Ancora sul resveratrolo

Molto di moda in questi anni, il resveratrolo è oggetto di vari studi che si concentrano sugli effetti antiageing, antiossidanti, antinfiammatori e promotori della longevità. Abbiamo avuto modo di parlarne in altri post legati alle sirtuine (qui e qui), ma oggi evidenzio uno studio (presto pubblicato su Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism) che pur non presentando novità teoriche mette un mattoncino importante nella traduzione dei dati sperimentali in applicazioni cliniche. Come spesso succede con gli estratti vegetali, molto di ciò che sappiamo sul resveratrolo deriva da studi su animali. Lo studio seguente suggerisce che il resveratrolo sia efficace nel ridurre lo stress ossidativo ed infiammatorio anche negli esseri umani sopprimendo la formazione di ROS e di TNF.

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Resveratrol, a popular plant extract shown to prolong life in yeast and lower animals due to its anti-inflammatory and antioxidant properties, appears also to suppress inflammation in humans, based on results from the first prospective human trial of the extract conducted by University at Buffalo endocrinologists.

Results of the study appear as a rapid electronic publication on the Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism website and will be published in an upcoming print issue of the journal.

The paper also has been selected for inclusion in Translational Research in Endocrinology & Metabolism, a new online anthology that highlights the latest clinical applications of cutting-edge research from the journals of the Endocrine Society.

Resveratrol is a compound produced naturally by several plants when under attack by pathogens such as bacteria or fungi, and is found in the skin of red grapes and red wine. It also is produced by chemical synthesis derived primarily from Japanese knotweed and is sold as a nutritional supplement.

Husam Ghanim, PhD, UB research assistant professor of medicine and first author on the study, notes that resveratrol has been shown to prolong life and to reduce the rate of aging in yeast, roundworms and fruit flies, actions thought to be affected by increased expression of a particular gene associated with longevity.

The compound also is thought to play a role in insulin resistance as well, a condition related to oxidative stress, which has a significant detrimental effect on overall health.

“Since there are no data demonstrating the effect of resveratrol on oxidative and inflammatory stress in humans,” says Paresh Dandona, MD, PhD, UB distinguished professor of medicine and senior author on the study, “we decided to determine if the compound reduces the level of oxidative and inflammatory stress in humans.

“Several of the key mediators of insulin resistance also are pro-inflammatory, so we investigated the effect of resveratrol on their expression as well.”

The study was conducted at Kaleida Health’s Diabetes-Endocrinology Center of Western New York, which Dandona directs.

A nutritional supplement containing 40 milligrams of resveratrol was used as the active product. Twenty participants were randomized into two groups of 10: one group received the supplement, while the other group received an identical pill containing no active ingredient. Participants took the pill once a day for six weeks. Fasting blood samples were collected as the start of the trial and at weeks one, three and six.

Results showed that resveratrol suppressed the generation of free radicals, or reactive oxygen species, unstable molecules known to cause oxidative stress and release proinflammatory factors into the blood stream, resulting in damage to the blood vessel lining.

Blood samples from persons taking resveratrol also showed suppression of the inflammatory protein tumor necrosis factor (TNF) and other similar compounds that increase inflammation in blood vessels and interfere with insulin action, causing insulin resistance and the risk of developing diabetes.

These inflammatory factors, in the long term, have an impact on the development of type 2 diabetes, aging, heart disease and stroke, noted Dandona.

Blood samples from the participants who received the placebo showed no change in these pro-inflammatory markers.

While these results are promising, Dandona added a caveat: The study didn’t eliminate the possibility that something in the extract other than resveratrol was responsible for the anti-inflammatory effects.

“The product we used has only 20 percent resveratrol, so it is possible that something else in the preparation is responsible for the positive effects. These agents could be even more potent than resveratrol. Purer preparations now are available and we intend to test those.”

Stress ossidativo e infiammazione nel malato oncologico

Ricevo  dalla Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, e pubblico

Il 27 marzo 2010 a Milano, presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, si terrà il convegno

“Stress ossidativo e infiammazione nel malato oncologico”

Breve orientamento sul convegno:

Tutti ne parlano, anche la televisione trasmette spot pubblicitari sugli antiossidanti.
Si tratta di argomenti di grande attualità, per questo riteniamo che possa essere utile approfondire il tema degli antiossidanti e dell’infiammazione, in particolare nella gestione del malato oncologico, anche nell’ottica della prevenzione di malattie.

