oncovirokiller

Cosa non si impara dai virus…

Partiamo dai meccanismi di invasione e replicazione virale. I virus, per potersi replicare, hanno bisogno dell’apparato cellulare. Le nostre cellule, d’altro canto, si sacrificano per salvare l’organismo quando siano in stato di stress o pericolo. Un gene fondamentale nei processi di tumorigenesi, il gene di inattivazione tumorale TP53, si mette in movimento ed attiva la proteina p53 ed i programmi di apoptosi (suicidio programmato) quando la cellula diventi pericolosa, o perché tumorale o perché infetta.

Gli adenovirus (responsabili per il comune raffreddore) sono in grado di inattivare la p53 comprimendo e rendendo illeggibile i suoi geni, e la stessa p53 è inattivata nella maggior parte delle cellule tumorali. Come piegare a nostro vantaggio questi fenomeni?

Un team di ricerca presso il Salk Institute for Biological Studies (qui un video, e qui la press release) ha pensato che selezionando un adenovirus a cui manca una proteina fondamentale per l’inattivazione preventiva di p53 (E1B-55K), esso non sarebbe capace di replicarsi nelle cellule normodotate di p53, ma solo in quelle nelle quali p53 è inattiva, ovvero le cellule tumorali. Se questo approccio avesse successo, si tratterebbe di una terapia oncolitica molto promettente e mirata.

Quello che è successo poi è molto istruttivo. Nonostante l’esperimento non sia stato un successo, questo insuccesso ha permesso di comprendere meglio i meccanismi di inattivazione di p53. E’ quindi un caso di scuola nel quale l’insuccesso di ottenere l’effetto B agendo sul supposto agente causale semplice A permette di rendere visibile la complessità di A, di esplicitarne le articolazioni.

Gli adenovirus mancanti di E1B-55K non hanno impedito a p53 di attivarsi, ma la cellula non ha comunque attivato il processo di apoptosi. Le indagini per capire le ragioni dell’insuccesso hanno rivelato che gli adenovirus si difendono dall’apoptpsi  attraverso meccanismi multipli (almeno una seconda proteina, E4-ORF3, è implicata). Eliminare E1B-55K aveva eliminato solo la prima componente dell’agente causale. Quello che si spera è che una volta meglio compresa la complessità dei meccanismi causali sia possibile utilizzare queste conoscenze per una terapia oncolitica promettente.

A novel mechanism used by adenovirus to sidestep the cell’s suicide program, could go a long way to explain how tumor suppressor genes are silenced in tumor cells and pave the way for a new type of targeted cancer therapy, report researchers at the Salk Institute for Biological Studies in the Aug. 26, 2010 issue of Nature.

When a cell is under stress, the tumor suppressor p53 springs into action activating an army of foot soldiers that initiate a built-in “auto-destruct” mechanism that eliminates virus-infected or otherwise abnormal cells from the body. Just like tumor cells, adenoviruses, which cause upper-respiratory infections, need to get p53 out of the way to multiply successfully.

“Instead of inactivating p53 directly, adenovirus renders the ‘guardian of the genome’ powerless by targeting the genome itself,” explains Clodagh O’Shea, Ph.D., an assistant professor in the Molecular and Cell Biology Laboratory, who led the study. “It literally creates zip files of p53 target genes by compressing them till they can no longer be read.”

The p53 tumor suppressor pathway is inactivated in almost every human cancer, allowing cells to escape normal growth controls. Yet there is still no rationally designed targeted cancer therapy to treat patients based on the loss of p53.

“All of the targeted therapies we have are based on small molecules that inactivate oncogenes, but cancer is not solely caused by the gain of growth-promoting genes,” says O’Shea. “The loss of tumor suppressors is just as important. The big question is how do you target something that’s no longer there?”

Adenovirus seemed to provide the answer. It brings along a viral protein, E1B-55K, which binds and degrades p53 in infected cells. Without E1B-55K to inactivate p53, adenovirus should only be able to replicate in p53-deficient tumor cells. Then, each time it bursts open the host cell to release thousands of viral progenies, the next generation of viruses is ready to seek out remaining cancer cells while leaving normal cells unharmed.

