I frutti aromatici del Siltimur

Una delle conseguenze pratiche della mia seconda puntata in Nepal, nel 2006, nella valle di Nar-Phoo, è stata la raccolta di vari campioni di piante aromatiche con l’intenzione di distillarne l’olio essenziale a Kathmandu. Una delle piante che ci avevano più interessato anche come possibili antivirali era stato il Siltimur, Lindera neesiana, ed in particolare ci interessavano i frutti, usati come rimedio per dolori di stomaco e tosse, e più commestibili delle foglie o della corteccia, e quindi dei possibili candidati per la categoria piante medicinali/alimentari.

Non si riuscì in quella occasione a distillare i frutti della pianta, ma il buon Khilendra aveva effettuato l’anno prima una distillazione di prova, ed aveva conservato bene il campione…

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… che io diligentemente portai in Italia per affidarlo alle cure dell’equipe dell’Università Patavina, che già altre volte aveva collaborato a queste mie impromptu missioni.

Dopo un po’ di attesa, ecco finalmente che esce l’articolo relativo ad analisi e attività biologica dell’olio stesso, nel primo numero del 2010 di Fitoterapia, con il titolo “Essential oil of Lindera neesiana fruit: Chemical analysis and its potential use in topical applications” e l’autorship di Comaia, Dall’Acqua, Grillo, Castagliuolo, il buon Khilendra Gurung, e la professoressa Innocenti.

Oltre ad essere una interessante esemplificazione dell’utilità di accoppiare la  tecnica della Gas cromatografia (GC-MS)  alla risonanza magnetica (NMR), l’articolo aggiunge alcuni tasselli importanti relativi alla composizione chimica della frazione aromatica dei frutti della pianta, e sembrerebbe supportare l’idea che i citrali (nerale e geraniale) siano importanti per spiegare l’attività antimicrobica degli OE.

Vediamo allora cosa sappiamo su questa pianta alla luce di questi nuovi dati.

Cosa è?

La Lindera neesiana (Wallich ex Nees) Kurz è un arbusto o piccolo albero deciduo alto fino a 4-5 metri, con foglie picciolate, molto varie in dimensioni, lunghe da 3 a 20cm. e larghe da 1 a 10 cm.,ovali e glabre. I bei fiori gialli sono disposti in ombrelle, e i frutti sono globosi.

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La pianta appartiene alle Lauraceae, uno dei più antichi gruppi di angiosperme, parte del primitivo gruppo delle Laurales, che insieme alle Magnoliales fa parte dei Magnoliidi; in letteratura si può trovare anche con i binomiali Tetranthera neesiana Wallich, Aperula neesiana (Wallich ex Nees) Blume e Benzoin neesianum Wall. ex Nees (che è il suo basionimo).

In Nepal centro-orientale la pianta cresce nella zona Himalayana temperata e subtropicale, tra 1800 e 2600 mslm, in aperture lungo le gole profonde nelle foreste.  Fiorisce tra ottobre  e novembre e fruttifica tra marzo e giugno.

Ha vari nomi: in lingua nepalese si chiama per l’appunto 
siltimur; in lingua gurung si chiama katu, gutung, kutung o siltimuri; in lingua Nyeshang phopri
.

Come viene usata?

I vari gruppi etnici nepalesi utilizzano i frutti maturi (neri) e aromatici sia marinati come alimento sia freschi o essiccati come rimedio per mal di stomaco dovuto ad indigestione, come antelmintici e in caso di flatulenza (in Manang – Gyasumdo).

In altre zone vengono masticati in caso di diarrea, mal di denti, nausea, flatulenza, o usati a livello topico per foruncoli e scabbia, malattie della pelle, o internamente per parassiti intestinali; sono considerati un antidoto per animali e uomini in caso di ingestione di piante velenose (Pohle, 1990 Manandhar 2002; Rajbhandari 2001; Joshi 2001).

Le foglie e i ramoscelli sono anch’essi aromatici se vengono spezzati, e vengono usate per malattie della pelle. Sono inoltre una buona fonte di foraggio per bestiame bovino e caprino (Manandhar 2002; Rajbhandari 2001).

La radice e la corteccia, una volta polverizzate, sono usate internamente in caso di dolori (Manandhar 2002; Rajbhandari 2001).

Cosa contiene e come funziona?

