Uomo e piante 1/dimoltialtri

Uomo e piante

Devo soccombere alla realtà dei fatti, la sintesi non è nelle mie carte, e i post brevi ed illuminanti nemmeno :-).

Cerco di allora di illudermi con la sistematicità, ma  tendo a soccombere alla tendenza al dettaglio. Ecco quindi che mi ci è voluto un po’ per capire che dovevo pur iniziare a buttare fuori questi post dedicati al rapporto tra uomo e piante, anche se non tutti i link sono a posto ecc.

Spero nella benevolenza di chi leggerà, ed anche nelle loro indicazioni e suggerimenti per il miglioramento di quella che nelle intenzioni sarebbe una lunga serie di post.

Questo è anche un modo per trovare il tempo per rivedere le monografie di Infoerbe a poco a poco, con la scusa di linkarle qui.

Un dato incontrovertibile, ma velato dal tempo trascorso e dalla consuetudine, che serve ad inquadrare la discussione che seguirà, è l’esistenza di una relazione speciale che lega le piante all’uomo dagli albori della cultura umana e da prima ancora. Pochi sono gli aspetti della vita dell’uomo nei quali le piante non abbiano giocato in qualche epoca un ruolo importante, addirittura determinante. Allo stesso tempo le piante, in una sorta di viaggio coevolutivo, sono cambiate con l’uomo, sino a diventare in parte dei costrutti culturali.

Le piante forniscono materiale per costruire edifici, templi, vascelli; resine per impermeabilizzare i vascelli, da bruciare nei templi per onorare gli dei, da mescolare al cibo. Dalle piante si modellano strumenti, oggetti sacri ed artistici, fibre per costruire corde, tessuti da indossare e pigmenti per colorarli e per dipingere la storia dell’uomo. Le piante hanno fornito i primi inebrianti usati nei riti magico-religiosi ed i primi veleni usati nella caccia o nelle ordalie, ed entrano nei miti come “oggetti spirituali”, portatori di relazioni simboliche dell’uomo con il mondo naturale e supernaturale. Alcune piante hanno determinato il corso della storia economica e culturale fino a tempi molto recenti, come nel caso delle spezie e delle vie commerciali che furono aperte per assicurarsi il loro monopolio. (1)

Le piante, per finire, (come verrà ampiamente esposto più avanti) sono state per la maggior parte della storia umana la principale fonte di nutrimento, e la fonte più importante di farmaci in tutte le tradizioni mediche antiche ed in certa misura anche nella medicina moderna.

Per citare alcuni esempi a questo riguardo, nella più antica farmacopea occidentale che ci sia arrivata nella sua interezza, il Περὶ ὕληϛ ἰατρικῆϛ (De Materia Medica) di Pedanio Dioscoride (scritto ca. 50-68 d. C.), l’autore elenca circa 725 rimedi, dei quali più di 600 sono di origine vegetale (82-83%), 35 di origine animale (4.7-4.8%) e 90 sono minerali (12.2-12.4%);(2) nella Naturalis Historia (Storia Naturale) di Plinio il Vecchio, compilato nello stesso periodo o poco dopo, su 1693 sostanze medicamentose menzionate, 1391 (82%) sono sostanze di origine vegetale (delle quali 119 spezie o piante aromatiche), 218 (13%) sono sostanze animali e 84 (5%) sono dei minerali.(3)

Nella farmacopea cinese antica le percentuali sono simili: nello Shennong bencao jing (ca. 100 d. C.) su 365 droghe 246 (68%) sono di origine vegetale (i minerali costituiscono lo 11.5% e gli animali il 18.3%); nella raccolta del 659 d.C., il Hsin hsiu pent’sao, la percentuale di rimedi vegetali è del 64% e nel Takuan pent’sao (del 1108 d.C.) del 67.7%.

Nel Caraka Samhita, uno dei due testi più antichi della tradizione medica ayurvedica, si citano 582 rimedi, dei quali 341 (ca. 60%) di origine vegetale.(4)

Per quanto riguarda la farmacopea moderna, secondo Guerci e Lugli: “in un laboratorio farmaceutico medio oltre il 60% dei farmaci provengono, direttamente o indirettamente, dalle piante” e “un quarto delle prescrizioni rilasciate negli stati uniti d’America contiene principi attivi estratti da piante” (per una descrizione più dettagliata ed esaustiva del rapporto tra farmaci prodotti e farmaci legati in maniera più o meno diretta al mondo vegetale vedi il post di Meristemi).(5)

Alcuni di questi farmaci sono tra i più conosciuti ed utilizzati: morfina dal papavero da oppio [Papaver somniferum L. — Papaveraceae], chinino da Cinchona spp. [Rubiaceae], aspirina dalla corteccia di salice [Salix spp. — Salicaceae] e dalla regina dei prati [Filipendula ulmaria (L.) Maxim. — Rosaceae], digossina dalla digitale [Digitalis purpurea L. — Scrophulariaceae], taxolo dal tasso [Taxus brevifolia Nutt. — Taxaceae], vinblastina da Vinca [Catharanthus roseus (L.) G.Don f. — Apocinaceae].

Cibo, farmaco, uomo
Nelle società industrializzate la percezione comune individua i farmaci sia dalla loro forma (pillole o compresse, composti chimici assunti a dosi molto ridotte, nell’ordine dei micro/milligrammi), sia dalla loro funzione (hanno attività farmacologica spiccata, riducono o eliminano sintomi, curano malattie), mentre i cibi sono sostanze consumate solitamente in quantità molto maggiori e che normalmente non esercitano attività farmacologica ai dosaggi tipici dei farmaci, e neppure a quelli alimentari.

In pratica, però, nonostante l’apparenza, la distinzione tra ciò che è farmaco e ciò che è alimento non è così netta, anzi offre molti spazi di sovrapposizione, e le definizioni sono spesso normative e culturali oltre che oggettive. Le piante in particolare possono offrirci vari esempi

Le piante possono infatti essere usate sia come medicina sia come cibo, ed è difficile tracciare una separazione netta tra queste due aree: il cibo può essere medicina e viceversa. Le risorse vegetali nelle società tradizionali, in particolare le verdure selvatiche, sono spesso utilizzate contemporaneamente in diversi contesti come cibo e come medicina. La raccolta o la coltivazione, la preparazione ed il consumo di tali specie sono radicate nelle percezioni emiche (NdT: riferite al punto di vista, alle credenze, ai valori dell’attore sociale ottica) degli ambienti naturali associati alle risorse disponibili, alla cucina e alla pratica medica locale, all’apprezzamento del gusto e tradizioni culturali.(6)

Un esempio classico di questa ambiguità sono le spezie, che costituiscono un gruppo di piante anche oggi utilizzato a scopo alimentare, sempre in quantità molto ridotte; esse sono state tra le prime piante non strettamente alimentari ad essere coltivate (come ad esempio zenzero [Zingiber officinale Willd. Roscoe — Zingiberaceae] e canna da zucchero [Saccharum officinarum L. — Poaceae ], tra le prime cultivar conosciute) e tra le prime ad essere riconosciute dall’uomo come medicinali (dato suffragato dalle moderne ricerche farmacologiche – antisettica, digestiva, antispasmodica ed altre estremamente interessanti).

