Guerra

Nelle ultime settimane uno dei miei blogger scientifici preferiti, Revere (nome collettivo) di Effect Measure (un ottimo blog di epidemiologia), ha postato a giorni alterni video musicali come commenti sulla guerra in Afghanistan, a seguito delle dichiarazioni di Obama sulla strategia per uscire (?) dal paese e dalla guerra.

In genere mi colpisce il fatto che buona parte della rettorica (non in senso negativo) anti-war che origina dagli States si concentri sui soldati americani morti e non su tutti gli altri morti, ma l’ultimo video pubblicato amplia lo sguardo e lo rende più comprensivo, e per questo mi piace linkarlo, non solo per il fatto che condivido la stance del blogger sulla guerra.

Più in generale ripensando alla facilità con la quale ai tempi della guerra nella ex Jugoslavia certuni parlavano di realpolitik, si stupivano della mia indignazione dicendo “ma non lo sapevi che la guerra era così?” , sottointendendo una ingenuità e distanza dalla realtà di chi alla guerra si oppone, mi sovviene il bel saggio di Elaine Scarry: “The body in pain“, (nota 1) ed in particolare il capitolo “The structure of war: the juxtaposition of Injured Bodies and Unanchored Issues”, che ci ricorda l’importanza di affacciarsi sul mondo e toccare la realtà della guerra, ovvero del corpo aperto, lacerato, lesionato, mutilato, morto…

Che ci ricorda che è proprio del discorso sulla guerra (e non necessariamente del discorso dei guerrafondai) il mascheramento, la sparizione, l’obliterazione del nucleo fondamentale della guerra stessa: la ferita, la morte, il danneggiamento e la distruzione di corpi, la creazione di dolore.

E questo mascheramento impedisce di guardare in faccia la realtà, e quindi di indignarsi, di abbassare l’etica dalla testa alla pancia (nota 2).

Offro qui dei lacerti dal capitolo 2 per una meditazione:

“War and torture have the same two targets, a people and its civilization…When Berlin is bombed, when Dresden is burned, there is a decostruction not only of a particular ideology but of the primary evidence of the capacity for self-extension itself: one does not in bombing Berlin destroy only objects, gestures, and thoughts that are culturally stipulated but objects, gestures, and thoughts that are human, not Dresden buildings or German architecture but human shelter.”

“…while torture relies much more heavily on overt drama than does war, war too … has within it a large element of the symbolic and it is ultimately, like torture, based on a simple and startling blend of the real and the fictional. In each, the incontestable reality of the body – the body in pain, the body maimed, the body dead and hard to dispose of – is separated from its sources and conferred on  an ideology or issue or instance of political authority impatient of, or deserted by, bening sources of substantiation.

There is no advantage to settling an international dispute by means of war rather than by a song contest or a chess game except that in the moment when the contestants step out of the song contest, it is immediately apparent that the outcome was arrived at by  a series of rules that were agreed to  and that can now be disagreed to, a series of rules whose force of reality cannot survive the end of the contest because that reality was brought about human acts of participation and  is dispelled when participation ceases.

The rules of war are equally arbitrary and again depend on convention, agreement and participation; but the legitimacy of the outcomes outlives the end of the contest because so many of its participants  are frozen in a permanent act of participation: that is, the winning issue or ideology achieve for a time the force and status of material “fact” by the sheer weight  of the multitudes of damaged and opened human bodies”

“The essential structure of war, its juxtaposition of the extreme facts of body and voice, resides in … the relation between  the collective casualities that occur within war, and the verbal issues (freedom, national sovereignity, the right to a disputed ground, the extraterritorial authority of a particular ideology) that stand outside the war, that are there before the act of war begins and after it ends, that are understood by a warring population as the motive and justification and will again be recognised after the war as the thing substantiated … by war’s activity. “

“The main purpose and outcome of war is injuring. Though this fact is too self-evident and massive ever to be directly contested, it can be indirectly contested by many means and … (t)he centrality of the act of injuring in war may disappear – the centrality of the human body can be disowned – by any of six paths.