L’appartenenza della pianta a Magnoliidi suggerirebbe la presenza di neolignani ad azione antinfiammatoria, comuni a questo gruppo, e la presenza, nell’OE, di derivati del percorso biogenetico dello shikimato (le Lauraceae sono ricche in fenilpropanoidi come eteri fenolici e fenoli, ad attività biologica elevata ma con profilo tossicologico spesso importante).

In effetti frutti, foglie e corteccia di Lindera neesiana contengono olio essenziale, circa l’1% distillabile dai frutti secchi (Gurung, Khilendra: comunicazione personale), l’1.3% dalle foglie fresche e lo 0,5% dai ramoscelli (Singh et al. 1995).

L’OE di foglia, (come previsto dall’appartenenza alle Lauraceae) è caratterizzato da una massiccia percentuale di metil cavicolo (83.76%) e safrolo (11.86%), mentre miristicina  (69.99%) e1,8-cineolo (17.97%) caratterizzano l’OE di ramoscelli (Singh et al. 1995). La presenza di metil cavicolo e safrolo, due molecole a sospetta attività epatotossica ed epatocarcinogenica (sono dei procarcinogeni attivabili dai sistemi de detossificazione epatica) suggerisce che l’OE di foglia sia potenzialmente tossico.

L’articolo di prossima pubblicazione rileva quanto invece sia differente l’OE dei frutti. I principali composti isolati dall’OE sono risultati i citrali (Z-citrale 15.08%, E-citrale 11.89%), l’1,8-cineolo (8.75%), il citronellale (6.72%), e α- e β-pineni (rispettivamente 6.63% e 5.61%). I composti che caratterizzavano gli OE di foglia e ramoscelli sono presenti nel frutto a percentuali molto minori ma non minime: miristicina (4,41%) e metil
eugenolo (ca. 2%). Altri composti identificati a percentuali significative sono: geraniolo, citronellolo,  elemicina, ossido di cariofillene, spatulenolo, nerolo, 6-metil-5-epten-2-one, linalolo ed α-terpineolo.

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Infine, i composti presenti in percentuali minime o in tracce sono: α-tujene, camfene, verbenene, mircene, α-fellandrene, p-cimene, cis-ocimene,
 trans-ocimene, 2, 6-dimetil-5-eptanale, γ-terpinene, cis-sabinene, cis-linalolo ossido, trans-linalolo ossido, α-
camfolenale, canfora, terpinen-4-olo, mirtenale, S-(-)-verbenone, trans-carveolo, geranil formiato, β-elemene, trans-cariofillene, β-bisabolene, geranil acetato, e geranil propionato.

Non ci sono molti studi sulle attività biologiche della Lindera neesiana, ma lo studio italiano evidenzia l’attività dell’OE da frutto sullo Staphylococcus aureus (un batterio Gram-positivo) a concentrazione (IC50) di ca. 100 microgrammi per mL, sul lievito Candida albicans a IC50 di ca. 276 microgrammi per mL, ed infine sulla Pseudomonas aeruginosa (un Gram-negativo) a IC50 di 13 570 microgrammi per mL.

Le attività sui patogeni sono state confrontate con quelle di un controllo negativo (DMSO, il solvente usato per solubilizzare gli OE, da solo) e di tre controlli positivi (due antibiotici: ampicillina e  kanamicina, ed un antimicotico, la nistatina). In nessun caso l’OE è risultato efficace quanto le molecole di sintesi, e solo l’attività su Staphylococcus aureus merita a mio parere ulteriori attenzioni.

La bassa efficacia sulla Pseudomonas non dovrebbe stupire, in genere tutti gli olii essenziali hanno attività meno spiccata nei confronti dei G-negativi, a causa della componente lipopolisaccaridica  della loro membrana, che riduce la capacità di penetrazione degli OE, notoriamente lipofili.

(Mi) Stupisce di più la bassa attività su Candida spp., visto il contenuto in citrali mi sarei aspettato di più, comunque sempre meglio dell’azione sui G-. Positiva invece l’assenza di attività citotossica a livelli di attività.

Cosa sarebbe interessante studiare per il futuro? Vista la probabile facilità con la quale i citrali formano legami con i gruppi azotati delle proteine, sarebbe interessante vedere se la loro presenza in un olio essenziale facilita la permanenza dello stesso olio essenziale sul derma, o se miscele di OE a citrali con OE ad elevata volatilità riduce quest’ultima.