Tra le spezie meritano una menzione particolare due piante, l’aglio [Allium sativum L. — Alliaceae] e la curcuma [Curcuma longa L.– Zigiberaceae], perché sono due piante che nei loro rispettivi contesti geografici sono piante alimentari comunissime ed allo stesso tempo con una decisa attività di prevenzione e di trattamento delle malattie.(7)

Il caffè [Coffea arabica L.– Rubiaceae]ed il tè [Camellia sinensis (L.) Kuntze — Theaceae] sono due altri esempi tipici di piante con riconosciuta e potente attività farmacologica a dosi relativamente ridotte e che, nonostante ciò, sono, per ragioni di consuetudine e storiche, considerate degli alimenti. Questa difficoltà a distinguere tra i due campi è resa ancora maggiore (o forse è resa più esplicita (8)) dallo sviluppo della zona chiaroscurale che comprende i supplementi alimentari a scopo salutistico, i nutraceutici, gli alimenti funzionali, i cibi tossici o medicinali. (9)

Se passiamo dalle società industrializzate a realtà tribali o di comunità più ridotte e agricolo-pastorali, questa sovrapposizione tra cibo e farmaco non solo è presente, ma è comunemente accettata. Alcuni dei casi più studiati (in particolare da Timothy Johns e collaboratori) sono quelli dei Maasai, dei Batemi e di altre tribù dell’Africa Orientale, che mescolano radici e cortecce ad azione terapeutica alle zuppe a base di carne, ed dei Luo ed altre tribù di Kenya e Tanzania che usano nei pasti, in specifiche celebrazioni annuali, vegetali a foglia larga con attività farmacologia spiccata, molto amare e/o piccanti.

Questo comportamento è stato proposto come spiegazione del cosiddetto paradosso Maasai. Questo gruppo ottiene il 66% delle calorie da lipidi (pasti composti principalmente da latte e sangue), senza mostrare però la costellazione di disordini cardiovascolari che nei paesi europei e nordamericani è associata a diete ad alto tenore di grassi; nelle circa 25 piante usate nelle zuppe è stata riscontrata una elevata percentuale di  saponine, molecole in grado di legarsi al colesterolo ed ai grassi saturi alimentari e quindi potenzialmente in grado di ridurre il rischio (anche se è probabile che la differenza sia dovuta anche a fondamentali differenze di stili di vita tra società industrializzate e società pastorali). Le stesse piante usate come additivi alimentari mostrano attività antivirale contro il morbillo.(10)

In alcuni casi le piante sono un “cibo” ed una “medicina” con forte valenza simbolica: valga per tutti l’esempio del peyote [Lophophora williamsii (Salm-Dyck) J. Coulter — Cactaceae], dio, sacramento, cibo sacro, medicina.(11)

La differenza tra alimento e farmaco può risiedere non nella “natura” del materiale, ma nella modalità di scelta o nell’orizzonte culturale nel quale la scelta viene effettuata. Comunità che condividono caratteristiche simili dal punto di vista socio-economico e geografico, ma culturalmente e/o etnicamente distinte, possono utilizzare la biodiversità vegetale in maniera diversa, usando categorie diverse per determinare  l’interfaccia tra cibo e medicina.(12)

ll sapore, l’apparenza, la consistenza, l’odore, il nutrimento che possono apportare, sono tutti stimoli sensoriali e categorie che determinano la scelta di una pianta come alimento o come medicina, ma nell’equazione entrano anche altri fattori. Alcune piante medicinali, ad esempio, vengono selezionate a seconda della stagione a causa di problemi di disponibilità, quindi in certi periodi dell’anno si sovrapporranno alle piante mangerecce, soprattutto in corrispondenza di malattie stagionali come le malattie da raffreddamento, la malaria, i parassiti, i problemi digestivi. Altre volte, le piante spontanee usate come medicina diventano cibi d’emergenza in momenti di carestia, e sono sovente delle antiche cultivar (sempre più spesso dimenticate anche da quelle popolazioni che si avvantaggerebbero di più dal loro sfruttamento).(13)

Il fatto, poi, che la maggior parte delle piante usate a scopo medicinale non siano piante selvatiche che si incontrano nel profondo della foresta, bensì infestanti, ovvero quelle piante che si situano nel continuum tra selvatico e coltivato, sottolinea  la natura relazionale della polarità alimento-farmaco. La pianta è attiva farmacologicamente in virtù di sue proprietà biologiche, ma viene “costruita” come medicina nella sua relazione con l’attività e la cultura umana, visto che proprio le piante nate “intorno” all’attività agricola dell’uomo senza farne del tutto parte sono diventate il suo strumento medicinale principale. (14)

In sistemi medici colti come la medicina cinese o quella indiana, la sovrapposizione tra cibo e medicina è stata addirittura formalizzata all’interno del costrutto teorico medico. Nel Shennong pent’sao jing, quello che potrebbe essere vista come la prima raccolta sistematica della farmacopea cinese, risalente al primo secolo d.C., i farmaci vengono divisi in tre categorie, dette di grado superiore, medio ed inferiore. Tutte le droghe di livello superiore (chiamate anche rimedi imperatore) appartengono al campo dei cibi-farmaco, rimedi igienisti macrobiotici che “alleggeriscono il corpo”, “estendono gli anni di vita” ed “eliminano la vecchiaia”, dai quali non ci si aspetta una efficacia terapeutica diretta, e la cui somministrazione a lungo termine era considerata sicura, senza pericolo: ginseng [Panax ginseng C. Meyer. — Araliaceae], liquirizia [Glycyrrhiza glabra L. —  Fabaceae], Angelica sinensis [Apiaceae], piantaggine [Plantago spp. — Plantaginaceae] ecc.(15)

Simile classificazione è presente anche nella farmacopea ayurvedica, dove le piante considerate più importanti, i rimedi Rasayana, si usano per nutrire e rinforzare il “tessuto primordiale” o rasa , per ritardare l’invecchiamento, promuovere l’energia vitale e migliorare le capacità cognitive. Anche in questo caso si tratta di piante quasi alimentari, il cui consumo è possibile in grandi quantità e per lungo tempo, e la cui azione è simile ad un nutrimento terapeutico, mentre le piante più attive nel senso moderno e farmacologico del termine sono anche quelle meno importanti [Withania somnifera (L.) Dunal. — Solanaceae; Ocimum sanctum L. — Lamiaceae, Phyllanthus emblica L. — Euphorbiaceae, Asparagus racemosus Willd. — Asparagaceae (o Liliaceae)].(16)

Se poi analizziamo dal punto di vista chimico le piante usate come medicine e quelle di uso alimentare scopriamo che i medesimi composti chimici ad attività farmacologica (alcaloidi, composti amari, flavonoidi, glicosidi, in particolare cianogenici, saponine, acidi organici) sono presenti nelle due categorie, anche se in concentrazioni molto differenti.

Conclusioni
Da quanto detto discende che l’uomo ha sempre inserito nella sua dieta composti farmacologicamente attivi presenti nelle piante di cui si nutriva, anche se probabilmente con maggior frequenza nelle epoche antiche rispetto ad oggi.