“This makes adenovirus a perfect candidate for oncolytic cancer therapy,” says O’Shea. “Although these viruses did their job, to everybody’s surprise, the patients’ responses did not correlate with the p53 status of their tumors,” says O’Shea. Intrigued, she and her team followed up on this unexpected finding.

Conrado Soria, Ph.D., a research assistant and co-first author of the study, quickly realized that E1B-55K was only half of the story. “The inability of the E1B-55K-mutant virus to replicate in normal cells was not because the virus failed to degrade p53,” he explains.

In unstressed normal cells, p53 is only found at low levels due to rapid degradation. In response to DNA damage, the activation of oncogenes or infection by DNA viruses, p53 degradation is halted and as a result p53 protein levels accumulate. This increase activates p53 target genes, which arrest the cell cycle or induce apoptosis.

Just as predicted, p53 started to build up in normal cells that had been infected with adenovirus lacking E1B-55K but it was still unable to turn on its target genes and start the cell on the path to apoptosis. He eventually discovered why: Adenovirus brings along another protein, E4-ORF3, which neutralizes the p53 checkpoint through a completely different mechanism.

Instead of inactivating p53 directly, the tiny protein prevents the tumor suppressor from binding to its target genes in the genome by modifying chromatin, the dense histone/DNA complex that keeps everything neatly organized within the cells’ nucleus. “These modifications cause parts of chromosomes to condense into so-called heterochromatin, burying the regulatory regions of p53 target genes deep within,” says graduate student and co-first author Fanny E. Estermann. “With access denied, p53 is powerless to pull the trigger on apoptosis.”

O’Shea hopes to exploit these new insights to understand how high levels of wild type p53 might be inactivated in cancer as well as the mechanisms that induce aberrant silencing of tumor suppressor gene loci in cancer cells. “Our study really changes the longstanding definition of how p53 is inactivated in adenovirus-infected cells and will finally allow us to develop true p53 tumor selective oncolytic therapies.”

Curcuma, curcuminoidi e tumori

Prendendo idealmente lo spunto dal post di Meristemi, e approfittando della necessità di (ogni tanto) mettere mano alle monografie del buon vecchio infoerbe, ecco una breve rivista delle novità sulle influenze della Curcuma sui processi tumorali.

Buona lettura!

Dati sperimentali
La curcuma (ed i curcuminoidi) mostrano una serie di attività che li rendono molto interessanti come potenziali rimedi antitumorali, sia in senso chemiopreventivo che in senso direttamente terapeutico: attività antiossidante, antinfiammatoria, proapoptotica e antiangiogenetica (Iqbal et al. 2003).

Sembra che la curcumina agisca come antiniziatore ma in qualche caso agisce come antipromotore, ed ha mostrato queste attività in modelli carcinogenici preclinici di tumore del colon, del duodeno, dello stomaco, del seno, orale and sebaceo. Nonostante i risultati siano stati ottenuti su modelli animali, la curcumina è attiva in molti modelli diversi tra di loro e i dosaggi sono paragonabili a quelli utilizzati dagli esseri umani, per cui i risultati sono probabilmente ad un livello di generalizzabilità abbastanza buono, e certamente questi risultati costituiscono una euristica molto forte.