Inoltre altrettanto interessante sarebbe vedere se c’è un ruolo per l’utilizzo di questi frutti nell’alimentazione da carestia. Chi lo sa?

Una visita a Nar-Phoo

Nella seconda puntata dedicata al Nepal (un paese vicino al mio cuore per varie ragioni, di cui ho parlato anche qui) vorrei parlare di un viaggio effettuato nell’estate del 2006 insieme a quattro colleghi nepalesi.

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Si trattava di una missione di ricognizione etnobotanica nella valle di Naar-Phoo, nel distretto di Manang, il cui scopo era visitare alcune zone di particolare interesse per la flora medicinale nepalese, poco visitate e studiate fino a quel momento. La missione si inseriva in un progetto di più ampio respiro sulla documentazione delle pratiche mediche tradizionali del distretto del Manang, e sulla documentazione fitochimica delle piante più interessanti.

Il successo di questa missione e il rapporto che è stato compilato in seguito è il risultato del lavoro congiunto mio e di Khilendra Gurung, un amico e botanico nepalese, fortemente impegnato nello studio della botanica e dell’etnobotanica himalayana, e nella traduzione del sapere accademico in politiche e progetti di aiuto alle popolazioni locali.

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Inquadramento biogeografico

Scopo della missione pilota
Lo scopo di questa prima missione era quello di  esplorare il territorio, documentare fotograficamente le specie vegetali presenti, interagire con i FUG (Forest Users Groups), intervistare informatori e individui esperti in piante medicinali locali, creare un primo elenco di prodotti forestali non legnosi (Non Timber Forest Products – NTFP) presenti nella zona, con primo ranking delle specie più importanti, ed infine raccogliere campioni per analisi fitochimica e test di attività biologica.

La zona studiata.
Manang
Lo studio pilota si è svolto nel distretto del Manang (Distretto 28), nella zona trans-Himalayana centro-settentrionale del Nepal, tra 28o27′-28o54′ N di latitudine e 83o40′ -84o34′ E di longitudine, un’area di circa 2246 km2 all’interno della Annapurna Conservation Area. I confini amministrativi coincidono quasi perfettamente con la gli spartiacque naturali dell’Himalaya. In particolare la zona è delimitata a  sud dalla catena Himalayana principale, formata dall’Annapurna Himal e dal Lamjung Himal, ad ovest dalle catene del Damodar Himal e del Muktinath Himal, ad est dal Manaslu Himal, ed infine a nord confina con il Tibet tramite Peri, Himlung e Cheo Himal.


Più di due terzi dell’area del distretto sono occupati da montagne, interrotte dal fluire del fiume principale, il Marsyangdi che, insieme ai suoi due tributari, il Nar ed il Dudh, drena tutto il bacino, scorrendo prima da nord-ovest a sud-est, per poi piegare decisamente verso sud all’altezza di Thonje.

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A causa dell’apertura meridionale della valle del Marsyangdi, le masse umide dei monsoni estivi sono in grado di superare in parte le barriere dell’Himalaya, e questo spiega il carattere transizionale dell’area, tra l’Himalaya esterno più sensibile all’azione dei monsoni, che qui tendono a bloccarsi e a rilasciare le precipitazioni, e quindi più umido, e l’Himalaya interno e continentale, più secco.
La copertura vegetazionale si modifica in accordo con queste variazioni, passando da vegetazione subtropicale, a temperata, a xerofila ed alpina.
La popolazione è scarsa (il terreno è impervio e difficile da sfruttare) e concentrata nella valle del Marshyangdi (1600-3700 mslm).  Le variabili condizioni naturali si riflettono in una elevata diversità etnica e culturale, con almeno quattro gruppi etnici dominanti, Gurung, Gyasumdopa, Manangi e Narpa, e molti gruppi minoritari.
A causa delle differenti condizioni geologiche e climatiche, si possono osservare tre diverse tipologie di vallate lungo il corso del fiume, che caratterizzano il territorio dividendolo in tre aree facilmente identificabili, sia per le caratteristiche geomorfologiche sia per quelle di insediamento ed agricoltura, Gyasumdo, Nyeshang e Nar.
Procedendo da sud a nord, troviamo prima la valle di Gyasumdo (1600-3000 mslm), dalla caratteristica forma a V a causa dell’erosione fluviale del Marsyangdi sul mantello roccioso cristallino e molto duro; è molto rocciosa e scoscesa e poco favorevole ad agricoltura e ad insediamenti abitativi.  Dal punto di vista climatologico l’area ha carattere fortemente transizionale.
Dopo la curva verso ovest all’altezza di Thonje si entra nella valle di Nyeshang (3000-3400 mslm), nella zona ovest del distretto, che ha invece forma ad U causata dall’erosione glaciale su depositi sedimentari più morbidi. L’area è a Nord del massiccio dell’Annapurna (7.000 mslm) e quindi i monsoni arrivano qui molto attenuati e la zona è meno umida. Nonostante ciò, grazie alla forma molto più dolce della valle, essa è  molto favorevole all’agricoltura e agli insediamenti.