Ma come è successo che le piante siano diventate un elemento così importante per gli esseri umani? Ed in particolare, perché esse sono così importanti per la medicina?
Una prima risposta generica a questi quesiti viene dalla considerazione della quantità e diversità di vita vegetale sul globo: grazie alla loro natura autotrofa, le piante superano di una magnitudo di fattore dieci tutta la biomassa di origine animale sul globo; possiedono una capacità ineguagliabile di sintetizzare ex novo composti chimici, poiché, a differenza degli animali, non possono muoversi, e per difendersi dai predatori devono sintetizzare ed utilizzare speciali composti di difesa.

L’approccio coevolutivo spiega la nascita della “pianta medicinale”, il momento aurorale della medicina, come una relazione tra uomo, pianta e patogeni, che nei milioni di anni avrebbe permesso all’uomo di adattarsi ai composti di difesa, di imparare a renderli meno tossici ed infine di utilizzarli a proprio beneficio.

Naturalmente il dato biologico adattivo può spiegare un inizio, può giustificare un ventaglio molto limitato di attività delle piante sull’uomo. Non è possibile farvi risalire direttamente le elaborazioni culturalmente mediate della medicina.(17)

Un corollario di questa tesi è che:

una delle chiavi per comprendere come questo processo sia iniziato sta nel riconoscere l’importanza del sapere tradizionale sulle piante presente in ogni cultura, e nell’identificazione degli elementi culturali e biologici del processo dinamico attraverso il quale questo sapere viene ottenuto e mantenuto in una comunità.(18)

Sarà quindi necessario valutare il ruolo giocato dalle piante all’interno delle diverse culture e dei diversi contesti storici e simbolici, e cercare uno schema che ci permetta di collegare tra di loro questi dati, per chiarire quanto essi siano generalizzabili; per chiarire cioè quanto i parallelismi di utilizzo in diverse aree geografiche dipendano dal passaggio di informazioni tra una area e l’altra  (e non siano quindi trattabili come indipendenti), e quanto invece siano indipendenti e quindi si rinforzino a vicenda.

A loro volta questo collegamenti potranno essere messi in relazione con ciò che sappiamo sulle relazioni evolutive tra uomo e piante, ed anche con ciò che sappiamo in termini di chimica delle piante, ad esempio che esistono dei cluster di attività intorno a determinati composti o gruppi chimici, e che determinati gruppi chimici mostrano la tendenza a segregarsi secondo divisioni tassonomiche.

Questi dati presi assieme e usati, per così dire, per effettuare una triangolazione, potrebbero gettare più luce sulle basi biologiche ed evolutive dell’uso delle piante come medicine da parte dell’uomo.

Prima di tentare questa analisi/descrizione è però necessario fare un passo indietro, esplorare i presupposti biologici di queste relazioni, andare a trovarne i semi nella preistoria della nostra specie o addirittura del nostro genere. Per fare questo esamineremo brevemente quali siano stati i passaggi più importanti nel mondo vegetale dalle sue prime esplorazioni delle terre emerse fino ai nostri tempi, per capire come l’evoluzione delle strategie di sopravvivenza delle piante abbia potuto poi intercalarsi con la nostra. A partire da questi dati sarà poi più semplice esaminare l’evoluzione dell’uomo, della sua dieta e della sua trasformazione nei millenni in pratica terapeutica.

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Note

1. Lewington A. Plants for People. London, The Natural History Museum, 1990. Heiser, C.B.m, Jr. Of plants and people. Norman OK, University of Oklahoma Press, 1985. Balick, M.J., Cox, PA Plants, people, and culture: The science of ethnobotany. Scientific American Library, 1996

2. Pedacii Dioscoridis de materia medica libri sex interpetre Petro Andrea Matthiolo cum eiusdem commentariis. Venezia, 1544. Collins M.  Medieval herbals: The illustrative tradition. The British Library and University of Toronto Press, 2000

3. Nei libri dal XX al XXXII. In Fabre,  La pharmacopée romaine dans l’oeuvre de Pline l’ancien. Tesi di dottorato presentata alla Sorbona (Paris IV), aprile 1998

4. Il secondo è il Susruta Samhita; di entrambi è incerto il periodo di composizione, anche se la loro presenza è certa nel primo secolo d.C., e è possibile risalgano al quarto secolo a.C. – Wujastyk, D. Indian Medicine in Bynum W.F. e Porter R. Companion encyclopedia of the history of medicine. 2 vols. London, Routledge, 1993, pp.755; cfr. Priyadaranjan Ray e Hirendra Nath Gupta Caraka Samhita (a Scientific synopsis), New Delhi, National Institute of Sciences of India, 1965, Tabelle 1-3

5. Guerci A., Lugli A. Piante medicinali del mondo, patrimonio dell’umanità: Una visione tra etnobotanica, tradizione e scienza. Planta Medica Edizioni, 2005, p. 2 e p.14; cfr. anche Foster, S. & Johnson, R. Desk Reference to Nature’s Medicine. National Geographic Society, Washington D.C, 2006.

6. Pieroni A., & Price L.L. “Introduction” in Eating and Healing: Traditional Food As Medicine, The Haworth Press, 2006

7. D’altro canto possono essere definiti farmaci i cibi assunti per curare o alleviare le malattie, e cibi i beni consumabili che tradizionalmente non sono stati considerati medicinali dai vari governi.

8. Nel senso che l’aumento delle ambiguità in questo campo non è altro, a mio parere, che  la rivelazione della artificialità della distinzione normativa, che ha voluto racchiudere la complessità in definizioni troppo stringenti. In società meno normative, questa sovrapposizione di campi non è vista come problematica.

9. Nel campo ancora giovane ed in grande sviluppo dello studio delle interrelazioni tra “alimenti” e “medicine” i termini usati per descrivere la zona di confine tra i due settori sono ancora relativamente vaghi: per “cibo funzionale” (functional food) si deve intendere, seguendo Preuss (Preuss A (1999) Zur Charakterisierung Funktioneller Lebens- mittel (Characterization of functional food) Deutsche. Lebensmittel-Rundschau 95 468-47),  un cibo che oltre agli utilizzi legati ad aspetti nutrizionali o di piacere sensoriale, mostra utilizzi legati ad effetti di altro tipo sulle funzioni dell’organismo, e che occuperebbe una posizione mediana ma in parte distinta (una terza opzione) tra cibo e medicina. Per “cibo medicinale” (medicinal food) o “medicine alimentari” (food medicines), seguendo Pieroni e Quave (Pieroni, A. e Quave, C. “Functional foods or food medicines? On the consumption of wild plants among Albanians and Southern Italians in Lucania” in A., Pieroni e L., Leimar Price (eds.)  (2006) Eating and Healing, Haworth Press,  p. 110) intendiamo invece quell’area di sovrapposizione tra cibo e medicina, quando una pianta viene ingerita in un “contesto alimentare” allo scopo di ottenere uno specifico effetto medicinale. Il termine “nutraceutico” (dall’inglese nutraceutic, composto di nutritional e pharmaceutic) identifica una pianta alimentare o derivato che, grazie al contenuto in metaboliti secondari (al di la quindi del puro effetto nutritivo), può modificare la fisiologia umana ed in alcuni casi i processi patologici.