First, it may be omitted from both formal and casual accounts of war.

Second, it may instead be redescribed and hence be as invisible as if omitted: live tissue may become minimally animate (vegetable) or inanimate (metal) material, exempt from the suffering that live sentient tissue must bear; or the conflation of animate and inanimate vocabularies may allow alterations in the metal to appropriate all attention …; or the concept of injury may be altered by relocating the injury to the imaginary body of a colossus.

Third, it may be neither omitted nor redescribed and insted aknowledges to be actual injury occuring in the sentient tissue of the human body, but now held in a visible but marginal position by four metaphors that designate it the by-products, or something on the road to a goal, or something continually folded into itself as in the cost vocabulary, or something extended as a prolongation of some other more benign occurrence”

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Nota 1
Riguardo alla più generale posizione della Scarry sul dolore, cioè che esso sia ciò che in maniera assoluta e universale definisce la realtà, e alla differenza con altre concezioni, più storicizzare e relativizzate di dolore, vedi il testo di David Morris The Culture of Pain, ed il testo classico di Eric Cassell, The Nature of Suffering and the Goals of Medicine

Nota 2
In parallelo con la necessità di smascherare i metodi di allevamento intensivo per trasformare una astratta idea di giustizia per gli animali in una sentita etica animalista.

Il sistema endocannabinoide

Le piante ad azione psicoattiva sono da sempre state importantissime per l’indagine sui sistemi neuronali. La più famosa è certamente il Papaverum somniferum, grazie alla quale è stato scoperto ed indagato il sistema delle endorfine.

Ma altrettanto interessante, se non di più, è il campo aperto dallo studio della Cannabis e del sistema degli endocannabinoidi. Per riassumere, nel 1992 è stato scoperto il primo degli agonisti endogeni dei recettori CB (endocannabinoidi): l’anandamide (N-arachidoniletanolamide o AEA) e di seguito il 2-arachidonilglicerolo (2AG).  Altri endocannabinoidi scoperti in seguito sono il palmitoil etanolamide, la virodamina, il NADA (N-arachidonildopamina), e il noladin-etere.

L’AEA e la 2AG funzionano come neuromodulatori o neurotrasmettitori. Vengono infatti sintetizzati ‘al bisogno’ a partire da precursori presenti nelle membrane cellulari neuronali, attraverso una fosfolipasi D (per l’anandamide) o C (per la 2AG); vengono rilasciati velocemente, a seguito di una depolarizzazione, dai neuroni postsinaptici a livello ematico, e agiscono come messaggeri retrogradi per modulare il rilascio di neurotrasmettitori dai terminali presinaptici; l’interazione con CB1 inibisce la neurotrasmissione GABA-ergica nell’area tegmentale ventrale (VTA), causando un aumento del ritmo di firing dei neuroni dopaminergici nel circuito VTA-mesolimbico, con conseguente aumento di dopamina nel nucleo accumbens. (il meccanismo centrale della soddisfazione, o della “carota”, nel sistema allostatico.

I recettori CB e gli endocannabinoidi formano il cosiddetto ‘sistema cannabinoidico endogeno’ (SCE) che secondo Baker e collaboratori, è principalmente un sistema di regolazione delle neurotrasmissioni sinaptiche.