Metabolismo epatico

La curcumina inibisce l’iniziazione tumorale degli epatotossici e dei carcinogeni in vari modelli animali; diminuisce in vitro la mutagenicità della capsaicina e degli estratti del Peperoncino in maniera dose-dipendente (pari alla Vit. E), inibisce l’iniziazione tumorale indotta dai prodotti di condensazione, del tabacco, del benzo[a]pirene e dal 7,12 dimetilbenz[a]antracene (Huang et al 1992), e la promozione indotta dagli esteri del forbolo (Conney et al 1991; Huang et al 1998). Questo in presenza di omogenato di fegato, mentre in assenza dell’omogenato non riduce la mutagenicità della streptozocina.
La pianta è detossificante epatica e chemiopreventiva della carcinogenesi mediante alterazione dei processi di attivazione e/o detossificazione nel metabolismo dei carcinogeni. I curcuminoidi prevengono i metaboliti del benzo-alfa-pirene dal formare addotti con il DNA e inibiscono la tossicità epatica indotta dalle aflatossine (Bengmark 2006; Nishino et al 2004; Maheshwari et al 2006).

Potenzialmente la curcumina può interferire con tutte e tre le fasi del metabolismo dei farmaci. Dosaggi orali di Curcuma (come anche la curcumina per via orale) in modelli animali causano:

Fase I: inibizione da debole a moderata della induzione e della attività degli isoenzimi del P450 1B1, 1B2 e 2E1, e inibizione più potente di 1A1 e 1A2, tutti isoenzimi collegati al metabolismo dei carcinogeni, inclusi gli idrocarburi policiclici aromatici (Thapliyal et al. 2001; Thapliyal et al. 2001; Oetari et al. 1996). In uno studio (Raucy 2003) su epatociti umani la curcuma non ha mostrato alcuna influenza sul P450 3A4, suggerendo che siano molto ridotti i rischi di interazione con i molto farmaci substrato di questo isoenzima.

Fase II: induzione della GST (glutatione-S-transferasi) ed aumento del glutatione ridotto intracellulare.

Rinaldi et al (Rinaldi et al. 2002) hanno testato la curcumina sulle cellule della mucosa orale umana e su cellule di carcinoma a cellule squamose orale ha mostrato la traslocazione nucleare del recettore aril idrocarburo (AhR), un processo che porta all’attivazione degli enzimi di Fase I e II, sensibili a AhR, metabolizzanti i carcinogeni, e alla riduzione della bioattivazione dei carcinogeni.

Fase III: effetti inibitori sulla glicoproteina-P (P-gp) in varie linee cellulari (Zhou et al. 2004; Nabekura et al. 2005) Secondo Anuchapreeda et al (Anuchapreeda et al. 2002) il pretrattamento con Curcumina-I di cellule di carcinoma ella cervice umane (KB-VI) fino a 72 ore ha ridsotto l’espressione del gene MDR1. La curcumina-I ha anche ridotto l’efflusso della rodamina-123 da queste cellule, ma non ha avuto effetto sulle cellule wild-type (KB-3) che non esprimono livelli esagerati di P-gp. La sensibilità alla vinblastina (Chearwae et al. 2004) e della daunorubicina (Venkatesan et al. 1997) della linea cellulare omologa ma resistente ai farmaci KN-VI è stata aumentata dalla curcumina-I.

I dati in vitro sono di difficile valutazione e generalizzazione anche a causa della bassa biodisponibilità della curcuma.

Azione protettiva
La curcumina protegge dal danno al DNA dei leucociti causato dai gas di scarico. L’1% nella dieta riduce l’incidenza dei tumori allo stomaco BAP-indotti e dei tumori spontanei alla mammella. Non ha invece effetto sulla frequenza delle irregolarità mitotiche in cellule invase da virus né inibisce il danno nucleare indotto da BAP a livello intestinale.

La somministrazione orale ad ratti e topi ha inibito la carcinogenesi cutanea, orale, duodenale, del colon e della lingua (Azuin, Bhide 1992; Azuine, Bhide 1994; Huang et al. 1994; Rao et al. 1995). La curcumina ha anche dimostrato di ridurre i livelli di mutageni urinari.

A livello topico, la curcumina diminuisce la promozione tumorale di TPA sulla pelle, come si poteva sospettare vista la sua attività antiinfiammatoria e anti LOX/COX.
Ha attività antiangiogenetica e proapoptotica (Duvoix 2005, Aggarwal 2003; Hemaiswarya 2006; D’Incalci et al. 2005).
La curcumina e soprattutto i suoi vari analoghi di sintesi mostrano una interessante attività contro i recettori degli androgeni nel tessuto prostatico, suggerendo una possibile attività sul tumore alla prostata.