10. cfr Johns, T. e Kokwaro, J.O. (1991) “Food plants of the Luo of Siaya District, Kenya”. Economic Botany 45: 103-113.; Uiso F.C.  Determination of toxicological and nutritional factors of Crotalaria species used as indigenous vegetables. M.Sc.Thesis, Mc Gill University, 1991; Johns, T.  “Plant constituents and the nutrition and health of indigenous peoples”. In V.D., Nazarea (Ed.), Ethnoecology-Situated knowledge, located lives. Tucson: University of Arizona Press, 1990;  Johns, T., Mahunnah, R.L.A., Sanaya, P.,  Chapman, L. e Ticktin, T. (1999) Saponins and phenolic content in plant dietary additives of a traditional subsistence community, the Bateni of Ngorongoro District, Tanzania. Journal of Ethnopharmacology 66: 1-10.; Johns, T., Mhoro, E.B. e Sanaya, P. (1996) Food plants and masticants of the Batemi of Ngorongoro District, Tanzania. Economic Botany 50: 115-121.; Johns, T., Mhoro, E.B. e Uiso, F.C. (1996) Edible plants of Mara Region, Tanzania. Ecology of Food and Nutrition 35: 71-80; Parker M., Chabot S., Ole Karbolo M. K., Ward B. J., Johns T. A. “Traditional dietary additives of the Maasai are antiviral against the measles virus.”  Poster alla 8th International Congress of Ethnopharmacology, 2004, Canterbury, UK.

11. cfr. Evans Schultes R., Hoffmann, A. e Ratsch, C. Plants of the Gods:  Their sacred, healing, and hallucinogenic powers. Revised and expandend edition. Healing Arts Press, Vermont, 1998, pp. 144-155

12. Quave C.L. & Pieroni A. “Traditional health care and food and medicinal plant use among historic Albanian migrants and Italians in Lucania, southern Italy”. In A. Pieroni e I. Vandebroek (eds.) Traveling cultures and plants: The ethnobiology and ethnopharmacy of human migrations. Berghahn Books, Oxford, 2007

13. Sull’area di sovrapposizione tra piante come farmaco e come alimento, sul continuum che lega le piante spontanee a quelle domesticate, e sull’importanza di queste analisi per la comprensione della transizione tra caccia e raccolta e agricoltura, vedi la bella raccolta di saggi coordinata da Lisa Etkin (Etkin, N.L. (Ed.), Eating on the wild side. Tucson: University of Arizona Press. Etkin, N.L. (1996)). Per un esempio di testo scritto allo scopo di conservare il sapere locale sulle piante selvatiche ad utilizzo alimentare cfr. Ruffo C. K., Birnie A., Tegnas B. Edible Wild Plants of Tanzania. Technical Handbook No. 27 Regional Land Management Unit, Nairobi, Kenya, 2002.

14. Traduco con infestanti il termine weed, che in inglese denota appunto le piante che si trovano nel continuum della relazione uomo-piante, tra piante spontanee e piante coltivate. In questo continuum abbiamo le piante spontanee, che crescono al di fuori dell’habitat disturbato dall’uomo e che non possono con successo invadere permanentemente habitat disturbati dall’uomo; le piante infestanti, la cui popolazione cresce completamente o in maggioranza in situazioni marcatamente disturbate dall’uomo, senza essere deliberatamente coltivate, quasi sempre erbacee e a crescita veloce; le piante coltivate, piantate intenzionalmente. Ma vi sono anche le piante domesticate accidentalmente a causa dell’attività dei cacciatori-raccoglitori, e le piante domesticate, che si sono evolute in una nuova forma a causa della continua manipolazione, tanto che possono aver perso la capacità di riprodursi da sole (cfr. Zimdahl, R.L., Fundamentals of Weed Science, 2nd ed. Academic Press, San Diego, CA., 1992, p. 172); Etkin, N.L. “The cull of the wild”. In N.L., Etkin (Ed.), 1994 op. cit.; Etkin, N.L. (1996) “Medicinal cuisines: Diet and ethnopharmacology”. International Journal of Pharmacognosy 34: 313-326. Etkin, N.L. e Ross, P.J. (1982) “Food as medicine and medicine as food: An adaptive framework for the interpretation of plant utilisation among the Hausa of northern Nigeria”. Social Science and Medicine 16: 1559-1573. Grivetti, L.E. e Ogle B.M. (2000) “Value of traditional foods in meeting macro- and micronutrients needs: The wild plant connection”. Nutrition Research Review 13: 31-46

15. Unschuld, P.U. Medicine in China: a history of pharmaceutics, Berkeley, University of California Press, 1986, p.24.  Se teniamo presente che il termine “efficacia terapeutica” (wu-tu) si traduce come “non-velenosa”, possiamo capire come questi rimedi possano ben essere esemplificati da piante alimentari con azione terapeutica (e difatti troviamo qui rimedi come il Panax ginseng o la piantaggine che mostrano attività farmacologica secondo gli standard moderni, ma che possono essere assunti anche a lungo termine senza rischi). Questo favore verso i farmaci macrobiotici è evidente anche nel primo documento esistente che parla di rimedi vegetali, nei manoscritti medici di Mawangdui, risalenti al 3 e 2 secolo a.C., dove, pur non comparendo la divisione teorica tra rimedi di grado diverso, già si parla di rimedi che allungano la vita ecc. Il manoscritto MSVI.A.9 contiene la prima descrizione di una droga effettuata da un medico, Wen Zhi, descrive il porro (jiu) come la “pianta dei mille anni” e “re delle centinaia di piante”, che concentra i vapori (qi) dei cieli e della terra (cfr. Harper, D. (trad. e comm.) Early chinese medical literature: The Mawangdui medical manuscripts. Kegan Paul International, New York, 1997, p. 106)

16. cfr. Puri, H.S. Rasayana: Ayurvedic herbs for longevity and rejuvenation. Taylor & Francis, New York, 2003

17. Per molte attività umane, “non ha senso fornire una spiegazione evolutivo-adattiva (a meno che non si parli di adattamento evolutivo in senso culturale). Non è che [le attività umane] non abbiano radici biologiche. Semplicemente ne sono troppo lontane” (Rozin P (2000) “Evolution and adaption in the understanding of behavior, culture, and mind”. American Behavioral Scientist. 6 (43):970-986). Al più possiamo proporre una feconda commistione tra presupposti biologici e sviluppi culturali, raccontare la storia di questa relazione, nella speranza che nel racconto, nel processo storico e non nelle origini, si nascondano le ragioni ultime della situazione attuale, soprattutto guardando agli enormi cambiamenti culturali avvenuti nel brevissimo periodo nel quale l’uomo ha subito una evoluzione culturale. Come scrive Rozin 2000 op. cit. : “There is no doubt that humans are primates and that human cultures have influenced humans for only a small part of their evolutionary history; there is every reason to believe that we will find the precultural primate in many human activities. But even a casual glance at human cultures today will suggest that these tens of thousands of years of human culture have vastly transformed humans and their institutions and that it would be folly to expect to trace most of what humans do now to specific primate predispositions, except in the most indirect way.”

18. cfr. Johns T. The origins of human diet and medicine. University of Arizona Press, 1999, p. 2

Appunti di viaggio in Nepal. Buthan?!

