Siplhion, finalmente! (parte 2)

Le ragioni di un successo.
Perché il silfio è stata una pianta così importante dal punto di vista economico? Per quali ragioni era usata?  Nonostante fosse una pianta importante nella farmacopea greca e romana, è indubbio che la sua fortuna sia dovuta alla passione smodata degli antichi per il suo sapore.

I greci lo usavano sia con i vegetali che con le carni, in particolare arrosti e trippa. In questo modo ne parla il poeta ed epicureo Archesastro di Gela, citato da Ateneo di Naucrati in Deipnosophistai (101c, 311a), il quale però non approvava del suo uso con il pesce fresco. Altri autori non erano però dello stesso avviso, come nel caso di Senocrate, un autore citato da Oribasio nelle sue Collectiones medicae (2.58.114), che indicava di cuocere l’uovo di mare (Microcosmus sulcatus) con “silphium della Cirenaica, aceto, sale e ruta”.

Anche i romani apprezzavano moltissimo la spezia, tanto da consigliare di controllarne con cautela la qualità. Come ci spiega Dioscoride, essa “è di qualità quando è rossastra e traslucente, simile alla mirra e con un profumo molto potente, non verdastra, non grezza in sapore, e che non muta facilmente il suo color in bianco”.
Il testo del IV o  V secolo d.C. detto Caelii Apicii de opsoniis et condimentis sive de re culinaria (o De re coquinaria) (scaricalo in zip qui) propone (in 3.7) il suo utilizzo in una ricetta di pepones et melones:

Piper, puleium, mel vel passum (vino molto dolce ottenuto dalla bollitura del mosto e forse di altri ingredienti come miele), liquamen (salsa di pesce salata), acetum. Interdum et silfi accedit.

In 4.1 lo propone con cucurbitas:

Cucurbitas coctas expressas in patinam conpones. Adiccies in mortarium piper, cuminum, silfi modice id est laseris radicem, rutam modicum, liquamine et aceto teraperabis, mittes defritum modicum ut coloretur, ius exinanies in patinam. Cum ferbuerint iterum actertio, depones et piper minutum asparges.

Certamente importante per capire lo status raggiunto dal Silfio (e più in generale dalle spezie) è analizzare il gusto dei romani per il lusso, inteso sia come benessere e ben-vivere sia come ostentazione, segno di ricchezza, potere, capacità d’influenza e di pressione sociale e politica.

Le piante aromatiche attraggono certamente per il piacere sensoriale che possono dare, e per le attività fisiologiche che svolgono, ma anche perché permettono lo sviluppo delle conoscenze scientifiche. Grazie alla ricchezza di stimoli organolettici derivanti dall’uso delle spezie, il corredo linguistico legato ai fenomeni percettivi (si arricchisce di molto, nascono molteplici categorie descrittive e quindi si influenza lo sviluppo delle capacità descrittive.

Da spezia a farmaco
Del Silfio come medicamento piuttosto che come spezia sappiamo sin dai tempi di Ippocrate, che ne consiglia l’utilizzo come purgante, per le febbri, come rimedio per il prolasso dell’ano, in caso di dolori addominali e per disturbi ginecologici (De diaeta in morbis acutis).

Dal punto di vista medico, il silfio era considerato dai classici un rimedio caldo (calefaciens et ardorem producit: Dioscoride. I.71), disseccante (siccandum madorem toto corpore ciet Dioscoride. III; vim habet molliendi, attrahendi, calefaciendi: Dioscoride. III. 88)  e  risolutivo (vim habet calefaciantem, urentem, attrahentem, discutiendem: Dioscoride.III. 87; aperiunt ora in corporibus quod stoma Graece dicitur. Celso.V.4; crustas vero resolvit Celso.V.11; incipientem suffusionem dissipat: Dioscoride. III. 84; laevat quod exasperatum est: Celso.V.13).

Gli autori antichi gli attribuivano molti utilizzi terapeutici (elencati da Koerper e Kolls 1999), tra i quali i più importanti erano quelli digestivi. Secondo i greci era eccellente per la digestione, ma così potente da poter disturbare chi lo usasse per la prima volta (I testi ippocratici ci dicono anche che il silfio e la sua resina potevano dare disturbi intestinali e causare bile secca ai soggetti non abituati. cfr. Dalby); era attivo sia sullo “stomaco” sia sul “colon” sia sull’ “ileo” in particolare per i dolori addominali (adrodatur et rubeat maximeque si corpus durum et uirile est. Paulatim deinde faciendus est transitus ad ea, quae ventrem conprimunt. Assa caro danda ualens, et quae non facile corrumpatur: potui uero pluuialis aqua decocta, sed quae per binos ternosue cyathos bibatur. Si uetus uitium est, oportet laser quam optimum ad piperis magnitudinem deuorare, altero quoque die uinum uel aquam bibere, interdum: Celso.IV.19.4.1.), ed aveva anche indicazioni di tipo “epatologico”.
I romani, oltre che per problemi di digestione, lo usavano nei colliri mescolato a resina di lentisco o gomma ammoniaca (Dorema ammoniacum D. Don – Apiaceae).

Pianta spesso connotata magicamente (in inglese varie spp. di Ferula si chiamano volgarmente “devil’s dung”), Plinio (Naturalis Historia XX.98) ripete la cautela che esagerare nel consumo del fusto può portare a mal di testa, e cita l’indicazione di altri autori per il trattamento  dell’epilessia, a condizione che venga assunta dal 4 al 7 giorno della lunazione (qui).

