Sudomagodo…

… di ottima salute.

Verrà pubblicato nell’edizione di agosto di Cell Metabolism uno studio su modelli animali, quindi preliminare, ma che si aggiunge a dati aneddotici e tradizionali sul ruolo che il peperoncino può avere nella riduzione della ipertensione arteriosa. Particolarmente interessante è il ruolo giocato dal recettore vanilloide vascolare nel rilascio di NO, il meccanismo proposto dagli autori per l’attività ipotensiva. Sia i recettori vanilloidi sia l’ossido nitrico sono stati studiati molto negli ultimi anni e sembrano giocare ruoli molto importanti (in particolare NO) in moltissimi scenari. Un altro piccolo tassello che lega i principi pungenti ad attività farmacologiche.

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For those with high blood pressure, chili peppers might be just what the doctor ordered, according to a study reported in the August issue of Cell Metabolism, a Cell Press publication. While the active ingredient that gives the peppers their heat—a compound known as capsaicin—might set your mouth on fire, it also leads blood vessels to relax, the research in hypertensive rats shows.

“We found that long-term dietary consumption of capsaicin, one of the most abundant components in chili peppers, could reduce blood pressure in genetically hypertensive rats,” said Zhiming Zhu of Third Military Medical University in Chongqing, China.

Those effects depend on the chronic activation of something called the transient receptor potential vanilloid 1 (TRPV1) channel found in the lining of blood vessels. Activation of the channel leads to an increase in production of nitric oxide, a gaseous molecule known to protect blood vessels against inflammation and dysfunction, Zhu explained.

The study isn’t the first to look for a molecular link between capsaicin and lower blood pressure. However, earlier studies were based on acute or short-term exposure to the chemical, with some conflicting results. Zhu says their study is the first to examine the effects of long-term treatment with capsaicin in rats with high blood pressure.

The findings in rats should be confirmed in humans through epidemiological analysis, the researchers said. In fact, there were already some clues: the prevalence of hypertension is over 20% in Northeastern China compared to 10-14% in Southwestern China, including Sichuan, Guozhuo, Yunnan, Hunan, and Chongqing, where Zhu is from.

“People in these regions like to eat hot and spicy foods with a lot of chili peppers,” Zhu says. “For example, a very famous local food in my hometown, Chongqing, is the spicy hot pot.”

It isn’t yet clear just how many capsaicin-containing chili peppers a day you’d have to eat to “keep the doctor away,” although that’s a question that should now be examined in greater detail, Zhu says.

For those who can’t tolerate spicy foods, there might still be hope. Zhu notes the existence of a mild Japanese pepper, which contains a compound called capsinoid that is closely related to capsaicin.

“Limited studies show that these capsinoids produce effects similar to capsaicin,” Zhu says. “I believe that some people can adopt this sweet pepper.”

Tidbits

Flora batterica intestinale e salute del sistema immunitario.
In un articolo pubblicato oggi su Nature, alcuni ricercatori australiani hanno esaminato i meccanismi alla base dell’influenza della dieta sulla flora batterica intestinale e sulla funzionalità del sistema immunitario.

Sappiamo già molto sul fato ed il ruolo delle fibre insolubili una volta ingerite, sulla loro funzione di lassativi di massa, di spazzini, e della loro trasformazione batterica nel colon in acidi grassi a catena corta che possono essere assorbiti o agire localmente come antinfiammatori e anticolitici (e qui, e qui, e poi qui).

Più complessa è la faccenduola quando si tenta di capire perché questi cosiddetti prebiotici (ed i probiotici come i fermenti lattici) agiscano anche su patologie infiammatorie ed autoimmuni (o coinvolgenti il sistema immunitario) sistemiche come asma, diabete tipo 1, artrite reumatoide, eczema, ecc.

Qualche idea la si aveva, naturalmente, ma lo studio in pubblicazione aiuta a rivelare i meccanismi a livello molecolare (almeno nei topi). Uno dei recettori presenti alla superficie delle cellule del sistema immunitario (una proteina chiamata GPR43), che si lega agli acidi grassi a catena corta, sembra fungere da recettore antinfiammatorio, ed a regolare quindi la risposta proinfiammatoria. Sempre questo studio sottolinea che non è soltanto la presenza di acidi grassi a catena corta ad essere importante per la modulazione immunitaria, ma anche la salute ed il tipo di flora batterica presente, e che queste due variabili sono in realtà interconnesse, nel senso che cambiamento di dieta modificano la flora batterica, la quale a sua volta cambia il modo in cui noi utilizziamo le fibre insolubili della dieta.

Questo dato, di per se non rivoluzionario dal punto di vista clinico per chi già riconosceva l’importanza della dieta nella salute, è però importante come passaggio verso una maggior comprensione dei meccanismi interconnessi dell’organismo, e mi rafforza nella mia idea di clinico che prima di iniziare una terapia a base di piante (le cui molecole sono spesso modificate nel colon) è necessario valutare e se necessario intervenire sulla salute del colon.

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