Per essere stato un viaggio di semivacanza è stato quite eventful. Intanto l’incrocio di voli: mentre io me ne volavo bel bello verso Kathmandu (bel bello! 12 ore di attesa a Delhi…) mia sorella mi incrociava nei cieli per andare (bel bella anche lei) a Thimphu, in Buthan, alla Conferenza dello IASTAM , per l’esattezza il settimo ICTAM o International Congress on Traditional Asian Medicine.

Non essendo l’ubiquità nelle mie carte, non potevo essere e , allora ho scelto di essere là perché il visto per lì costava troppo, e poi la famigliola non avrebbe accettato una vacanza congressuale :-).

Leggendo il booklet del programma e degli abstracts (scaricalo qui) il congresso sembra ancora più interessante di quanto non pensassi già… comunque visto il pezzo di famiglia (più qualche amico) che ha ottenuto insider knowledge, programmerò una bella intervista (Intanto godetevi lo slide show).

In particolare, per gli appetiti erbacei e conservazionisti di qualche amico blogger, sottolineo questa bella sezione di discussione: “Cultivating the Wilds: Idioms and Experiences of Potency, Protection, and Profit in the Sustainable Use of Materia Medica in Transnational Asian Medicines. A panel in memory of Yeshe Choedron Lama (1971-2006)“.

La sezione esplora “l’intersezione tra istanze di conservazione e di sviluppo”, il possibile destino delle MAP e dei prodotti “naturali” in un mondo che sempre di più li tratta come merce, e che come merce li inserisce nel dibattito sulla sostenibilità. Tratta delle complesse interrelazioni tra economie locali, regionali e transnazionali, e tra approccio allo sfruttamento di specie rare o in via di estinzione da parte di comunità locali che da queste specie traggono parte, o gran parte, del sostentamento, e di come facilitare il dialogo tra comunità, terapeuti tradizinali, conservazionisti ed il mercato.

Tutti argomenti estremamente interessanti che sono una delle ragioni più importanti per le quali ritorno in Nepal, che mi sembra da questo (e da molti altri punti di vista) un laboratorio stimolante sia per il materiale vegetale che per quello umano.

PS: ultim’ora: tra pochi giorni sarà disponibile il PodCast della sezione suddetta. Mi/Ci aspettano ore notturne di ascolto…
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Panel 9: Cultivating the Wilds: Idioms and Experiences of Potency, Protection, and Profit in the Sustainable Use of Materia Medica in Transnational Asian Medicines. A panel in memory of Yeshe Choedron Lama (1971-2006)

Panel Description:
This panel aims to integrate knowledge, methods, and field experience from a variety of disciplines and professional perspectives to explore the intersection of conservation and development agendas related to Asian materia medica.

The panel begins with the assumption that the landscape of Asian medical production is undergoing a profound set of changes, from the increasing commoditization of medicinal and aromatic plants (MAPs) and an array of medicinal products derived from these raw materials to the design and implementation of complex regulatory structures (GAP, GMP, etc) related to the sourcing of medicinals and the production of medicines and other ‘natural’ products.  Importantly linked to these changes are concerns over what ‘sustainability’ is, means, and does and how natural resources such as materia medica are valued in the intersection between local, regional, and transnational socio-economies.  In addition, rising concerns about over-harvesting and concomitant approaches to cultivation of rare, endangered, and commonly used MAPs are giving rise to new possibilities for collaboration between local communities, traditional medicine practitioners, scientists, governmental and non-governmental organizations, and (social) entrepreneurs; yet they are also raising new issues, from the methods by which quality and efficacy of cultivated ingredients are determined to questions about how to equitably distribute resources (including access to medical care), determine ‘ownership’ of traditional knowledge, steward land, and connect to markets.  All of these concerns point toward the intersection of cultural preservation, environmental protection, indigenous and non-indigenous ways of knowing about and interacting with the natural world, and the socio-economic pressures that are concomitant with modern life.
They also present unique opportunities for innovative, cross-disciplinary and cross-cultural engagement. In this panel, we strive to offer grounded case studies (e.g. results of cultivation trials, ongoing efforts to create coperative marketing/sourcing arrangements, models for community-based medicinal plant conservation, etc.) with more critical or analytical approaches to these issues (e.g. approaches to thinking about IPR in this context, social and political obstacles to conservation, etc.). We also strive to have a balance of medical practitioners, researchers/scientists, and those engaged in conservation and development initiatives involved in this panel.

Medicina Cinese e medicina Umorale

Scrivendo questo pezzo avevo in mente due esigenze di chiarezza.

Una, più contingente, riguarda una tendenza nell’ambito degli autori di “medicina naturale” ad un sincretismo che vorrebbe unire la più importante tradizione medica orientale (medicina cinese) e la tradizione medica greco-romana (scarica il classico sulla medicina Ippocratica qui).

La seconda, di carattere più generale, riguarda il discorso sulla comparabilità di sistemi diversi, distanti nel tempo e/o nello spazio (fisico e culturale), e quindi sulla linearità ed ineluttabilità (secondo alcuni) del progresso scientifico. In questo articolo cercherò di dimostrare qualcosa sul problema specifico (rapporto medicina cinese – medicina greco-romana) e di mostrare la rilevanza del caso specifico per il problema più generale.
Dati i limiti di spazio non sarà possibile esaminare in maniera esaustiva il problema, ma cercherò di dare degli spunti di riflessione e dei riferimenti grazie ai quali il lettore potrà iniziare un proprio percorso critico. Sempre per ragioni di spazio limiterò l’analisi al periodo classico, non considerando quindi la Medicina Tradizionale Cinese post-rivoluzione culturale (un soggetto molto differente dalla medicina cinese classica) o il Galenismo nei suoi sviluppi e intersezioni medievali e l’apporto degli enciclopedisti islamici.

Dirò subito che questa ridotta analisi si basa su tre testi a mio parere fondamentali per il soggetto in questione, testi che vedono come autore sempre (a parte l’ultimo) GER Lloyd.
In questi di tre volumi Lloyd ha lavorato verso quella che lui stesso chiama il “deparochialising of the history of ancient science”, in particolare attraverso la comparazione sistematica dello sviluppo della scienza in Cina e Grecia tra il 300 aC ed il 3200 dC. La sua tesi fondamentale è che, al di là di conclusioni definitive sul lavoro comparativo, questo lavoro sia necessario per evitare facili presunzioni sulla inevitabilità dei percorsi della scienza in una o l’altra cultura.

GER Lloyd. Adversaries and authorities : investigations into ancient Greek and Chinese science


GER Lloyd. The Ambitions of Curiosity: Understanding the World in Ancient Greece and China (Ideas in Context)


GER Loyd e N Sivin. The Way and the Word: Science and Medicine in Early China and Greece


Introduzione al problema: medicina cinese e tradizione greco-romana
L’idea di sovrapponibilità dei due sistemi medici é a mio parere il risultato di un campanilismo che in fondo nega l’originalità all’uno o all’altro dei sistemi, ed obbedisce ad una idea di universalismo che si vuole naturale conseguenza di un processo unilineare della storia della scienza .