Fondamentalmente la depolarizzazione postsinaptica causerebbe la sintesi e il rilascio di endocannabinoidi che andrebbero ad occupare i recettori CB presinaptici inibendo l’ulteriore rilascio di neurotrasmettitori.  Questa azione inibitoria influisce su molti sistemi di neurotrasmissione, e l’evidenza sperimentale suggerisce una azione su: glutammato, GABA, glicina, noradrenalina, serotonina, dopamina, acetilcolina e neuropetpidi.
Chiaramente l’effetto finale dell’azione modulatrice dipende da quali circuiti neuronali saranno influenzati, dato che gli stessi neurotrasmettitori possono avere effetti diversi secondo il contesto di circuiti nel quale stanno operando. Se lo SCE è un sistema modulante generale non specializzato (che ricorda i sistemi a ‘valore’ di Edelman e Tononi 2000), allora il periodo più plastico nello sviluppo del cervello, quello cioè nel quale avviene una selezione neuronale più spinta (periodo fetale e post-natale fino alla preadolescenza), è particolarmente delicato perché pone le basi per la modellazione di base del sistema.  E’ quindi importante non sottovalutare i possibili effetti di un’esposizione a cannabinoidi esogeni in questo periodo.

Un altro possibile ruolo dello SCE, legato all’azione neuroprotettiva ed antiossidante dei cannabinoidi è quello di meccanismo a feedback negativo che sintetizza endocannabinoidi in risposta a flussi cellulari di Ca eccitotossici (da glutammato), funzionando da sistema di prevenzione del danno cerebrale.

La questione dei meccanismi dello SCE è ulteriormente complicata dall’esistenza di alcuni leganti sintetici che hanno dimostrato un effetto agonista inverso (SR 141716A; SR 144528; LY 320135; AM 630).  Questo effetto suggerisce che lo SCE possieda un ‘tono’ che può essere aumentato o diminuito.  L’esatta natura di questo stato ‘tonico’  non è chiara, ed esistono almeno due teorie non mutuamente incompatibili.  Secondo la prima teoria i recettori CB esistebbero in due possibili stati: on e off; lo stato on può attivare il sistema anche in assenza di cannabinoidi, mentre lo stato off non è attivo.  Un antagonista puro e reversibile agirebbe su entrambi gli stati lasciando l’equilibrio generale sostanzialmente inalterato.  Un agonista inverso non sarebbe altro che un agonista con particolare affinità per lo strato off e che sposterebbe quindi l’equilibrio verso questo polo, mentre un agonista puro non sarebbe altro che un agonista con affinità per lo stato on.  Secondo la seconda teoria invece lo stato tonico dello SCE dipenderebbe da un continuo rilascio di endocannabinoidi agonisti il cui effetto potrebbe essere ridotto da antagonisti puri.

Negli ultimi anni la ricerca si è andata concentrando sul metodo di innalzare la vita media degli endocannabinoidi, metodo che potrebbe avere degli effetti importanti su dolore, appetito, infiammazione,  e memoria.

AEA e 2AG vengono infatti rimossi velocemente dallo spazio extracellulare attraverso un sistema di trasporto selettivo, saturabile e mediato da carrier, presente sui neuroni e sugli astrociti.  Una volta all’interno della cellula AEA  e 2AG verrebbero idrolizzate ad acido arachidonico ed etanolamina. Per la AEA la idrolasi è la idrolasi ammidica degli acidi grassi (FAAH),  quella per la 2AG è la monoacilglicerol lipasi (MAGL). Il problema è che mentre sono stati negli anni sviluppati dei composti che vanno a colpire ed inibire il la FAAH e quindi causano un aumento della concentrazione di AEA con riduzione del dolore, fino ad oggi non era possibile fare lo stesso per la MAGL.

Ma il gruppo di ricerca dello Scripps Research Institute, grazie ad una innovativa tecnica di screening (la Activity-Based Protein Profiling) ha scoperto un composto fortemente inibitore della MAGL, il JZL184. Questo composto ha permesso qundi di studiare il ruolo della 2AG, con sorprendenti risultati: l’aumento della 2AG non solo causa riduzione del dolore, ma induce ipotermia e riduzione dei movimenti (nei ratti), suggerendo una segregazione dei compiti tra differenti endocannabinoidi.

L’articolo è Long et al. (2008) Selective blockade of 2-arachidonoylglycerol hydrolysis produces cannabinoid behavioral effects. Nature Chemical Biology, DOI: 10.1038/nchembio.129