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La zona di Nar (3500-4200 mslm) corrisponde alla vallata del tributario Nar, che giace nel nord del distretto e che ha il clima più rigido e secco, e gli insediamenti più elevati, Nar (4200 mslm) e Phoo (4100 mslm), entrambi sopra alla linea di vegetazione. In quest’area, che è stata l’obiettivo principale della missione pilota, il clima secco e rigido si riflette nella prevalenza di vegetazione tipica della steppa Tibetana.

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La valle di Nar-Phoo

La zona è a clima subalpino e alpino, e la tipologia floristica è tipicamente centro-asiatica con alcuni elementi sino-giapponesi. Piante tipiche dell’area sono Betula utilis D. Don, Juniperus spp., Rhododendron spp. (le specie arbustive sopra ai 4.000 mslm sono: Rhododendron anthopogon, Rhododendron lepidotum, Rhododendron setosum), Cotoneaster spp. (sopra ai 4.000 mslm), Hippophae tibetana Schltdl., Caragana brevispina Royle (sopra ai 4.000 mslm), Rosa spp., Berberis spp e Sorbus spp., con varie conifere alle altitudini minori: Pinus wallichiana A.B. Jackson, Tsuga dumosa (D. Don) Eichler, Abies spectabilis (D. Don) Mirb.

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Gli insediamenti più elevati sono Nar (4200 mslm) e Phoo (3900-4100 mslm), ed esiste un insediamento per lo svernamento a 3500 mslm (Meta) che, dopo essere stato abbandonato e quasi in rovina, si sta nuovamente attrezzando per ospitare persone. La popolazione dei due villaggi, i Narpas, forma un piccolo gruppo etnico locale, che usa un linguaggio di origine tibeto-burmese molto simile al Manangi della zona di Nyeshang, ma anche il tibetano parlato e scritto.
Nelle generazioni l’attività economica della popolazione è variata molto poco. Dipende fondamentalmente ancora dall’allevamento (yak, capre, pecore, bovini, ecc.) ma coltivano anche orzo e patate in campi irrigati ed hanno una piccolo flusso di commercio ad altitudini più basse in inverno.

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A causa del clima severo invernale, a dicembre la popolazione migra con le sue piante verso insediamenti più in basso, ed alcuni individui (di solito i più giovani) si muovono da lì verso sud per commerciare e scambiare i propri prodotti (lana di yak, formaggio secco, spezie ed erbe alimentari) con riso o altri prodotti alimentari impossibili da coltivare in quest’area. A marzo gli abitanti fanno ritorno a Nar e Phoo.
L’apertura recente della valle al turismo da trekking (fino al 2005 era aperta solo per gli alpinisti che si dirigevano verso il campo base dell’Himlung) potrebbe rappresentare una ulteriore fonte di reddito, ma un utilizzo razionale e sostenibile delle risorse di NTFP e MAP rappresenterebbe una fonte di reddito più stabile, legata anche ad una rivalutazione delle tradizioni locali e a processi di stimolazione dell’autostima e della identità comunitaria che sono fondamentali per lo sviluppo delle aree montane.