Ciò che intendo suggerire é invece che il processo scientifico non va in direzioni particolari, ed ogni cultura inizia il processo a suo modo e si sviluppa secondo le sue regole. Per questo uno studio comparativo é utile: guardare oltre ai confini culturali ci aiuta a capire quanto sia sbagliato ragionare in termini di inevitabilità.
Certamente nel caso in questione ci possono colpire alcune innegabili somiglianze tra le due civilizzazioni. Lloyd e Sivin (2002) le riassumono così:

  1. l’elaborazione di culture complesse con linguaggi e strutture concettuali astratte che possono essere usate per esplorare ogni aspetto dell’esperienza individuale e collettiva
  2. il bisogno espresso di porsi delle domande riguardo a questa esperienza
  3. la presenza di gruppi di specialisti che si sono messi alla guida del percorso di studio, acquistando autorità e prestigio, e che hanno gestito ed interpretato il sapere
  4. la convinzione che lo studio fosse necessario per capire il posto dell’uomo nello schema universale delle cose e per organizzare gli affari umani.

Ma queste somiglianze non ci devono far dimenticare che si può condividere il desiderio di conoscere ma differire grandemente sui metodi usati.
Secondo le moderne teorie del linguaggio il ruolo di una sentenza, parola o concetto dipende dalla loro posizione relativa nella rete di un linguaggio; quindi per comparare sentenze, parole o concetti che appartengono a linguaggi differenti abbiamo bisogno di comparare le reti ad essi associate.
“Una comparazione valida e feconda del passato con il presente deve iniziare con una comprensione integrale del passato nella sua concretezza, con la ricostruzione dell’intera crisi della conoscenza che un pensatore ha dovuto affrontare, e con l’interezza della sua risposta, osservata con le sua articolazioni intatte. Guardare solo alla risposta – o peggio, solo alla parte superficiale e, a nostro giudizio, moderna – rischia di portarci ad una circolarità viziosa nella comparazione finale.” (Sivin 1968).
Per comparare i due sistemi non possiamo quindi limitarci a domande superficiali come: “esiste un termine greco comparabile a Qi?” oppure, “posso comparare Elementi greci e Fasi cinesi?”, ma dobbiamo porci domande sui processi e comparare i complessi di pensiero ed attività visti nelle loro circostanze originarie: come la gente si guadagnava da vivere, le loro relazioni con le strutture di autorità, i legami tra persone appartenenti allo stesso campo di studio, i metodi che usavano per comunicare ciò che sapevano, quali concetti e presupposti usavano.
Per fare questo cercherò di comparare i problemi fondamentali della scienza greca dopo il quarto secolo DC con quelli cinesi nello stesso periodo, per poi guardare al milieu sociale e culturale nel quale i diversi pensatori erano inseriti.

Pensatori e stato
In entrambe le culture le idee sul cosmo sono profondamente “cariche di valori” e la cosmologia non é separabile dall’ambito politico e morale. Le idee sul macrocosmo riflettono e si riflettono nei microcosmi del corpo e dello stato, e si fondano su concetti di armonia e buon ordine sociale.
In una analisi lucida ed esaustiva Lloyd e Sivin (2002) propongono che la differenza qualificante tra l’idea di relazione micro-macrocosmo in Grecia e in Cina risieda nella radicale differenza dei rapporti tra pensatori e autorità.
La Cina é stata caratterizzata da una tradizione ininterrotta di Impero centralizzato, che richiedeva, per la sua sopravvivenza, un consenso totale. I filosofi venivano incaricati dai governanti di costruire
una relazione tra stato e microcosmo, e per la stessa ragione i filosofi si aspettavano appoggio e sostentamento dal sovrano, che era dunque l’unico interlocutore. Questa situazione riduceva di molto l’interesse e la vis polemica dei dibattiti.
In questo ambito la cosmologia dominante era quella di una unità senza contrapposizioni interne, nella quale la discussione era limitata e l’autorità del passato non veniva mai posta in discussione. I governanti impersonavano la relazione tra micro e macrocosmo, e i filosofi erano inevitabilmente inseriti nel sistema politico. I pensatori non cercavano, come,e lo vedremo più avanti, facevano invece i pensatori in Grecia, un approccio che portasse passo passo verso una realtà oggettiva, ma piuttosto un recupero di ciò che i saggi antichi già conoscevano. Ciò si rifletteva nella tendenza dei filosofi cinesi a non creare nuovi termini, bensì ad utilizzare la terminologia già esistente piegandola a nuovi utilizzi, mantenendo così una linea di continuità ed una unità.

La situazione in Grecia non potrebbe essere stata più differente: le forme di governo erano diverse e meno stabili, non esisteva un ideale unico e condiviso, una unità di consenso. Mentre i governanti erano poco rilevanti per la formazione di idee cosmologiche, i filosofi, sganciati dalla politica, non dovevano convincere i regnanti né lavorare nel senso di una cosmologia che contemporaneamente giustificasse e limitasse l’autorità del sovrano. L’ambito era invece quello dei dibatti con i rivali. Dato che erano liberi da vincoli politici, dipendevano dalla loro capacità retorica per sopravvivere; allo stesso tempo erano molto poco condizionati dalle ragioni della politica. L’arena filosofica greca era ricca di dibattiti, in alcuni casi molto accesi ed argomentati; dispute e disaccordi, più che il consenso, caratterizzavano il mondo Greco.
A differenza della Cina, in Grecia ogni pensatore coinvolto in una disputa tendeva a creare il proprio set di termini che lo differenziassero dal suo oppositore e rendessero la sua teoria facilmente identificabile.
Quindi le differenze nel rapporto tra pensatori e stato si riflettevano anche nella creazione di concetti e negli approcci delle due culture nei confronti della realtà, dell’ontologia e delle strategie di pensiero.
E’ soltanto esaminando le relazioni tra corpo, cosmo, stato ed il ruolo del filosofo che possiamo offrire una immagine unitaria di una cultura e del suo modus operandi piuttosto che della sua opus operata.