Altre attività ed sui attribuiti alla pianta: antiastenica; antipiretica e sudorifica. Una indicazione simile è presente nella medicina egiziana: silphium e mirra come rimedio per la quartana (Marganne M.H. Inventaire analytique des Papyrus grecs de Médecine: Genève, Librarie Droz, 1981. Leggi la review qui); diuretica, utile al trattamento di nefriti e  cistiti; analgesica (“ad omnem dolorem veterem” Scribonio Largo); asma e “dispnee”; “pleuriti” e “polmoniti” Plinio (Naturalis Historia XXII.100); tosse acuta e cronica (Celso.IV.10.3.1); dolori articolari in paticolare la “podagra” (Scribonio Largo)

Ma certamente l’uso più famoso e controverso è quello relativo alla sfera genitale femminile. Molti autori, antichi e moderni, ritengono che fosse una pianta anticoncezionale o abortiva. In questo senso ne parlano Teofrasto, Plinio il Vecchio, Sorano di Efeso (in Sorani Gynaeciorum vetus translatio Latina 1882; leggilo qui) e Serenus Sammonicus (che però nel suo poema Liber medicinalis riprende il contenuto del Naturalis Historia di Plinio); Sulllivan (1979) è stato uno dei primi a offrire evidenza critica che le asserzioni di Sorano e di Serenus Sammonicus sull’azione abortiva del silphion avessero basi biologiche.

Più di recente altri autori hanno supportato questa ipotesi (Riddle 1985; Riddle, Estes 1992; Riddle, Estes, Russel 1994; Fisher 1996), e alcuni dati sperimentali relativi ad altre specie di Ferula (Ferula assa-foetida, Ferula jaeschkeana, e Ferula orientalis) tenderebbero a supportare l’idea di una azione antifertilità (Prakash et al 1986; Singh et al 1988), abortifacente ed anticoncezionale (Farnsworth et al. 1975).

Altri autori (Koerper e Kolls 1999) ritengono che il dato iconografico e numismatico indichi un utilizzo afrodisiaco, o che al contrario, siano le immagini irifalliche e testicolari delle monete a evocare un legame tra pianta, uso per la funzione sessuale ed uso apotropaico; essi portano a supporto gli scritti di Avicenna (che attribuisce qualità afrodisiache ad un sostituto del silphion) e a Catullo (che lega il silphion al piacere sensuale – Fisher 1996).

Plino parla della pianta come di un “prezioso regalo della natura” e racconta che ai suoi tempi veniva primariamente importata dalla Siria, ma che questa varietà siriana era inferiore a quella Partiana (Persia orientale = Afganistan) ma superiore a quella Media (Persia occidentale =Iran); tutte  queste erano però inferiori, a detta dell’autore, a quella della Cirenaica.

Sembra ormai chiaro che le varietà persiana, partiana ed altri cosiddetti silphion erano in realtà varietà di asafoetida, che, forse, vennero accettate nonostante il profilo organolettico “inferiore” a causa della sempre maggior scarsezza del silfio originale.

Perché si estinse?
Perché, o meglio in che modo, il silfio si sia estinto non è chiaro. Non è neppure chiaro quando esattamente si estinse, proprio perché la gente iniziò a sostituire al silfio altre ferule.
Plinio scrive che, semplicemente, i pastori iniziarono a nutrire le pecore con la pianta, perché la carne di pecora nutrita a silfio era particolarmente ricercata, e questo, unito alla già elevata richiesta di spezia, portò alla sua estinzione; l’ipotesi sembra poco ragionevole, dato che certamente il siflio doveva valere molto di più della carne di pecora.
Il geografo Strabone, che scrive circa un secolo prima della sua scomparsa, sembra suggerire che i problemi che portarono alla scomparsa derivassero da scontri tra i raccoglitori (pastori Libici) e i commercianti di Cyrene. I raccoglitori, ci dice Strabone, durante degli scontri, sradicarono e distrussero un grande numero di piante, in segni di rivolta, e lasciarono che le pecore devastassero le piante, probabilmente, secondo Shimon Applebaum perché non erano soddisfatti dei guadagni miseri derivanti dalla raccolta.

Alfred Andrews propone una teoria completamente diversa: secondo lo storico, quando, nel 74 a.C. Roma   trasformò Cirene e Creta, in una unica provincia senatoriale, i governatori che si succedettero al comando sfruttarono pesantemente la pianta per ottenere guadagni rapidi ed elevati (i governatori non avevano salario e potevano intascarsi ciò che ottenevano sfruttando la provincia).

Cento anni più tardi, nel primo secolo d.C., la scarsità della pianta portò al crollo dell’economia della regione, tanto che poco tempo dopo Plinio riporta che “ormai da molti anni il silphion non è stato visto nella regione, dato che le persone che affittano la terra da pascolo, vedendo possibilità di maggiori profitti, lo sfruttano eccessivamente per farne pascolo per pecore. L’unico fusto trovato a memoria d’uomo è stato mandato all’Imperatore Nerone”.
Dopo il primo secolo nessuno riporta l’uso del silphion, e nonostante vi siano stati nei secoli vari autori che hanno annunciato che il silphion era stato trovato, risulta molto difficile credervi, poiché se veramente fossero esistite delle colonie sopravviventi, le popolazioni, ben consce del suo valore, lo avrebbero sfruttato commercialmente e noi avremmo delle fonti che riportano di questo commercio.

Seppure la fine del mercato non coincide con la scomparsa della specie, ovvero della estinzione in senso stretto, è ipotizzabile che la pianta scompaia del tutto tra il secondo e il terzo secolo d.C., e possiamo concludere che la sua scomparsa sia legata all’ipersfruttamento e alla mancata obbedienza alle regole imposte dal governo di allora che regolava la quantità e la modalità di raccolta della resina.

Silphion, finalmente! (parte 1)

Con un certo ritardo rispetto alla pubblicazione di questo blog, mi trovo a parlare del Silfio, la spezia che gli dà il nome.