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Principali piante osservate nella valle di Nar-Phoo.
Fascia sub-alpina (3.000-4.000 mslm)
Intorno al primo insediamento della valle, Meta (tra i 3300 e i 3600 mslm), vicini al limite della vegetazione forestale, la vegetazione arborea è limitata all’abete himalaiano (Abies spectabilis (D Don) Mirb.; sinonimo: A. webbiana Lindley – Pinaceae), ed a pochi esemplari di betulla (Betula utilis D. Don – Betulaceae) ed è stato possibile osservare varie specie erbacee di interesse generale:

  • Polygonatum cirrhifolium (Wall.) Royle (Convallariaceae/Liliaceae s.l.)
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  • Clematis tibetana Kuntz oppure Clematis buchananiana DC [sinonimo: C. buchaniana var. rugosa Hooker fil. & Thomson] (Ranunculaceae)
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  • Abies spectabilis (D Don) Mirb. (Pinaceae)
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  • Cotoneaster sp. Medikus (Rosaceae)
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Poco più sopra rispetto all’insediamento, lungo il sentiero per Phoo intorno ai 3650 mslm, abbiamo osservato altre due specie non incontrate ad altitudini minori, la Arnebia benthamii (G.Don f.) IM Johnston (Boraginaceae) e Allium wallichii Kunth (Alliaceae/Liliaceae, pianta a rischio), e nell’area di Kyang, a 3800 mslm, abbiamo superato l’ultima colonia di betulle (Betula utilis D. Don).

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Superata la linea della vegetazione forestale, intorno e nell’area del villaggio di Phoo, situata a ca. 4000 mslm e caratterizzato da un clima particolarmente secco, abbiamo registrato un numero elevato di piante considerate utili dalle popolazioni locali:

  • Berberis aristata DC [sinonimo: B. ceratophylla G. Don.]
  • Pterocephalodes hookeri (C. B. Clarke) V. Mayer & Ehrendorfer (Dipsacaceae) [sinonimi: Pterocephalus hookeri (CB Clarke) Diels; Scabiosa hookeri CB Clarke]
  • Rosa sericea Lindley (e Rosa macrophylla Lindley) (Rosaceae)
  • Ajuga lupulina Maximovich (Lamiaceae)
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  • Aster sp. (Asteraceae)
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  • Dracocephalum sp. (Lamiaceae), in particolare Dracocephalum heterophyllum Benth.
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  • Geranium pratense L. (Geraniaceae)
  • Jurinea dolomiae Boissier (Asteraceae)
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  • Lonicera sp. (Caprifoliaceae)
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  • Myricaria rosea WW Smith (Tamaricaceae) [sinonimi: M. prostrata Hooker fil. & Thomson ex Benth. & Hooker fil.; M. germanica (L.) Desvaux var. prostrata (Hooker fil. & Thomson ex Bentham & Hooker fil.) T. Dyer]
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  • Potentilla fruticosa L. (Rosaceae)
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  • Ribes orientale Desf. (Rosaceae)
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  • Silene stracheyi Edgeworth (identificazione dubbia) (Caryophyllaceae)
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Prospiciente il villaggio di Phoo ha sede uno dei più importanti monasteri lamaisti della zona dell’Annapurna, con attività di studio, educazione e raccolta delle piante medicinali.

Fascia alpina (più di 4.000 mslm)
Presso l’insediamento di Nar (4200 mslm), caratterizzato da maggiori precipitazioni e da un clima meno secco di Phoo, oltre alle piante già osservate in precedenza abbiamo osservato:

  • Stellera chamaejasme L. (Thymelaceae) [sinonimo: Wikstroemia chamaejasme (L.) Domke]
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e presso l’ultimo campo base prima delle nevi perenni (Campo base di Kyangla 4500) le specie:

  • Bistorta macrophylla (D. Don) Soják (Polygonaceae) [basionimo: Polygonum macrophyllum D. Don.] .
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  • Tanacetum nubigenum Wall. ex DC (Asteraceae) [sinonimo: Dendranthema nubigenum (Wall. ex DC) Kitamura],
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    osservato anche a Kharka.