Corpo
Si potrebbe dire, un po’ provocatoriamente, che non importa quanto simili sembrino certe strategie rivolte al corpo; se non condividiamo lo stesso corpo, queste somiglianze hanno poca importanza. Ora, se é vero che i nostri corpi sono innati per noi quanto noi lo siamo ai nostri corpi, ciò non significa che essi siano “naturali”, distanziati come sono da noi da una molteplicità di codici psicologici, sessuali, sociali e politici. Questa codifica sistematica dei corpi significa che essi sono contemporaneamente il prodotto e l’origine dell’esperienza.
E’ quindi rilevante per il nostro discorso analizzare i differenti modi nei quali il corpo é stato ‘costruito’ in Cina e in Grecia. In entrambi i sistemi é presente la correlazione tra corpo (microcosmo) e macrocosmo, ma queste correlazioni si sono create con modalità differenti.
Il corpo descritto da Aristotele é un modello del macrocosmo, perché la stessa tecnica di ricerca della verità può essere applicata ad entrambi, ed il corpo può funzionare come una mappa . Il corpo dei cinesi é invece l’universo in miniatura, non una copia, ed é allo stesso tempo uno specchio dell’ordine sociale; infatti la simbologia usata nel dialogo dell’Imperatore Giallo con il suo consigliere é la stessa usata per descrivere l’Impero.
Il sistema viene descritto in termini di uffici nella burocrazia centrale del corpo, non in termini anatomici. Gli organi sono, all’opposto che in Grecia, meri correlati del sistema di funzioni.
Anche nel caso della medicina, il corpo viene costruito in maniere completamente diverse. I limiti del corpo sono differenti, per cui anche la “semplice” traduzione di termini diviene problematica. Per tradurre il termine greco per corpo – sarkos – un termine che denota chiaramente il fisico, ci troviamo di fronte a quattro termini: shen, t’i, ch’u e hsing. Di questi i primi tre hanno una denotazione più ampia (denotano o implicano il concetto di personalità o persona), mentre il quarto, hsing (=forma) veniva raramente impiegato. Secondo Sivin (1995) il corpo cinese é “composto soprattutto da ossa e carne vagamente definita e attraversata da tratti circolatori” ; questi tratti collegano degli “insiemi di funzioni”, i cosiddetti organi, per cui si può dire, con Unshuld (1993) che la patologia cinese é funzionale.
Come si legge sul Classico dell’Imperatore Giallo: “Il soggetto del discorso…é il flusso libero ed il movimento centrifugo e centripeto del Qi divino (shen qi). Non sono pelle, carne, tendini ed ossa.” (Larre, Rochat de La Vallée 1994). L’etica buddista, colla sua idea di sacralità del corpo, ad un certo punto si innesta sulla filosofia confuciana e contribuisce a rendere il corpo cinese un tutto indiviso, per studiare il quale il medico deve osservare le funzioni, l’equilibrio delle sostanze. Un corpo dissezionato non é di alcun interesse per il terapeuta, ed é significativo che in medicina cinese la immagine tipica usata per descrivere la morte imminente sia quella di una separazione tra yin e yang.

Il corpo della medicina galenica é invece aperto e dissezionato. Esso é costituito da strutture, tessuti, organi e umori. Le patologia derivano da un disequilibrio negli umori fisici, che possono essere drenati da vasi osservabili. E tutta la teoria medica é in effetti basata su questa osservabilità. Queste strutture servono come strumenti di categorizzazione, e sopra di esse viene costruita una logica, una tassonomia della realtà; la frammentazione del corpo ci dà i mezzi per conoscere la natura, per svelare la verità. l’anatomia, per Galeno, é coestesa con le possibili modalità della ragione scientifica. In effetti, la dissezione diviene una necessità così cogente che Galeno non può neppure immaginare l’esistenza di una medicina che non vi faccia ricorso.

Apparenza e realtà
In Grecia, Nello sviluppo teorico da Parmenide ad Aristotele, si osserva una progressiva “neutralizzazione” della sacralità, per cui si passa dalla verità divina alla verità autorivelantesi. Questa nuova concezione di verità viene definita da Vegetti (1979) come non-latenza (aletheia). Essa deve essere individuata attraverso processi logici che eliminino le inadeguatezze del discorso poetico e religioso e lascino che la luce della verità emerga da sola.
Per i naturalisti greci vi é quindi una realtà (ousia) “sottostante”, nascosta, che ha a che vedere con la natura essenziale delle cose e che si contrappone alle cose come “appaiono” (phainetai) cioè le apparenze. Questa realtà può essere rivelata grazie al metodo assiomatico-deduttivo, derivato anch’esso dalla pratica legale e che non ha riscontri in Cina.
In Cina questa dicotomia non si pone almeno fino al terzo secolo DC con l’introduzione della metafisica indiana (ma anche in questo caso si parla di realtà spirituale e non fisica, vedi Zürcher 1980). Questa differenza si rivela anche nella diversa concezione di ‘esperto’: se in Grecia esso é colui che riesce ad utilizzare il metodo logico per ‘svelare’ la realtà, in Cina essere esperti significa essere degli iniziati, cioè potersi ricondurre a saggi antichi in possesso del sapere, grazie ad una linea di trasmissione testuale ininterrotta.

Cause
Dipingere una contrapposizione assoluta Grecia/Cina, con i greci interessati alle cause e i cinesi alle correlazioni, sarebbe semplicistico. I primi si mostrarono interessati alle corrispondenze (vedi la tavola pitagorica degli opposti) e i secondi studiarono il concetto di causa nel campo della diagnosi medica e in politica. Ma se si esclude la breve parentesi dei logici Mohisti, la letteratura cinese del periodo classico non fa accenni specifici alla causalità, mentre per i Greci essa diviene un problema fondamentale.
In Grecia infatti la questione delle cause é di grande importanza, e viene mutuata dal discorso legale sulle responsabilità. Essa viene però spersonalizzata: la spiegazione causale identifica ancora ciò che è responsabile degli effetti osservati, ma non si tratta più di responsabilità umane o divine, come nel discorso legale, ma di proprietà intrinseche delle cose.
Se la logica rende possibile l’espressione del vero discorso, l’anatomia rende possibile la categorizzazione razionale della Natura; la medicina che si basa sull’anatomia permette la vera conoscenza della salute e della malattia. Non é un caso che Galeno e l’autore ippocratico di ‘Della Medicina Antica’ tentino di modellare la medicina sulle scienze esatte, con metodi di prova certi ed esatti in puro stile geometrico.

L’unità delle corrispondenze
Se comparate al processo di razionalizzazione aristotelico, le concettualizzazioni cinesi appaiono molto differenti. Due tra le differenze più evidenti risiedono nella concezione unitaria del cosmo cinese, notata da vari autori (Granet 1987; Sivin 1995; Kwok 1993; Ng 1993), e nell’assenza dei classici concetti di causalità. Secondo Granet queste differenze sono dovute a divergenze fondamentali nei concetti di tempo e spazio. La temporalità logicamente strutturata di Aristotele descrive un tempo scandito, frammentato, mentre la temporalità socialmente costruita dei cinesi é più simile ad una idea empedoclea di un tutto immutabile ma dinamico, dove gli eventi che appartengono alla stessa categoria sono interconnessi, a prescindere dalla loro posizione temporale. L’idea dominante nella filosofia cinese, specialmente nel periodo post neo-confuciano, é quella di un “monismo dinamico” (Kwok 1993), dove il concetto di Ho – termine che implica “la capacità di contenere e accomodare tutti i tipi di eventi logici, qualsiasi sia la loro definizione temporale o spaziale” – é più importante del concetto di T’ung, termine che implica “logicalità”, “identificazione e identificabili” e “classificare”. Mentre i greci tentano di ridurre la Natura alle sostanze individuali o agli elementi, per i cinesi “era importante l’universo inteso come trama o pattern (wen)”.

La stessa idea di “concetto”, una entità in qualche modo astratta dalla realtà ma applicabile ad essa, é distante dalla filosofia cinese. “Niente ci invita a vedere nello Yin e nello Yang sostanze, forze o principi: sono solo emblemi animati da una forza evocativa che é indefinita, o meglio, totale” (Granet 1987).