I relatori presenti sono tutti di grande livello, tra di essi spicca il Premio Nobel 2008 per la Medicina, prof. Luc Montagnier, a loro si aggiungerà il valore aggiunto di ogni singolo iscritto che potrà portare nelle discussioni il proprio contributo.

Con la presente Vi invito ad iscrivervi e a diffondere questa mail ai Medici, Farmacisti e Biologi di vostra conoscenza che riteniate interessati agli argomenti proposti, certo che tutti noi trarremo da questo evento non solo conferme di ciò che già sappiamo, ma anche spunti di riflessione e, soprattutto, notizie pratiche di immediata applicabilità nella professione.

Dr. Alberto Laffranchi

Responsabile scientifico del Gruppo Me.Te.C.O. (Medicine e Terapie Complementari in Oncologia), Organizzatore dell’evento.

Nota: Il costo iscrizione è stato inevitabile per poter sostenere la giornata, abbiamo comunque cercato di contenerlo e fino al 2 marzo sarà ridotto del 30%, per questo se siete dell’idea di iscrivervi, vi invito a farlo rapidamente.

Programma_27marzo

GSE, reloaded

“Tiro su” un vecchio post sull’estratto di semi di pompelmo (GSE) per segnalare un nuovo lavoro che conferma quanto scritto in quell’occasione. Ovvero, stringendo e tralasciando il dilemma metafisico sulla naturalità o meno del prodotto in questione, che la posizione più giustificata rispetto al GSE sarebbe questa: “se il prodotto non è adulterato, non funziona, se funziona, è adulterato”.

A conferma dei gravi dubbi sull’efficacia del prodotto, ricevo dal Prof. Rosato e con piacere riassumo una ricerca non pubblicata, parte della tesi di laurea in “Chimica e tecnologie farmaceutiche” presso l’Università di Bari, laureanda Gemma Sblendorio, relatori i Prof. Rosato e Vitali.

Nella tesi, dopo una sezione di ricerca bibliografica e di descrizione generale dell’ambito di discussione, l’autrice passa a descrivere i prodotti commerciali selezionati per essere testati, e le metodiche di testaggio stesse.

I prodotti commerciali testati sono stati i seguenti:

  1. Olio essenziale di Pompelmo (A)
  2. Capsule (B), polvere (E), compresse (L) e tavolette intime anticandida (H) contenenti estratto secco di GSE
  3. Sciroppo a base di GSE (F)
  4. Estratti glicerinati di GSE (C, D, G)

Le metodiche utilizzate sono state tre, per adattarsi alle diverse forme galeniche:

  1. Agar diluizione (A-G, H, L)
  2. Agar diffusione (A-D, F, G)
  3. Microdiluizione (A, B, F, G)

I microorganismi testati sono stati:

  • Gram positivi: Bacillus subctilis, B. cereus, Staphylococcus aureus, Enterococcus faecalis.
  • Gram negativi: E. coli, Acinetobacter baumanni, Pseudomonas aeruginosa,
    Serratia marcescens, Salmonella typhimurium, Klebsiella pneumoniae, Yersinia enterocolitica
  • Funghi: Candida albicans, C. glabrata, C. guillermondi, C. krusei, C. tropicalis

Dopo una discussione delle problematiche concernenti la solubilizzazione dei vari prodotti, e i problemi legati alla presenza di eccipienti o di altri estratti con attività antimicrobica non nulla, uno specchietto presenta i risultati in forma aggregata.

PRODOTTO

Metodo ADF

Metodo ADM

Metodo MICT

Olio Essenziale           A

ATTIVO

NON ATTIVO

ATTIVO

Capsule                        B

NON ATTIVO

ATTIVO

NON ATTIVO

Estratto Glicerolico   C

NON ATTIVO

NON ATTIVO

NON ESEGUIBILE

Estratto Glicerolico   D

NON ATTIVO

NON ATTIVO

NON ESEGUIBILE

Estratto Secco             E

NON ESEGUIBILE

NON ATTIVO

NON ESEGUIBILE

Sciroppo                       F

ATTIVO

NON ATTIVO

ATTIVO

Estratto Glicerolico   G

ATTIVO

NON ATTIVO

NON ATTIVO

Tavolette intime        H

NON ESEGUIBILE

ATTIVO

NON ESEGUIBILE

Compresse                   L

NON ESEGUIBILE

ATTIVO

NON ESEGUIBILE

Legenda

MICT (Minimum Inhibitory Concentration Test)

ADM (Agar Dilution Method)