La combinazione di cisplatina e curcumina su preparazioni di fegato e rene di ratti con fibrosarcoma sperimentalmente indotto è stata più efficace nel ridurre i marker tumorali rispetto alla cisplartina da sola, ed il pretrattamento con curcumina di una linea cellulare di carcinoma epatocellulare che esprime esageratamente Nf-kB ha aumentato l’effetto della cisplatina sull’apoptosi (Navis et al. 1999).

Meccanismi ipotizzati
I curcuminoidi mostrano di esercitare la loro azione su molteplici target attraverso molteplici meccanismi di azione (Duvoix et al. 2005; Aggarwal et al 2003; Hemaiswarya, Doble 2006), insomma di essere un rimedio multitasking che agisce ai vari livelli di iniziazione, promozione, progressione e disseminazione tumorale (Duvoix et al 2005). Per la curcumina vale forse la pena di usare il termine di xenormetico pleiotropico, che sembrerebbe agire contemporaneamente riducendo l’infiammazione cronica (rapporto NF-kN e Nrf2), inibendo la neoangiogenesi, inducendo l’apoptosi o più in generale la morte cellulare, ed agendo direttamente ed indirettamente (metabolismo carcinogeni) sui carcinogeni.

Riassumendo (Aggarwal et al. 2003), la curcumina:

  • downregola i fattori di trascrizione che coordinano la crescita cellulare, la proliferazione, la differenziazione, i processi infiammatori ed angiogenetici e l’apoptosi: in particolare il Nrf2 (nuclear factor-erythroid-2-related factor 2), il mediatore dell’induzione dei geni che codificano per molti enzimi di risposta allo stress e citoprotettivi, e che regolano la detossificazione di Fase II e i meccanismi antiossiodanti, il fattore nucleare kB (NF-kB) legato ai processi infiammatori e la proteina attivante 1 (AP-1) (Aggarwal et al. 2005; Chainani-Wu 2003; Aggarwal et al. 2004).
  • downregola c-Jun N-terminal chinasi, PTK e PKC
  • downregola i recettori dei fattori di crescita endoteliale VEGF, EGFR e HER2
  • downregola l’espressione di LOX e COX-2, della iNOS, della MMP 9 (metalloproteinasi di matrice 9), CSA, TNF-alfa, varie chemochine, ciclina D1, dell’attivatore del plasmogeno tipo urochinasi (uPA), le molecole di adesione superficiale (cell surface adhesion molecules)
  • induce la detossificazione di Fase I (P450), di Fase II (induzione GST) e di Fase III (induzione P-gp)
  • Previene gli addotti del DNA e l’epatotossicità aflatossine

Angiogenesi (Yance, Sagar 2006, e questo, e anche questo)
Il microtumore esprime vari fattori proangiogenetici in direzione della rete capillare; questi fattori contribuiscono alla dissoluzione della membrana basale del vaso più vicino, ed inducono la creazione di nuovi abbozzi di vasi nella direzione del tumore (fattori di chemiotassi), la formazione di un lume e quindi la vascolarizzazione interna del microtumore.

Poter intervenire su questo passaggio riveste quindi importanza terapeutica (nel senso che possiamo bloccare i passaggi di progressione tumorale) ma anche preventiva, perchè vari fattori proangiogenetici sono legati a processi infiammatori che sono anche protumorali.

I meccanismi responsabili per l’angiogenesi tumorale non sono ancora stati delucidati completamente, ma si propone uno schema semplificativo.