E no, non l’ho scelta immaginando la soluzione verde alla contraccezione 🙂

Il silfio racchiude in sè e nella sua storia molte delle intersezioni tipiche del rapporto uomo-piante:

1. il limine tra alimento e medicina: il silfio ci rimanda al fatto che questa distinzione, apparentemente ovvia, è creazione recente, e che non è così netta, presenta anzi molti spazi di sovrapposizione, e che le categorie sono spesso normative e culturali oltre che oggettive. Citando l’amico Pieroni:

“Le piante possono essere usate sia come medicina sia come cibo, ed è difficile tracciare una separazione netta tra queste due aree: il cibo può essere medicina e viceversa. Le risorse vegetali nelle società tradizionali, in particolare le verdure selvatiche, sono spesso utilizzate multicontestualmente come cibo e medicina. La raccolta o la coltivazione, la preparazione ed il consumo di tali specie sono radicate nelle percezioni emiche degli ambienti naturali associati alle risorse disponibili, alla cucina e alla pratica medica locale, apprezzamento del gusto e tradizioni culturali.” (Pieroni Price 2006)

2. L’ influenza delle piante sulla cultura umana, materiale, intellettuale e sensuale

3. La loro trasformazioni in merci, fino allo sfruttamento e, come in questo caso, alla scomparsa per eccesso di successo.

Il Silfio ha molti nomi nella letteratura classica. In Grecia si chiama silphion la pianta, kaulos il fusto, opos la resina e maspeton la foglia; a Roma si modifica in silphium, si trova sirpe e si trova anche il termine laserpicium (o lasarpicium o laserpitium) che letteralmente significa lac sirpicium = succo o resina della sirpe. Il termine laser indica il silfio ma anche altre piante considerate suoi sostituti. Gli arabi usavano il termine asa (da cui asafoetida)

Come giustamente fa notare Dalby (1992), di tutte le fonti classiche a nostra disposizione quasi certamente nessuna è primaria – almeno rispetto alla raccolta o trasformazione della pianta, mentre tutti gli autori probabilmente avevano provato la pianta come spezia o medicina. In effetti molte delle fonti sono ancora meno attendibili, come nel caso di Plinio il Vecchio, che ha principalmente riportato e tradotto quanto scritto da Teofrasto.

La storia conociuta del Silfio inizia intorno al 630 a.C., quando dei coloni tebani partirono dall’isola greca di Thera (moderna Santorini o Thira), dirigendosi verso il Nordafrica, e fondarono, secondo quello che riporta Teofrasto, la citta di Cirene (Kyrene) nella odierna Libia. Pochi anni dopo, nel  638 secondo le fonti (Dalby 1992), essi menzionano per la prima volta la pianta che avrebbe fatto la fortuna della città e del Mediterraneo, conquistando i gusti dei greci prima e dei romani più tardi, diventando una spezia ricercatissima ed una pianta medicinale: il Silphion.

La resina ricavata dall’incisione della radice della pianta divenne in poco tempo un articolo di tale successo e lusso da “valere il proprio peso in argento” e Cirene divenne la città più ricca della regione nordafricana (almeno fino allo sviluppo di Alessandria).

Dopo aver fatto la fortuna della regione per più di 700 anni, scomparve però rapidamente dalla scena, diventando la prima pianta conosciuta ad estinguersi a causa dello sfruttamento umano.

La pianta era probabilmente già conosciuta ai locali e cresceva solo lungo il versante mediterraneo del plateau montuoso e arido della odierna Cirenaica, in una fascia lunga 200 km e larga 55 km che arrivava fino alla punta orientale dell’odierno Golfo della Sirte in Libia (da Erodoto, Storie (ca. 440 a.C.). 4.169 (Qui l’originale): “[La costa Libica:] li giace l’isola di Platea, dove i Cirenaici si fermarono [inizialmente], e sulla costa del continente vi è il porto di Menelaus e Aziris, dove i Cirenaici vivevano. Il  Silphion inizia qui. Il Silphion si trova dall’isola di Platea all’imboccatura della Sirte”. Da Teofrasto Storia delle piante 6.3.:”[il Silphion] si trova in una vasta area della Libia: più di cinquecento  miglia, dicono, ed è più comune lungo la Sirte a partire dalle Euesperides)

Secondo fonti greche la pianta veniva raccolta spontanea e ogni tentativo di coltivarla in Siria e Grecia era fallito (Riddle 1992) ma ci sono voci riportate da Teofrasto che farebbero pensare che non disdegnasse i terreni lavorati e coltivati. Lo stesso autore, nel suo Storia delle piante (Περὶ Φυτῶν Ιστορίας), la descrive come molto simile al finocchio gigante, e parla delle modalità di raccolta della pianta, determinate da regole molto precise e severe riguardo alle quantità annuali e le zone di raccolta.

Data la sua importanza economica la pianta divenne il simbolo della città e venne usata come emblema sulle monete Cirenaiche; tra le varie raffigurazioni ne troviamo una che mostra solo la pianta, l’altra che mostra una donna seduta che tocca la pianta con una mano mentre con l’altra si indica i genitali (Penn 1994). La pianta è inoltre comunemente dipinta in mano al dio Dioniso.


In un esempio di ceramica Laconica del 565 a.C. si ritrae il Re Arcesilao II di Cirene (c. 568-550) in veste bianca e nera e cappello, seduto mentre supervisiona le pesature e il carico del silfio avvolto in pelli, pronto per l’esportazione. “Il silfio di Battus” divenne una espressione greca per significare ricchezza estrema (Battus fu il primo re di Cirene).

Cento anni più tardi, nel primo secolo dC, la scarsità della pianta portò al crollo dell’economia della regione, tanto che poco tempo dopo Plinio nel Naturalis Historia riporta che:

“ormai da molti anni il silphion non è stato visto nella regione, dato che le persone che affittano la terra da pascolo, vedendo possibilità di maggiori profitti, lo sfruttano eccessivamente per farne pascolo per pecore. L’unico fusto trovato a memoria d’uomo è stato mandato all’Imperatore Nerone” (Plinio Naturalis Historia 19.15, originale qui).

Alcuni autori propongono che il silfio non sia realmente estinto, ma che sia una specie ancora esistente: la comune Ferula asafoetida (il silphion Siriano), o la più rara Ferula tingitana, che ancora cresce in NordAfrica e Medio Oriente.

