • Fiore: nettare alimentare, uso medicinale interno ed esterno del fiore e del liquore di fiori.
  • ‘Burro’ dai semi: alimentare, medicinale, combustibile per lampade a burro, fonte di acido palmitico, candele, saponi, creme ed unguenti medicali
  • Cake dei semi: concime, pesticida, sostituto del sapone, veleno per pesci, lozione per capelli, mangime dopo la rimozione delle saponine
  • Lattice: per intrappolare insetti ed uccelli, gomma da masticare

Bibliografia