Le cellule endoteliali giocano un ruolo importante nella neovascolarizzazione dei tumori indotta dai microtumori. Da questo punto di vista il fattore prossimale più importante per l’angiogenesi è il fattore di crescita endoteliale vascolare [vascular entothelial growth factor (VEGF)]. Il VEGF è un dei fattori di aumento della permeabilità vascolare e della promozione della metastasi più importanti e potenti. Su di esso agiscono vari fattori proinfiammatori e proangiogenetici come il NO e le prostaglandine, ma anche il TNF-α.
La stabilità e coerenza della matrice extracellulare è un’altro dei fattori fondamentali di controllo dell’angiogenesi, dato che per poter vascolarizzare un tumore è necessario che la matrice extracellulare perda di coerenza e permetta la diffusione di vari fattori e la crescita del nuovo vaso.
Anche le condizioni di ipossia sono favorevoli al processo di angiogenesi. In condizioni di normossia il fattore inducibile da ipossia [Hypoxia-inducible Factor 1 (HIF-1)] viene degradato, ma in condizioni di ipossia viene degradato di meno ed è quindi libero di interagire con altri cofattori e stimolare l’angiogenesi. Dato che il microtumore è, prima della vascolarizzazione, ipossico, in esso vengono espressi vari cofattori angiogenetici.

Uno dei punto di snodo fondamentali che unisce questi processi sono le attività del fattore nucleare kappa B (NF-kB) e della proteina attivatrice-1 (AP-1), due fattori di trascrizione genica (sempre in eccesso nelle cellule tumorali) fondamentali nella risposta proinfiammatoria LPS-indotta. Essi controllano molte attività cellulari: l’NF-kB media l’attività immunitaria, l’infiammazione, le collagenasi e la proliferazione cellulare, e l’AP-1 soprattutto la proliferazione cellulare. Di particolare interesse il legame tra NF-kB ed infiammazione, perchè questa facilita l’angiogenesi, l’invasione e le metastasi, e d’altro canto è un importante fattore protumorale.

A loro volta NF-kB e AP-1 mediano l’espressione di iNOS (e quindi la produzione di NO), di COX (e quindi le prostaglandine) ed il TNF-α. Questi fattori proinfiammatori, sommati all’azione dell’ipossia tramite HIF-1 e AP-1 e vari altri cofattori, inducono l’espressione di VEGF e aumentano l’infiammazione. La VEGF a sua volta, causa una cascata metabolica che porta ad una degradrazione della matrice extracellulare, alla proliferazione endoteliale ed in definitiva all’angiogenesi.

La curcuma ed i curcuminoidi agiscono sul processo di angiogenesi tumorale tramite processi multipli ed interdipendenti. Esaminati secondo lo schema proposto, essi includono:

  1. azione a livello dei fattori di trascrizione Nf-kB (fattore nucleare kB) e della AP-1 (proteina attivatrice-1), legati ai processi infiammatori, e l’Egr-1 (questa azione ha attenuato l’espressione della IL-8 in linee cellulari ed ha evitato l’induzione della sintesi di VEGF)
  2. inibizione dell’angiogenesi mediata dall’ossido nitrico e dall’iNOS
  3. inibizione dell’espressione di COX-2 e LOX
  4. azione a livello di fattori angiogenetici: il fattore di crescita endoteliale vascolare [VEGF], principale fattore di migrazione, gemmazione, sopravvivenza, e proliferazione durante l’angiogenesi, e il fattore di crescita basilare dei fibroblasti [bFGF]
  5. azione a livello della stabilità e della coerenza della matrice extracellulare (ECM), con downregolazione della MMP2 (metalloproteinasi-2 di matrice) e della MMP9, e upregolazione della TIMP1 (inibitore tessutale della metalloproteinasi-1). Interferisce inoltre con il rilascio di fattori angiogenetici stoccati nella ECM
  6. Legame e blocco di una metalloproteinasi (CD13/aminopeptidasi N = APN) attiva ed importante per l’invasione tumorale e la neovascolarizzazione.