Queste affermazioni sono difficili da sostenere per varie ragioni:

  1. prima di tutto molto testi dichiarano che il silfio era una pianta costosa e difficile da coltivare al di fuori della provincia di Cirene, mentre la Ferula asafetida è pianta comune, poco costosa e cresce in ampie regioni dell’Asia centrale;
  2. inoltre le fonti storiche coincidono nel dire che ad un certo punto della storia il siflio scomparve. Il geografo Strabone racconta di penuria di resina e della nascita di conseguenza di un mercato nero (Geografia XVII.3.20-22, qui l’originale), e Plinio (Naturalis Historia 19.15) ci assicura che l’ultimo fusto di silfio fu mandato in regalo all’imperatore Nerone (vedi sopra).
  3. Inoltre ci si domanda, se il silphion fosse stato presente in altre aree, perché le popolazioni non lo avrebbero sfruttato a scopi commerciali?

Secondo Penn la comparazione tra le immagini incise sulle monete del tempo e le immagini delle specie di Ferula oggi esistenti porterebbe a concludere che o la pianta coincide con Ferula tingitana o era una specie a questa molto vicina (Penn 1994).

La più antica moneta cirenaica raffigura lo schizocarpo della pianta, mentre in altre si raffigura la foglia, che appare molto simile (come diceva anche Teofrasto) a quella del sedano. In monete più tarde si trova la rappresentazione del fusto fiorito intero, e intorno al 500 aC   troviamo la pianta intera o parti della pianta associate a divinità o animali.

Queste figure intere ricordano molto il finocchio gigante o Ferula communis o nartex (il nome greco della pianta dentro i cui fusti Prometeo nascose il fuoco rubato agli dei per l’uomo).   In effetti la Ferula communis è molto simile alle raffigurazioni sulle monete cirenaiche, con le infiorescenze tipiche e le foglie amplessicaule. Però sia nelle foto della Ferula communis che in quelle delle altre specie Ferula asa-foetida L. e Ferula narthex mancano le costole così prominenti nel fusto delle piante sulle monete (e sulla “colonna silphion”), e le foglie non sono disposte in maniera opposta bensì alternata.

E’ quindi del tutto probabile  – conclude Penn – che, viste le somiglianze, il silfio fosse una Ferula imparentata con F. asa-fetida, F. tingitana e F. narthex

Lacrime, sudore e sangue!

Call for Papers da parte di Intersections.

Il 21 volume di Intersections (una serie di volumi monografici peer-reviewed di storia moderna che isola in ogni yearbook un argomento non nuovo ma ampiamente dibattuto) tratterà di un argomento che mi sta a cuore: l’evoluzione dei concetti in fisiologia dall’antichità all’Europa moderna (Blood, sweat and tears: The Changing Concepts of Physiology from Antiquity into Early Modern Europe). In preparazione al testo, i curatori del volume (Manfred Horstmanshoff, Helen King e Claus Zittel) organizzano una conferenza che si terrà il 16-18 aprile del 2009 presso il Netherlands Institute for Advanced Studies a  Wassenaar, nei Paesi Bassi.  Il volume dovrebbe uscire nel 2010.

Per un fitoterapeuta tradizionale come me, da tempo interessato ai binomi salute/malattia, normale/anormale, fisiologico/patologico e alle varie declinazioni che hanno ricevuto nel tempo e nelle diverse culture, questa occasione è importante. Non solo per il soggetto in sè, ma anche per il riflesso più generale sulla cultura e sugli oggetti culturalmente costruiti.

Se le idee ed i concetti fisiologici delle diverse epoche sono radicalmente diversi, possono essere radicalmente diversi anche i corpi e le sensazioni di uomini e donne? Cioè non solo le idee di corpo, ma le sensazioni, i sensi, l’olfatto, i sapori? E’ questo ha un riflesso anche rispetto alla comparabilità, alla commensurabilità delle diverse teorie? Il dibattito intorno alla sostenibilità delle teorie del costruzionismo sociale e dell’olismo semantico non è certo finito (seppure forse meno acceso di vent’anni fa), ma questa conferenza e questo testo possono fornire uno spazio di intersezioni feconde, in un campo, quello della fisiologia, che lo storico della medicina ha spesso tralasciato a favore dell’anatomia.

Obiettivo esplicito del volume è infatti recuperare questo gap attraverso l’interpretazione contestuale delle teorie antiche, medievali e rinascimentali.

“While the topic of anatomy, the structure of the body, has been the subject of considerable recent study, that of physiology, the theory of the normal functioning of living organisms, has received much less attention. To reach a better understanding of what was new in Early Modern Europe we need a thorough contextual interpretation of Ancient, Medieval – including the Arabic tradition – and Renaissance theories.

If we try to apply the concept of physiology to Ancient (Greek and Roman) medicine, we encounter some difficulties. Where we would expect causality, we meet ‘only’ with analogy. By the Early Modern era ancient explanations of physiological phenomena existed alongside newly emerging methods of explanation based on the study of nature. To what extent were these two models of explanation in dialogue?

How was early modern physiology represented? What was the interrelationship with art? William Harvey mentioned the fire hose, but to what extent were such new technological models, such as those derived from hydraulics, applied?

In meteorology, geology, cosmology, and political and economic theory, metaphors derived from physiology gained popularity. The tension and interplay between experimental practices and metaphysical concepts could also be an interesting topic.

Finally: in what way, if at all, did the new discoveries influence general culture? Is it possible to argue that people could see, hear, smell, feel and taste in different ways in, say AD 1650, in comparison with the Augustan era?”

Medicina Cinese e medicina Umorale

Scrivendo questo pezzo avevo in mente due esigenze di chiarezza.

Una, più contingente, riguarda una tendenza nell’ambito degli autori di “medicina naturale” ad un sincretismo che vorrebbe unire la più importante tradizione medica orientale (medicina cinese) e la tradizione medica greco-romana (scarica il classico sulla medicina Ippocratica qui).