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  • Cremanthodium arnicoides Wall. R. Good (Asteraceae)
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  • Primula wigramiana ?? (Primulaceae)
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  • Rheum australe D. Don (Polygonaceae)
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  • Delphinium grandiflorum L./D. brunonianum Royle (Ranunculceae)
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NB: durante la missione, dopo il sopralluogo della valle di Nar-Phoo, è stata visitata anche la valle del Thorung Khola e l’area limitrofa al Campo Base del Tilicho, ad altitudini di simili a Phoo e Nar, in aree più occidentali. A causa della diversa esposizione e delle maggiori precipitazioni la flora era però caratterizzata diversamente, e le specie più presenti erano:

  • Caragana gerardiana Royle ex Benth e Caragana nepalensis Kitamura (Leguminosae/Fabaceae)
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  • Hippophae tibetana Schlechter [sinonimo H. rhamnoides L.] e Hippophae salicifolia D. Don (Eleagnaceae)
  • Leontopodium jacotianum P. Beauv. (Asteraceae)
  • Rosularia alpestris (Kar. & Kir.) Boriss (Crassulaceae)

Ad altitudini elevate, come al passo di Kyangla (5200-5300), abbiamo potuto registrare la presenza di:

  • Rhodiola himalensis (D. Don) S. H. Fu (Crassulaceae)
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  • Taraxacum tibetanum Hand.-Mazz (Asteraceae)
  • Elsholtzia eriostachya (Benth.) Benth. (Lamiaceae).

Gli utilizzi tradizionali
Disturbi respiratori
Le foglie dell’abete himalaiano (Abies spectabilis (D. Don) – Pinaceae) vengono usate in decotto per tosse e bronchite, e da esse viene ricavato per distillazione l’olio essenziale, usato localmente e venduto sul mercato interno. Due specie del genere Clematis importanti per i disturbi respiratori sono la lanke chanke (o shikari jhar –  Clematis buchananiana DC – Ranunculaceae) e la kreme (C. montana Buch.-Ham ex DC). Foglie e radici vengono utilizzati per tosse, raffreddore e sinusite.
I semi di thupme (Elsholtzia eriostachya (Benth.) Benth – Lamiaceae) vengono masticati  in caso di tosse e raffreddore, mentre radici e foglie secche di  tani na (Gentiana robusta King ex Hook. f.  – Gentianaceae) vengono bruciate ed i fumi inalati in caso di raffreddore. Sempre in caso di raffreddore e tosse viene usata una pianta dalle foglie coriacee ed aromatiche, la onma (Myricaria rosea WW Smith – Tamaricaceae), che viene pestata e ridotta a pasta e assunta per bocca. In altre zone (nel Rolwaling) si preferisce invece il decotto.
In tutto il distretto del Manang fiori e foglie e a volte pianta intera di panrimendo, o “fiore dei prati montani” (Pterocephalodes hookeri (C. B. Clarke) V. Mayer & Ehrendorfer – Dipsacaceae) vengono utilizzate per raffreddore, febbre e tosse.
Il succo della radice di Miahali (Rumex nepalensis Spreng – Polygonaceae), pianta usata soprattutto per i disturbi digestivi e della pelle, viene anche usato per  tosse e raffreddore.

Disturbi del tratto gastrointestinale
La Bistorta macrophylla (D. Don) Soják è usata soprattutto per dissenteria/diarrea, gastralgia. Il succo della lanke chanke (Clematis buchananiana DC) oppure della kreme (C. montana Buch.-Ham. ex DC – Ranunculaceae), pianta intera e radice, si usa per vari problemi gastrici (indigestione, ulcera peptica, ecc.)
I frutti di varie specie di Heracleum (H. nepalense D. Don; sinonimo: H. nepalense var bivittata CB Clarke – Apiaceae) vengono arrostiti e masticati per tosse, diarrea e dissenteria nel distretto. I frutti sono anche usati come spezie nel daal e nelle carni. In un altro distretto (Dhading) il succo della radice è reputato utile in caso di diarrea.
Il panrimendo (Pterocephalodes hookeri) viene usato in tutto il Manang come decotto di pianta intera in caso di diarrea.
Senza dubbio una delle piante più comunemente usate per disturbi gastrointestinali, e per un ventaglio di indicazioni molto ampio, è miahali (Rumex nepalensis Spreng – Polygonaceae). Le foglie si usano in caso di nausea e dissenteria (Nepal occidentale, Gurung), e le radici in caso di intossicazione alimentare e diarrea nei bovini, come purgante ed antidoto. Il succo della radice viene anche usato come antelmintico e la radice e le foglie vengono impiegate a livello topico per la gengivite.
Varie specie di Berberis (Berberidaceae), in particolare Berberis aristata DC (ban chutro), sono importanti come rimedi oftalmici e digestivi. Radice e fusto sono usate in caso di diarrea e dispepsie, e i frutti per diarrea e ittero. Il succo ricavato dalla corteccia viene usato in caso di ulcera peptica, alla dose di 4 cucchiaini tre volte al giorno.
Il succo della radice di tsharsin (Cotoneaster affinis Lindley – Rosaceae) si usa per trattare le indigestioni. Per la stessa indicazione si usa anche il succo della radice di un’altra Rosacea, la Potentilla fruticosa L. (teba), mentre la radice di Pleurospermum hookeri CB Clarke (Apiaceae) si usa per dispepsia, diarrea ed emorroidi.
Una pianta chiave della regione, dal punto di vista dei disturbi gastrointestinali ma anche dal punto di vista economico. è il phopri (Lindera neesiana (Wall. ex Nees) Kurz – Lauraceae). In Gyasumdo e in genere nel distretto del Manang i frutti neri vengono ingeriti in caso di problemi di stomaco (dispepsia) o flatulenza. In altre zone del Nepal vengono masticati in caso di diarrea, mal di denti, nausea e flatulenza.
Fiori e foglie di Dracocephalum sp. (Lamiaceae) vengono usate per problemi di fegato, stomaco e febbri associate.