Morte cellulare
La curcumina indice la morte cellulare in numerose linee cellulari animali ed umane, come quelle della leucemia, del melanoma, dei carcinomi a seno, polmoni, colon, rene, epatocellulari e ovarici (Karunagaran, Rashmi, Kumar 2005; Rashmi, Kumar, Karunagaran 2004). Seguendo la review di Salvioli et al. (Salvioli et al. 2007) possiamo distinguere vari meccanismi di morte cellulare.
Apoptosi
La curcumina sembra agire con meccanismi sia caspase-dipendenti sia indipendenti (mitocondriali), sia legati alla presenza di p53 sia in sua assenza. Il ruolo delle ROS è controverso poiché la curcumina mostra ben note attività antiossidanti ma al contempo lega la sua attività antitumorale alla generazione di ROS. Questa ambiguità sui meccanismi e sui target deriva probabilmente dalla natura pleiotropica della curcumina che possiede molteplici target cellulari sui quali agisce contemporaneamente: inibisce i fattori di trascrizione AP-1 e Nf-kB (coinvolti in apoptosi, proliferazione e sopravvivenza cellulare); inibisce la proteina p300, un coattivatore trascrizionale coinvolto in apoptosi, ciclo cellulare, differenziazione.
Esistono inoltre vari problemi metodologici rispetto alla definizione di apoptosi che possono spiegare le ambiguità di azione (Salvioli et al 2007). Esistono però anche esistono dati a supporto di una azione bifasica della curcumina. Sembrerebbe infatti che la curcumina agisca sui proteasomi in maniera bifasica, con una attivazione a dosaggi ridotti, ed una inibizione a dosaggi più elevati. Dato che l’inibizione dei proteasomi porta ad apoptosi, e la sua stimolazione porta alla sopravvivenza cellulare, è possibile che la curcuma causi apoptosi o sopravvivenza a seconda del dosaggio utilizzato. Inoltre la curcuma a dosaggi differenti può influenzare anche il tipo di morte cellulare: sembrerebbe infatti che dosaggi bassi portino a stress ossidativo e morte per apoptosi, mentre dosaggi più elevati porterebbero a ridotta produzione di ROS, riduzione di ATP e morte per necrosi. Un altro possibile meccanismo bifasico è legato alla durata del trattamento e all’effetto su Nf-kB: Notarbartolo et al. riportano un aumento di Nf-kB dopo 8 ore di trattamento ed una riduzione dopo 16 ore.

Catastrofe mitotica
La curcumina sembra anche in grado di causare la morte cellulare anche di varie linee cellulari resistenti all’apoptosi, probabilmente attivando meccanismi di morte cellulare diversi dall’apoptosi. Uno di questo meccanismi non-apoptotici è la cd. catastrofe mitotica, caratterizzata da mitosi aberrante, formazione di cellule giganti e multinucleate. La catastrofe mitotica scatenata dalla curcumina sarebbe legata alla riduzione dell’espressione genica di vari inibitori delle proteine apoptotiche (IAP), in particolare della Survivina.

Altri meccanismi
Altri possibili meccanismi di morte cellulare sono: la inibizione della hTERT, la subunità attiva della telomerase, la cui inibizione permette l’apoptosi; l’inibizione della fosforilazione di mTOR, un regolatore della morte cellulare autofagica; lo stress sul reticolo endoplasmatico.

Dati clinici ed epidemiologici (curcumina-I)

  • RCT: riduce mutageni urinari fumatori cronici (1,5 gr/die per 30 gg); riduce danno citogenetico in linfociti e in altre cellule  (3 gr/die ES +/- 600 mg/die OE per 90 gg)
  • RT: miglioramento sintomatico lesioni cancerose cutanee (ES + unguento)
  • Vari CT Fase I:  la curcumina (8 gr/die) è ben tollerata dagli esseri umani (Cheng et al 2001; Hsu et al. 2002; Sharma et al. 2004; Bemis et al 2006), è non tossica e che è un potenziale chemiopreventivo in soggetti con lesioni ad alto rischio o premaligne.