La seconda, di carattere più generale, riguarda il discorso sulla comparabilità di sistemi diversi, distanti nel tempo e/o nello spazio (fisico e culturale), e quindi sulla linearità ed ineluttabilità (secondo alcuni) del progresso scientifico. In questo articolo cercherò di dimostrare qualcosa sul problema specifico (rapporto medicina cinese – medicina greco-romana) e di mostrare la rilevanza del caso specifico per il problema più generale.
Dati i limiti di spazio non sarà possibile esaminare in maniera esaustiva il problema, ma cercherò di dare degli spunti di riflessione e dei riferimenti grazie ai quali il lettore potrà iniziare un proprio percorso critico. Sempre per ragioni di spazio limiterò l’analisi al periodo classico, non considerando quindi la Medicina Tradizionale Cinese post-rivoluzione culturale (un soggetto molto differente dalla medicina cinese classica) o il Galenismo nei suoi sviluppi e intersezioni medievali e l’apporto degli enciclopedisti islamici.

Dirò subito che questa ridotta analisi si basa su tre testi a mio parere fondamentali per il soggetto in questione, testi che vedono come autore sempre (a parte l’ultimo) GER Lloyd.
In questi di tre volumi Lloyd ha lavorato verso quella che lui stesso chiama il “deparochialising of the history of ancient science”, in particolare attraverso la comparazione sistematica dello sviluppo della scienza in Cina e Grecia tra il 300 aC ed il 3200 dC. La sua tesi fondamentale è che, al di là di conclusioni definitive sul lavoro comparativo, questo lavoro sia necessario per evitare facili presunzioni sulla inevitabilità dei percorsi della scienza in una o l’altra cultura.

GER Lloyd. Adversaries and authorities : investigations into ancient Greek and Chinese science


GER Lloyd. The Ambitions of Curiosity: Understanding the World in Ancient Greece and China (Ideas in Context)


GER Loyd e N Sivin. The Way and the Word: Science and Medicine in Early China and Greece


Introduzione al problema: medicina cinese e tradizione greco-romana
L’idea di sovrapponibilità dei due sistemi medici é a mio parere il risultato di un campanilismo che in fondo nega l’originalità all’uno o all’altro dei sistemi, ed obbedisce ad una idea di universalismo che si vuole naturale conseguenza di un processo unilineare della storia della scienza .

Ciò che intendo suggerire é invece che il processo scientifico non va in direzioni particolari, ed ogni cultura inizia il processo a suo modo e si sviluppa secondo le sue regole. Per questo uno studio comparativo é utile: guardare oltre ai confini culturali ci aiuta a capire quanto sia sbagliato ragionare in termini di inevitabilità.
Certamente nel caso in questione ci possono colpire alcune innegabili somiglianze tra le due civilizzazioni. Lloyd e Sivin (2002) le riassumono così:

  1. l’elaborazione di culture complesse con linguaggi e strutture concettuali astratte che possono essere usate per esplorare ogni aspetto dell’esperienza individuale e collettiva
  2. il bisogno espresso di porsi delle domande riguardo a questa esperienza
  3. la presenza di gruppi di specialisti che si sono messi alla guida del percorso di studio, acquistando autorità e prestigio, e che hanno gestito ed interpretato il sapere
  4. la convinzione che lo studio fosse necessario per capire il posto dell’uomo nello schema universale delle cose e per organizzare gli affari umani.

Ma queste somiglianze non ci devono far dimenticare che si può condividere il desiderio di conoscere ma differire grandemente sui metodi usati.
Secondo le moderne teorie del linguaggio il ruolo di una sentenza, parola o concetto dipende dalla loro posizione relativa nella rete di un linguaggio; quindi per comparare sentenze, parole o concetti che appartengono a linguaggi differenti abbiamo bisogno di comparare le reti ad essi associate.
“Una comparazione valida e feconda del passato con il presente deve iniziare con una comprensione integrale del passato nella sua concretezza, con la ricostruzione dell’intera crisi della conoscenza che un pensatore ha dovuto affrontare, e con l’interezza della sua risposta, osservata con le sua articolazioni intatte. Guardare solo alla risposta – o peggio, solo alla parte superficiale e, a nostro giudizio, moderna – rischia di portarci ad una circolarità viziosa nella comparazione finale.” (Sivin 1968).
Per comparare i due sistemi non possiamo quindi limitarci a domande superficiali come: “esiste un termine greco comparabile a Qi?” oppure, “posso comparare Elementi greci e Fasi cinesi?”, ma dobbiamo porci domande sui processi e comparare i complessi di pensiero ed attività visti nelle loro circostanze originarie: come la gente si guadagnava da vivere, le loro relazioni con le strutture di autorità, i legami tra persone appartenenti allo stesso campo di studio, i metodi che usavano per comunicare ciò che sapevano, quali concetti e presupposti usavano.
Per fare questo cercherò di comparare i problemi fondamentali della scienza greca dopo il quarto secolo DC con quelli cinesi nello stesso periodo, per poi guardare al milieu sociale e culturale nel quale i diversi pensatori erano inseriti.

Pensatori e stato
In entrambe le culture le idee sul cosmo sono profondamente “cariche di valori” e la cosmologia non é separabile dall’ambito politico e morale. Le idee sul macrocosmo riflettono e si riflettono nei microcosmi del corpo e dello stato, e si fondano su concetti di armonia e buon ordine sociale.
In una analisi lucida ed esaustiva Lloyd e Sivin (2002) propongono che la differenza qualificante tra l’idea di relazione micro-macrocosmo in Grecia e in Cina risieda nella radicale differenza dei rapporti tra pensatori e autorità.
La Cina é stata caratterizzata da una tradizione ininterrotta di Impero centralizzato, che richiedeva, per la sua sopravvivenza, un consenso totale. I filosofi venivano incaricati dai governanti di costruire
una relazione tra stato e microcosmo, e per la stessa ragione i filosofi si aspettavano appoggio e sostentamento dal sovrano, che era dunque l’unico interlocutore. Questa situazione riduceva di molto l’interesse e la vis polemica dei dibattiti.
In questo ambito la cosmologia dominante era quella di una unità senza contrapposizioni interne, nella quale la discussione era limitata e l’autorità del passato non veniva mai posta in discussione. I governanti impersonavano la relazione tra micro e macrocosmo, e i filosofi erano inevitabilmente inseriti nel sistema politico. I pensatori non cercavano, come,e lo vedremo più avanti, facevano invece i pensatori in Grecia, un approccio che portasse passo passo verso una realtà oggettiva, ma piuttosto un recupero di ciò che i saggi antichi già conoscevano. Ciò si rifletteva nella tendenza dei filosofi cinesi a non creare nuovi termini, bensì ad utilizzare la terminologia già esistente piegandola a nuovi utilizzi, mantenendo così una linea di continuità ed una unità.