ADF (Agar Diffusion Filtration)

E le conclusioni sono:

Al termine della mia ricerca (…) dai risultati ottenuti possiamo concludere che dei nove prodotti testati solo due di essi, l’olio essenziale (prodotto A) e lo sciroppo (prodotto F), presentano una inequivocabile attività antimicrobica, certa per il primo, presunta per il secondo.  Mentre per l’olio essenziale esiste una valida bibliografia scientifica che avvalora i dati ottenuti, per lo sciroppo, vista la sua considerevole efficacia sia contro Batteri Gram positivi sia contro Batteri Gram negativi, si può lecitamente dubitare sulla sua validità terapeutica. Tali perplessità trovano riscontro nella presenza del Potassio Sorbato, normalmente utilizzato come conservante, ma potenzialmente citotossico e quindi microbicida. I prodotti B,H,L, forme farmaceutiche solide, sono caratterizzati invece da una parziale attività antimicrobica, probabile conseguenza della varietà di estratti di piante officinali che contengono, come descritto da confezione. Attività ancora più marginale è stata rilevata per il prodotto G, estratto glicerinato contenente oltre al glicerolo (conservante, con potere battericida) anche lo xilitolo (potenzialmente microbicida). Totalmente inattivi risultano, invece, i prodotti E (polvere galenica), C, D (estratti glicerinati). (…) Risulta quanto mai evidente l’ambiguità della efficacia dei prodotti a base di Grapefruit seed extract, e la conseguente sopravvalutazione del loro potere antimicrobico. Doveroso e necessario è l’invito ai fruitori di tali prodotti a documentarsi, supportati dal consiglio del proprio medico, sull’utilizzo dei prodotti “NATURALI” pubblicizzati da un marketing di rete sempre più tenace e spregiudicato, che specula spesso sulla buona fede del consumatore, ed alle Autorità preposte affinché colmino quella carenza legislativa che caratterizza tali settori a tutela e garanzia della salute e sicurezza dei cittadini.

Ringrazio l’autrice della tesi ed i relatori per la segnalazione e per la possibilità di pubblicare stralci della tesi.

Uomo e piante 2/dimoltialtri

Continua questa serie di post sul rapporto uomo e piante nella storia. Ci eravamo lasciati qui con la promessa di dare un’occhiata più da vicino all’evoluzione delle piante e dei loro metaboliti secondari, e poi all’evoluzione dell’uomo, come preambolo prima di mescolare il tutto nel calderone :-).

Quindi eccoci qui a parlare de…

L’evoluzione delle piante – una breve descrizione
La vita ebbe inizio nelle acque. E fu vita autotrofa, pacifica, a bassa diversità. La nascita dei primi predatori fu la causa iniziale di una esplosione evolutiva che ci ha portato ai giorni nostri.

L’azione predatoria fece da stimolo ad una diversificazione degli autotrofi verso nuove nicchie ecologiche, nuovi modi di vivere negli oceani e nuove strategie per sfuggire ad una minaccia nuova. Questa diversificazione, accompagnata da una diversificazione parallela nei predatori, portò in tempi geologicamente brevi alla saturazione delle nicchie oceaniche, e quindi al tentativo di conquistare un habitat fino ad allora vergine, le terre emerse.

Ma questa conquista richiedeva modificazioni qualitativamente molto diverse rispetto a quelle precedenti: bisognava in qualche modo rendersi autonomi dall’acqua, e l’evoluzione successiva è tutta percorsa da questo tema, l’interiorizzazione dell’oceano. Ma perché questa storia potesse avere inizio erano necessarie certe condizioni di partenza, senza le quali la vita come la conosciamo non sarebbe stata in grado di conquistare i nuovi territori; esse erano: la presenza di stabili ambienti costieri, la formazione del suolo e lo sviluppo di condizioni climatiche ed atmosferiche adatte.

Colonizzazione
Le condizioni per la colonizzazione delle terre emerse da parte delle piante si presentarono nel tardo Ordoviciano, circa 458-443 milioni di anni fa. Ma le prime evidenze fossili del fatto che le piante acquatiche avessero effettivamente sviluppato delle caratteristiche compatibili con un ambiente non acquoso si situano nel primo Siluriano (ca. 470-430 milioni di anni fa). Nei fossili di questo periodo si riscontrano misure per la protezione dal disseccamento, le prime cellule specializzate per il trasporto di acqua e nutrienti, le prime strutture di supporto meccanico e modalità riproduttive che non dipendono principalmente da acqua esterna.