Disturbi dell’apparato cutaneo
La radice ed il fusto di Berberis aristata (Berberidaceae) sono molto usate per disordini della pelle ed infiammazioni, grazie alle sue attività alterativa ed astringente. Nei distretti di Lamjung e di Dhading il succo della Clematis buchananiana DC (oppure C. montana Buch.-Ham. ex DC – Ranunculaceae) si applica localmente su tagli e ferite, mentre nel distretto di Chitwan la radice in pasta si applica localmente per gonfiori infiammatori.
Le foglie strizzate e stropicciate di Rumex nepalensis vengono massaggiate su gonfiori, ferite e foruncoli, mentre le foglie ed il fusto vengono impiegate a livello topico per l’eczema. In India le foglie sono usate per trattare le irritazioni da contatto con ortica. Bistorta macrophylla (D. Don) Soják è ritenuta, antisettica e vulneraria e viene usata soprattutto per trattare l’eczema.
Il succo della radice di mendosan  (Aster indamellus Grierson e Aster spp. – Asteraceae) viene usato su ferite e foruncoli, le radici essiccate e polverizzate di daurali phul (Stellera chamaejasme L. – Thymelaceae), mescolate con senape o cherosene, si applicano come antisettico topico su ferite aperte, e a Nar i fiori di Potentilla fruticosa L. (Rosaceae) vengono seccati, polverizzati, mescolati ad acqua, ed applicati alle ferite
La scabbia viene trattata con applicazioni locali di decotto di Delphinium sp. (Ranunculaceae), mentre Pleurospermum hookeri CB Clarke (Apiaceae) e Lindera neesiana sono ritenuti rimedi generici per problemi della pelle.

Disturbi e dolori osteoarticolari o muscolari
La radice di Silene stracheyi Edgeworth (Caryophyllaceae) viene applicata a slogature o lussazioni dopo essere stata ridotta a pasta; lo stesso tipo di preparazione (pasta della pianta) si usa quando si applica Ajuga lupulina Maximovicz (Lamiaceae) per trattare i gonfiori muscolari. Si utilizza invece il decotto di pakchar (Caragana gerardiana Royle ex Benth o Caragana nepalensis Kitamura (Fabaceae) per trattare i dolori articolari.
In Nyeshang la radice di komse (Polygonatum cirrhifolium (Wall.) Royle (Convallariaceae/Liliaceae s.l.) viene essiccata e spezzettata, mescolata  con olio ed altre piante ed applicata a livello topico per dolori alla schiena e al petto.
Rumex nepalensis è una pianta molto importante per i problemi muscoloscheletrici. In Nyeshang la radice si mescola insieme ad altre piante in varie formule usate per applicazioni topiche in caso di slogature e fratture, dopo che la parte da trattare è stata lavata con acqua e sale. Usi simili si riscontrano anche in Nepal occidentale, zona di Karnali (slogature) e nel Nepal centrale, a Nuwakot (fratture). Nel distretto di Sindhupalchok il Rumex viene usato per dolori e gonfiori articolari. Le foglie vengono usate nei villaggi di Chaubas e Syabru e nel distretto di Palpa per ferite e gonfiori, ed il decotto della pianta intera è usato per lavare il corpo in caso di dolori e gonfiori articolari.
Nel distretto di Jumla la radice di Stellera chamaejasme L. (Thymelaceae) viene usata per gotta e articolazioni doloranti, mentre il decotto della corteccia si usa per le slogature.
Myricaria rosea, Pleurospermum hookeri CB Clarke e Clematis tibetana Kuntz (oppure Clematis buchananiana DC) sono genericamente utilizzate in caso di disturbi muscoloscheletrici.