La situazione in Grecia non potrebbe essere stata più differente: le forme di governo erano diverse e meno stabili, non esisteva un ideale unico e condiviso, una unità di consenso. Mentre i governanti erano poco rilevanti per la formazione di idee cosmologiche, i filosofi, sganciati dalla politica, non dovevano convincere i regnanti né lavorare nel senso di una cosmologia che contemporaneamente giustificasse e limitasse l’autorità del sovrano. L’ambito era invece quello dei dibatti con i rivali. Dato che erano liberi da vincoli politici, dipendevano dalla loro capacità retorica per sopravvivere; allo stesso tempo erano molto poco condizionati dalle ragioni della politica. L’arena filosofica greca era ricca di dibattiti, in alcuni casi molto accesi ed argomentati; dispute e disaccordi, più che il consenso, caratterizzavano il mondo Greco.
A differenza della Cina, in Grecia ogni pensatore coinvolto in una disputa tendeva a creare il proprio set di termini che lo differenziassero dal suo oppositore e rendessero la sua teoria facilmente identificabile.
Quindi le differenze nel rapporto tra pensatori e stato si riflettevano anche nella creazione di concetti e negli approcci delle due culture nei confronti della realtà, dell’ontologia e delle strategie di pensiero.
E’ soltanto esaminando le relazioni tra corpo, cosmo, stato ed il ruolo del filosofo che possiamo offrire una immagine unitaria di una cultura e del suo modus operandi piuttosto che della sua opus operata.

Corpo
Si potrebbe dire, un po’ provocatoriamente, che non importa quanto simili sembrino certe strategie rivolte al corpo; se non condividiamo lo stesso corpo, queste somiglianze hanno poca importanza. Ora, se é vero che i nostri corpi sono innati per noi quanto noi lo siamo ai nostri corpi, ciò non significa che essi siano “naturali”, distanziati come sono da noi da una molteplicità di codici psicologici, sessuali, sociali e politici. Questa codifica sistematica dei corpi significa che essi sono contemporaneamente il prodotto e l’origine dell’esperienza.
E’ quindi rilevante per il nostro discorso analizzare i differenti modi nei quali il corpo é stato ‘costruito’ in Cina e in Grecia. In entrambi i sistemi é presente la correlazione tra corpo (microcosmo) e macrocosmo, ma queste correlazioni si sono create con modalità differenti.
Il corpo descritto da Aristotele é un modello del macrocosmo, perché la stessa tecnica di ricerca della verità può essere applicata ad entrambi, ed il corpo può funzionare come una mappa . Il corpo dei cinesi é invece l’universo in miniatura, non una copia, ed é allo stesso tempo uno specchio dell’ordine sociale; infatti la simbologia usata nel dialogo dell’Imperatore Giallo con il suo consigliere é la stessa usata per descrivere l’Impero.
Il sistema viene descritto in termini di uffici nella burocrazia centrale del corpo, non in termini anatomici. Gli organi sono, all’opposto che in Grecia, meri correlati del sistema di funzioni.
Anche nel caso della medicina, il corpo viene costruito in maniere completamente diverse. I limiti del corpo sono differenti, per cui anche la “semplice” traduzione di termini diviene problematica. Per tradurre il termine greco per corpo – sarkos – un termine che denota chiaramente il fisico, ci troviamo di fronte a quattro termini: shen, t’i, ch’u e hsing. Di questi i primi tre hanno una denotazione più ampia (denotano o implicano il concetto di personalità o persona), mentre il quarto, hsing (=forma) veniva raramente impiegato. Secondo Sivin (1995) il corpo cinese é “composto soprattutto da ossa e carne vagamente definita e attraversata da tratti circolatori” ; questi tratti collegano degli “insiemi di funzioni”, i cosiddetti organi, per cui si può dire, con Unshuld (1993) che la patologia cinese é funzionale.
Come si legge sul Classico dell’Imperatore Giallo: “Il soggetto del discorso…é il flusso libero ed il movimento centrifugo e centripeto del Qi divino (shen qi). Non sono pelle, carne, tendini ed ossa.” (Larre, Rochat de La Vallée 1994). L’etica buddista, colla sua idea di sacralità del corpo, ad un certo punto si innesta sulla filosofia confuciana e contribuisce a rendere il corpo cinese un tutto indiviso, per studiare il quale il medico deve osservare le funzioni, l’equilibrio delle sostanze. Un corpo dissezionato non é di alcun interesse per il terapeuta, ed é significativo che in medicina cinese la immagine tipica usata per descrivere la morte imminente sia quella di una separazione tra yin e yang.

Il corpo della medicina galenica é invece aperto e dissezionato. Esso é costituito da strutture, tessuti, organi e umori. Le patologia derivano da un disequilibrio negli umori fisici, che possono essere drenati da vasi osservabili. E tutta la teoria medica é in effetti basata su questa osservabilità. Queste strutture servono come strumenti di categorizzazione, e sopra di esse viene costruita una logica, una tassonomia della realtà; la frammentazione del corpo ci dà i mezzi per conoscere la natura, per svelare la verità. l’anatomia, per Galeno, é coestesa con le possibili modalità della ragione scientifica. In effetti, la dissezione diviene una necessità così cogente che Galeno non può neppure immaginare l’esistenza di una medicina che non vi faccia ricorso.