Il National Cancer Institute sta conducendo studi clinici di Fase I sulla curcumina come agente chemiopreventivo per il cancro al colon, ed altri studi clinici in vari stadi di avanzamento comprendono studi su mieloma multiplo, cancro al pancreas, sindromi mielodisplastiche.

Posologia

Interazioni
Vista la potenziale attività di curcumina su vari fattori legati alla angiogenesi, tra i quali il VEGF,  è ipotizzabile (ma a livello per il momento del tutto speculativo) una interazione (forse positiva) con i nuovi farmaci antiangiogentici come Avastin (Yoysungnoen et al. 2006; Hemaiswarya, Doble 2006).  Allo stesso livello speculativo sta la possibile interazione positiva (sinergia) con la genisteina (Verma, Goldin 2003; Santibanez et al. 2000; Verma et al.1997). Un gruppo di ricerca ha messo in guardia dall’utilizzare la curcuma insieme a farmaci alchilanti come la ciclofosfamide, che inducono l’apoptosi attraverso l’attivazione della Janus chinasi, che potrebbe essere inibita dalla curcumina (Somasundaram et al. 2002). Lo stesso gruppo di ricerca ha suggerito che potrebbe essere sconsigliabile usare la curcuma con chemioterapici che agiscano attivando la Nf-kB.  Anche se la inibizione della Nf-kB potrebbe giocare un ruolo nel moderare la resistenza ai farmaci indotta dalla Nf-kB, l’attivazione di Nf-kB potrebbe essere uno dei meccanismi di azione del chemioterapico (come la doxorubicina). Lo studio è stato però criticato (Mitchell 2003).

Dettagli delle interazioni
Bleomicina e antibiotici citotossici.
La pianta potrebbe ridurre la tossicità polmonare (fibrosi) indotta dal farmaco. La rilevanza clinica non è però chiara. Possibile considerare la cosomministrazione come protettivo/coadiuvante solo sotto supervisione specialistica (protocollo ABVD) (Venkatesan, Punithavathi, Chandrakasan 1997; Punithavathi, Venkatesa, Babu 2000).

Cisplatin e composti chemioterapici a base di platino
La pianta potrebbe ridurre la tossicità renale e la neurotossicità indotte dal farmaco. La rilevanza clinica non è però chiara. Possibile considerare la cosomministrazione solo sotto supervisione specialistica (Navis, Sriganth, Premalatha 1999; Notarbartolo et al. 2005)

Ciclofosfamide e agenti alchilanti
La pianta potrebbe ridurre la tossicità indotta dal farmaco ma potrebbe anche ridurne l’efficacia. I dati sono conflittuali e la rilevanza clinica non è chiara. Evitare la cosomministrazione fino a che non si rendano disponibili maggiori dati (Venkatesan, Chandrakasan 1995, Somasundaram et al. 2002; Mitchell 2003)

Doxorubicina e chemioterapia antraciclinica
La pianta protegge da e riduce la cardiotossicità indotta dal farmaco e potrebbe ridurre la resistenza indotta dal farmaco. L’effetto sull’efficacia del farmaco è controverso e la rilevanza clinica non è chiara. Evitare la cosomministrazione fino a che non si rendano disponibili maggiori dati. Possibile considerare la somministrazione prima e dopo la chemioterapia. (Venkatesan 1998, Venkatesan, Punithavathi, Arumugam 2000, Chuang et al. 2002, Harbottle et al. 2001, Somasundaram et al. 2002; Mitchell 2003, Venkatesan, Chandrakasan 1995)

Paclitaxel e taxani
La pianta potrebbe sensibilizzare le cellule tumorali al farmaco. La rilevanza clinica non è chiara. Possibile considerare la cosomministrazione solo sotto supervisione specialistica (Bava et al. 2005)

Vinblastina e alcaloidi della Vinca
La pianta potrebbe ridurre al resistenza al farmaco inibendo meccanismi di effliusso Possibile considerare la cosomministrazione solo sotto supervisione specialistica (Anuchapreeda et al. 2002, Chearwae et al. 2004).

Bibliografia