Natura
Quindi per i Greci la natura (phisis) si identifica con il dominio sul quale filosofi e medici dichiarano di essere in grado di dare spiegazioni fisiche, che non chiamano in causa il divino. Abbiamo visto come l’introduzione di questo concetto non sia solo il risultato di una fredda analisi intellettuale, ma anche del tentativo di sconfiggere i propri rivali nel dibattito e di acquisire prestigio e soldi. Gli elementi (stoicheia) diventano uno strumento teorico e retorico importante perché danno delle fondamenta sicure per le teorizzazioni naturalistiche, e per questa ragione sono enti puramente materiali (a differenza del pneuma dei Presocratici e degli Stoici che é forse il concetto greco più vicino a quello di Qi, perché é contemporaneamente materiale e vitale – vedi Sambursky 1959).
Troviamo dei corrispettivi di natura ed elementi in Cina? I maggiori sospetti ricadono naturalmente sui concetti di Qi, Ying-Yang, e wu-hsing (le cd. Cinque fasi). Diciamo subito che questi concetti non diventano parte di un sistema organico ed integrato se non dopo il 300 AC. Tra il terzo e il secondo secolo AC essi iniziano ad essere usati insieme secondo una dottrina cosmologica matura, per ragioni in parte arbitrarie ed in parte utilitaristiche. Il Qi é un concetto abbastanza vasto e di grande applicabilità, yin-yang rappresenta una categorizzazione in base due molto adattabile come pure le wu-hsing. Con il primo secolo AC yin-yang e wu-hsing divengono vere e proprie categorie del Qi, usate per declinarlo; esso stesso viene ad essere definito in maniera più chiara: materia, materia trasformativa, materia di qualche tipo che incorpora vitalità (a differenza degli elementi greci che sono solo materiali). Non esiste una controparte cinese al termine phisis (inteso come universo fisico e materiale) almeno fino al 1881, quando i cinesi presero a prestito questo significato dai giapponesi. I cinesi non sentono il bisogno di un concetto puramente fisico, ed utilizzano il complesso qi, yin-yang e wu-hsing ad un livello di astrazione maggiore: il tao.

Conclusioni
Come scrive Sivin (1968) “la tradizione cinese é certamente scienza, secondo qualsiasi definizione che non sia completamente campanilistica, ma eccetto che a quel livello che la rende scienza, i suoi obiettivi divergono in maniera così costante dai nostri che qualsiasi similitudine diventa gratuita”.

Concetti come quello dei quattro elementi, la teoria della crasis – o complessione –  e dei quattro umori, l’incorporazione dei semplici nella teoria della qualità primarie e dell’equilibrio della complessione, l’idea della malattia come mala complexio e molte altre caratteristiche della medicina galenica hanno affascinato molti autori proprio a causa della apparente somiglianza con concetti cinesi. In effetti penso sia un argomento valido quello che pone la patologia dei “vasi” cinesi come controparte della patologia umorale greco-romana, visto anche che in entrambi i sistemi la malattia viene vista come un disequilibrio. Inoltre é vero che in entrambi i sistemi manca la nozione di una cesura radicale tra corpo e spirito, ed entrambi appaiono di natura allopatica.
Ciononostante, quando esaminiamo i sistemi nella loro interezza, nel loro decorso e non solo nelle immagini finali che ci offrono, ci colpiscono soprattutto le grandi differenze che ho tentato di descrivere nell’articolo: il diverso rapporto tra pensatori e stato dal quale poi discendono buona parte delle differenze nella creazione di concetti e terminologie. Da un lato l’attenzione dei greci per le dimostrazioni incontrovertibili, i fondamenti del sapere, la chiarezza ed il rigore deduttivo, che si accompagna alla scarsa attenzione per il consenso, uno scetticismo radicale e un favore per l’analisi. Dall’altra pare l’attenzione dei cinesi per le corrispondenze, le risonanze e le interconnessioni, la capacità di sintesi e la trasversalità tra campi di sapere divergenti, con una forte riluttanza verso il radicalismo e la critica delleposizioni dell’establishment. E poi il diverso peso dato ai concetti di causa/causalità e natura come ente fisico analizzabile; la mancanza della dicotomia apperenza/realtà in Cina; infine la diversa “costruzione” del corpo e la diversa natura dei concetti che così spesso usiamo come unico metro di paragone e che sono invece solo il risultato finale di un processo: elementi, phisis, yin-yang, qi, wu-hsing.

Bibliografia

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Nüdan/Neidan: corpo femminile e corpo maschile nella letteratura alchemica cinese

Una due-giorni sull’alchimia interna femminile nella Cina classica. Che c’entra con la medicina, o con le piante?

Beh, il blog è mio :-), e il legame tra alchimia (dall’ottimo sito di Fabrizio Pregadio) interna cinese (e vedi anche Pregadio qui) e medicina cinese è particolarmente interessante, ad esempio per esaminare le differenti prospettive sul corpo originatesi nel seno della stessa tradizione, a volte partendo dallo stesso autore, come nel caso di Sun Simo, uno dei più importanti autori classici della medicina cinese (autore dei testi classici Beiji qianjing yaofang e Qianjing yifang).
Le differenti pratiche utilizzate in alchimia interna hanno interessanti contatti con una parte della medicina tradizionale cinese, in particolare con la medicina macrobiotica, e più in generale possono chiarire la cosmologia e la fisiologia tradizionali, le differenze tra corpo maschile e corpo femminile (vedi qui il classico articolo della Despeux), e magari a demistificare un mondo, quello della tradizione cinese, che come gli altri deve essere compreso all’interno di contesti di cambiamento sociale e culturale, differenze di genere, influenze religiose, ecc.

A breve una intervista sui contenuti della conferenza.

Female Meditation Techniques in Late Imperial and Modern China

A two-day conference

Sunday, November 09, 2008
9:00 AM – 5:00 PM
10383 Bunche Hall
UCLA
Los Angeles, CA 90095

Female Alchemy (nüdan) is a branch of inner alchemy (neidan) that developed in China from the late Ming dynasty onwards. In the prefaces to texts as well as in treatises themselves, much importance is laid upon the “difference” of the female body, in terms of cosmological and physiological setup, from the male body. Male and female bodies are compared and emotions, loci, and fluids are discussed in detail. However, male/female physiological differences had always been widely acknowledged in medical and alchemical treatises. Thus the emergence of nüdan must also be closely tied to social developments, such as tensions about gender balance. As women become more and more active agents in the public space, especially in the religious arena, a safer alternative, one that could be practiced at home and did not require contact with male teachers or fellow practitioners, was offered through nüdan by male intellectuals. This is easily explained if we look at the growing concern for chastity and proper female behavior in the Qing dynasty, and is supported by extensive sections on female behavior in female alchemy treatises. This phenomenon, with its gender and social implications, is just starting to be discussed and the field is slowly growing:
Catherine Despeux was the first to identify it as a phenomenon to Western audiences in her book Les Immortelles de la Chine ancienne and in a subsequent English version, Women in Daoism, authored together with Livia Kohn. Elena Valussi wrote the first Ph.D dissertation on the nüdan tradition, it historical developments and social implication in 2003; Sara Neswald just finished writing a dissertation on nüdan and its relationship with Tantric Buddhism. Xun Liu has done extensive work on early nüdan writings and has written on gender in Daoism. Suzanne Cahill has investigated issues of gender in Daoism her whole career. Charlotte Furth has investigated visions of the female body in Chinese medicine. This workshop is the first attempt to come together and discuss this tradition from multiple angles.