Apparenza e realtà
In Grecia, Nello sviluppo teorico da Parmenide ad Aristotele, si osserva una progressiva “neutralizzazione” della sacralità, per cui si passa dalla verità divina alla verità autorivelantesi. Questa nuova concezione di verità viene definita da Vegetti (1979) come non-latenza (aletheia). Essa deve essere individuata attraverso processi logici che eliminino le inadeguatezze del discorso poetico e religioso e lascino che la luce della verità emerga da sola.
Per i naturalisti greci vi é quindi una realtà (ousia) “sottostante”, nascosta, che ha a che vedere con la natura essenziale delle cose e che si contrappone alle cose come “appaiono” (phainetai) cioè le apparenze. Questa realtà può essere rivelata grazie al metodo assiomatico-deduttivo, derivato anch’esso dalla pratica legale e che non ha riscontri in Cina.
In Cina questa dicotomia non si pone almeno fino al terzo secolo DC con l’introduzione della metafisica indiana (ma anche in questo caso si parla di realtà spirituale e non fisica, vedi Zürcher 1980). Questa differenza si rivela anche nella diversa concezione di ‘esperto’: se in Grecia esso é colui che riesce ad utilizzare il metodo logico per ‘svelare’ la realtà, in Cina essere esperti significa essere degli iniziati, cioè potersi ricondurre a saggi antichi in possesso del sapere, grazie ad una linea di trasmissione testuale ininterrotta.

Cause
Dipingere una contrapposizione assoluta Grecia/Cina, con i greci interessati alle cause e i cinesi alle correlazioni, sarebbe semplicistico. I primi si mostrarono interessati alle corrispondenze (vedi la tavola pitagorica degli opposti) e i secondi studiarono il concetto di causa nel campo della diagnosi medica e in politica. Ma se si esclude la breve parentesi dei logici Mohisti, la letteratura cinese del periodo classico non fa accenni specifici alla causalità, mentre per i Greci essa diviene un problema fondamentale.
In Grecia infatti la questione delle cause é di grande importanza, e viene mutuata dal discorso legale sulle responsabilità. Essa viene però spersonalizzata: la spiegazione causale identifica ancora ciò che è responsabile degli effetti osservati, ma non si tratta più di responsabilità umane o divine, come nel discorso legale, ma di proprietà intrinseche delle cose.
Se la logica rende possibile l’espressione del vero discorso, l’anatomia rende possibile la categorizzazione razionale della Natura; la medicina che si basa sull’anatomia permette la vera conoscenza della salute e della malattia. Non é un caso che Galeno e l’autore ippocratico di ‘Della Medicina Antica’ tentino di modellare la medicina sulle scienze esatte, con metodi di prova certi ed esatti in puro stile geometrico.

L’unità delle corrispondenze
Se comparate al processo di razionalizzazione aristotelico, le concettualizzazioni cinesi appaiono molto differenti. Due tra le differenze più evidenti risiedono nella concezione unitaria del cosmo cinese, notata da vari autori (Granet 1987; Sivin 1995; Kwok 1993; Ng 1993), e nell’assenza dei classici concetti di causalità. Secondo Granet queste differenze sono dovute a divergenze fondamentali nei concetti di tempo e spazio. La temporalità logicamente strutturata di Aristotele descrive un tempo scandito, frammentato, mentre la temporalità socialmente costruita dei cinesi é più simile ad una idea empedoclea di un tutto immutabile ma dinamico, dove gli eventi che appartengono alla stessa categoria sono interconnessi, a prescindere dalla loro posizione temporale. L’idea dominante nella filosofia cinese, specialmente nel periodo post neo-confuciano, é quella di un “monismo dinamico” (Kwok 1993), dove il concetto di Ho – termine che implica “la capacità di contenere e accomodare tutti i tipi di eventi logici, qualsiasi sia la loro definizione temporale o spaziale” – é più importante del concetto di T’ung, termine che implica “logicalità”, “identificazione e identificabili” e “classificare”. Mentre i greci tentano di ridurre la Natura alle sostanze individuali o agli elementi, per i cinesi “era importante l’universo inteso come trama o pattern (wen)”.

La stessa idea di “concetto”, una entità in qualche modo astratta dalla realtà ma applicabile ad essa, é distante dalla filosofia cinese. “Niente ci invita a vedere nello Yin e nello Yang sostanze, forze o principi: sono solo emblemi animati da una forza evocativa che é indefinita, o meglio, totale” (Granet 1987).

Natura
Quindi per i Greci la natura (phisis) si identifica con il dominio sul quale filosofi e medici dichiarano di essere in grado di dare spiegazioni fisiche, che non chiamano in causa il divino. Abbiamo visto come l’introduzione di questo concetto non sia solo il risultato di una fredda analisi intellettuale, ma anche del tentativo di sconfiggere i propri rivali nel dibattito e di acquisire prestigio e soldi. Gli elementi (stoicheia) diventano uno strumento teorico e retorico importante perché danno delle fondamenta sicure per le teorizzazioni naturalistiche, e per questa ragione sono enti puramente materiali (a differenza del pneuma dei Presocratici e degli Stoici che é forse il concetto greco più vicino a quello di Qi, perché é contemporaneamente materiale e vitale – vedi Sambursky 1959).
Troviamo dei corrispettivi di natura ed elementi in Cina? I maggiori sospetti ricadono naturalmente sui concetti di Qi, Ying-Yang, e wu-hsing (le cd. Cinque fasi). Diciamo subito che questi concetti non diventano parte di un sistema organico ed integrato se non dopo il 300 AC. Tra il terzo e il secondo secolo AC essi iniziano ad essere usati insieme secondo una dottrina cosmologica matura, per ragioni in parte arbitrarie ed in parte utilitaristiche. Il Qi é un concetto abbastanza vasto e di grande applicabilità, yin-yang rappresenta una categorizzazione in base due molto adattabile come pure le wu-hsing. Con il primo secolo AC yin-yang e wu-hsing divengono vere e proprie categorie del Qi, usate per declinarlo; esso stesso viene ad essere definito in maniera più chiara: materia, materia trasformativa, materia di qualche tipo che incorpora vitalità (a differenza degli elementi greci che sono solo materiali). Non esiste una controparte cinese al termine phisis (inteso come universo fisico e materiale) almeno fino al 1881, quando i cinesi presero a prestito questo significato dai giapponesi. I cinesi non sentono il bisogno di un concetto puramente fisico, ed utilizzano il complesso qi, yin-yang e wu-hsing ad un livello di astrazione maggiore: il tao.