Altri utilizzi

Rumex nepalensis e Berberis sp., si usano a livello topico per problemi oftalmici, inclusi congiuntivite, infezioni e infiammazioni; Elsholtzia sp. si usa in caso di svenimenti; Myricaria rosea, Berberis sp. e Rumex sono piante genericamenre usate in caso di infezioni. Lindera neesiana si usa anche come antidoto contro piante velenose, ed il Polygonatum cirrhifolium si usa anche come tonico per il recupero dopo una lunga malattia. La Bistorta macrophylla (D. Don) Soják, oltre ai già citati utilizzi, viene anche indicata in caso di problemi di emorragie, diabete, ittero, gonorrea e vaginite.  Aster sp. si utilizza in caso di mal di denti e dolorazione al seno, Rumex nepalensis, Elsholtzia sp. e Cotoneaster acuminatus si usano per trattare le cefalee, e la Lindera neesiana è considerata un rimedio generico per il dolore.
Le specie appartenenti al genere Berberis, e il Rumex nepalensis sono considerati antidoti contro le intossicazioni alimentari e la diarrea nei bovini, mentre la Lindera neesiana fornisce foraggio supplementare per cavalli.
Varie piante utilizzate come aromatiche o piante da incenso, sono anche usate in caso di infestazioni: Caragana gerardiana Royle ex Benth. è usata come repellente contro le infestazioni di topi, Cotoneaster affinis come repellente per insetti e pidocchi, e le foglie di Tanacetum nubigenum Wall. ex DC (che sono fonte di incenso in inverno in Nyeshang e Nar) si usano per pediculosi e per allontanare gli insetti molesti.
I rami del Cotoneaster acuminatus servono a costruire bastoni da trekking e manici di ascia, e la Stellera chamaejasme L. serve come materiale per la costruzione dei tetti.
Potentilla fruticosa e Silene stracheyi Edgeworth conengono saponine e sono usate come detergente delicato naturale.

Conclusioni
Gli obiettivi limitati della missione pilota sono stati raggiunti, ma questi consistono prevalentemente in dati iconografici, analisi della letteratura, contatti con soggetti informati sugli utilizzi delle piante medicinali e sopralluoghi dei luoghi.

Idealmente queste informazioni dovrebbero servire a facilitare ulteriori missioni con valenza più operativa e con una maggior ricaduta sulle popolazioni, ed in particolare sugli strati più svantaggiati, attraverso la mobilitazione di risorse locali da parte dei locali, e l’acquisizione di maggior confidenza e coscienza dell’importanza delle conoscenze che le popolazioni hanno della natura nella quale sono immerse.
I possibili sviluppi sono molti, alcuni di carattere più teorico altri a vocazione più pratica:
1. Analisi delle differenze tra utilizzo delle MAP da parte della popolazione locale e utilizzo nel contesto “colto ” della medicina di origine tibetana.
2. Studio delle piante alimentari “da carestia”, del limine tra piante alimentari e medicinali, in situazione di agricoltura al limite della sussistenza nel villaggio di Phoo. Analisi delle preferenze alimentari di bambini e donne, uso di piante da “spuntino”.
3. Utilizzo dei dati raccolti in letteratura sulle piante della zona per fornire un feedback alla popolazione locale (sul modello delle indagini/feedback del TRAMIL).

Qualsiasi direzione possano prendere le fasi future del progetto, esse dovrebbe fare tesoro delle esperienza già accumulate da varie ONG nepalesi nel campo dei processi di autotrasformazione, attraverso sistemi di educazione degli adulti come REFLECT e di lavoro orientato ai processi piuttosto che agli obiettivi, di educazione alla preservazione della natura e della cultura come opportunità per lo sviluppo, del rafforzamento l’identità ed originalità etnica per prevenire la disgregazione.