Conclusioni
Come scrive Sivin (1968) “la tradizione cinese é certamente scienza, secondo qualsiasi definizione che non sia completamente campanilistica, ma eccetto che a quel livello che la rende scienza, i suoi obiettivi divergono in maniera così costante dai nostri che qualsiasi similitudine diventa gratuita”.

Concetti come quello dei quattro elementi, la teoria della crasis – o complessione –  e dei quattro umori, l’incorporazione dei semplici nella teoria della qualità primarie e dell’equilibrio della complessione, l’idea della malattia come mala complexio e molte altre caratteristiche della medicina galenica hanno affascinato molti autori proprio a causa della apparente somiglianza con concetti cinesi. In effetti penso sia un argomento valido quello che pone la patologia dei “vasi” cinesi come controparte della patologia umorale greco-romana, visto anche che in entrambi i sistemi la malattia viene vista come un disequilibrio. Inoltre é vero che in entrambi i sistemi manca la nozione di una cesura radicale tra corpo e spirito, ed entrambi appaiono di natura allopatica.
Ciononostante, quando esaminiamo i sistemi nella loro interezza, nel loro decorso e non solo nelle immagini finali che ci offrono, ci colpiscono soprattutto le grandi differenze che ho tentato di descrivere nell’articolo: il diverso rapporto tra pensatori e stato dal quale poi discendono buona parte delle differenze nella creazione di concetti e terminologie. Da un lato l’attenzione dei greci per le dimostrazioni incontrovertibili, i fondamenti del sapere, la chiarezza ed il rigore deduttivo, che si accompagna alla scarsa attenzione per il consenso, uno scetticismo radicale e un favore per l’analisi. Dall’altra pare l’attenzione dei cinesi per le corrispondenze, le risonanze e le interconnessioni, la capacità di sintesi e la trasversalità tra campi di sapere divergenti, con una forte riluttanza verso il radicalismo e la critica delleposizioni dell’establishment. E poi il diverso peso dato ai concetti di causa/causalità e natura come ente fisico analizzabile; la mancanza della dicotomia apperenza/realtà in Cina; infine la diversa “costruzione” del corpo e la diversa natura dei concetti che così spesso usiamo come unico metro di paragone e che sono invece solo il risultato finale di un processo: elementi, phisis, yin-yang, qi, wu-hsing.

Bibliografia

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Nüdan/Neidan: corpo femminile e corpo maschile nella letteratura alchemica cinese

Una due-giorni sull’alchimia interna femminile nella Cina classica. Che c’entra con la medicina, o con le piante?

Beh, il blog è mio :-), e il legame tra alchimia (dall’ottimo sito di Fabrizio Pregadio) interna cinese (e vedi anche Pregadio qui) e medicina cinese è particolarmente interessante, ad esempio per esaminare le differenti prospettive sul corpo originatesi nel seno della stessa tradizione, a volte partendo dallo stesso autore, come nel caso di Sun Simo, uno dei più importanti autori classici della medicina cinese (autore dei testi classici Beiji qianjing yaofang e Qianjing yifang).
Le differenti pratiche utilizzate in alchimia interna hanno interessanti contatti con una parte della medicina tradizionale cinese, in particolare con la medicina macrobiotica, e più in generale possono chiarire la cosmologia e la fisiologia tradizionali, le differenze tra corpo maschile e corpo femminile (vedi qui il classico articolo della Despeux), e magari a demistificare un mondo, quello della tradizione cinese, che come gli altri deve essere compreso all’interno di contesti di cambiamento sociale e culturale, differenze di genere, influenze religiose, ecc.

A breve una intervista sui contenuti della conferenza.

Female Meditation Techniques in Late Imperial and Modern China

A two-day conference

Sunday, November 09, 2008
9:00 AM – 5:00 PM
10383 Bunche Hall
UCLA
Los Angeles, CA 90095

Female Alchemy (nüdan) is a branch of inner alchemy (neidan) that developed in China from the late Ming dynasty onwards. In the prefaces to texts as well as in treatises themselves, much importance is laid upon the “difference” of the female body, in terms of cosmological and physiological setup, from the male body. Male and female bodies are compared and emotions, loci, and fluids are discussed in detail. However, male/female physiological differences had always been widely acknowledged in medical and alchemical treatises. Thus the emergence of nüdan must also be closely tied to social developments, such as tensions about gender balance. As women become more and more active agents in the public space, especially in the religious arena, a safer alternative, one that could be practiced at home and did not require contact with male teachers or fellow practitioners, was offered through nüdan by male intellectuals. This is easily explained if we look at the growing concern for chastity and proper female behavior in the Qing dynasty, and is supported by extensive sections on female behavior in female alchemy treatises. This phenomenon, with its gender and social implications, is just starting to be discussed and the field is slowly growing:
Catherine Despeux was the first to identify it as a phenomenon to Western audiences in her book Les Immortelles de la Chine ancienne and in a subsequent English version, Women in Daoism, authored together with Livia Kohn. Elena Valussi wrote the first Ph.D dissertation on the nüdan tradition, it historical developments and social implication in 2003; Sara Neswald just finished writing a dissertation on nüdan and its relationship with Tantric Buddhism. Xun Liu has done extensive work on early nüdan writings and has written on gender in Daoism. Suzanne Cahill has investigated issues of gender in Daoism her whole career. Charlotte Furth has investigated visions of the female body in Chinese medicine. This workshop is the first attempt to come together and discuss this tradition from multiple angles.