Le inferenze da dati scarsi sono sempre rischiose, ma sembra possibile dire che nel tardo Siluriano – primo Devoniano (ca. 430-400 Ma) dalle alghe verdi emersero le prime piante terrestri, che comprendevano piante non-vascolari (le Briofite), piante vascolari (Tracheofite) e piante con caratteristiche miste. Probabilmente le primissime piante terrestri a comparire furono quelle non vascolari, in particolare le Epatiche, seguite dai muschi, forse i più vicini, evolutivamente, alle piante vascolari.(1)

Ma torniamo alla nostra storia di colonizzazione.

Intorno al primo Devoniano (ca. 408 milioni di anni fa) avviene il primo passaggio evolutivo rivoluzionario: compaiono le prime piante vascolari, ed intorno ai 400 milioni di anni fa compaiono le Eutracheofite, il gruppo tassonomico che comprende quasi il 99% delle piante moderne. Quindi possiamo dire che molte delle caratteristiche della nostra flora si stabilirono 400 milioni di anni addietro.

Queste prime piante terrestri erano felci, licopodi e code cavalline, piccole erbacee alte al massimo un metro, che nel giro di circa 100 milioni di anni avrebbero formato completi ecosistemi forestali con alberi alti fino a 35 metri e simili alle nostre foreste attuali anche se, a vederle ora, queste foreste primordiali ci apparirebbero forse aliene.

Questa profonda e rapida trasformazione non fu dovuta soltanto a modificazioni adattive delle piante rispondenti a fattori biotici, ma anche a grandissimi cambiamenti climatici e tettonici, che compresero lo spostamento del polo Sud, tre glaciazioni e una forte riduzione dell’anidride carbonica dell’atmosfera.

Le piante svilupparono meccanismi sempre più complessi, “inventarono” radici, cortecce, foglie, legno e una vascolatura più efficiente: fino alla comparsa, circa 380 milioni di anni fa, delle prime forme arboree; e già intorno al primo Carbonifero, 350 milioni di anni fa, esistevano foreste di equiseti, licopodi, felci e pro-gimnosperme.

Ma la vera rivoluzione era ancora da venire. Tra i 290 e i 249 milioni di anni fa (Permiano), in corrispondenza di un cambiamento climatico caratterizzato da un graduale e continuo riscaldamento ed inaridimento, ed in seguito alla formazione del supercontinente Pangea (ca. 300 milioni di anni fa), emergono e si diffondono le prime piante a seme (Spermatofite), che sono piante a seme nudo (Gimnosperme). Il nuovo gruppo di piante comprende le Cycadi, le Ginkgoaceae, le Bennetite e le Pteridofite. Il seme fu una rivoluzione radicale rispetto al metodo a spore adottato da tutte le piante fino a quel momento.

Le spore, per potersi incontrare e fondersi fino a formare un nuovo individuo, avevano bisogno di essere rilasciate in un ambiente fortemente acquoso, dove potessero sopravvivere senza disidratarsi e nuotare l’una verso l’altra per potersi incontrare.

Il seme sciolse questa dipendenza. Infatti le “spore” (polline e ovuli) non vengono più rilasciate nell’ambiente: l’ovulo rimane fisso ed il polline, disperso dal vento, lo raggiunge e lo feconda. Dopo la fecondazione, inizia subito a svilupparsi il nuovo individuo, ma lo sviluppo si ferma subito e la protopiantina (l’embrione) rimane racchiusa in un ambiente ricco di acqua e nutrienti e protetta da una capsula a tempo, solida e e pronta ad aprirsi solo quando incontra le condizioni ambientali adatte: il seme.

E’ chiaro che la pianta a seme è avvantaggiata: può colonizzare ambienti nuovi, aridi, o sopravvivere nelle mutate condizioni ambientali che hanno ridotto l’ambiente tropicale (fino ad allora quasi universale sulla terra) a ridotte fasce. Inoltre arriva sul terreno in vantaggio sulle spore: la piantina è già formata, attende solo le condizioni giuste, e parte quindi in posizione di vantaggio.

Non sorprende, quindi, che, dopo la comparsa delle Conifere nel periodo subito successivo (Triassico ca. 248-206 milioni di anni fa), entro la prima parte del Giurassico (206-180 milioni di anni fa) la vegetazione globale sia ormai dominata da piante a seme ed inizi, almeno in parte, ad assomigliare alla copertura forestale attuale.

La terza grande rivoluzione (dopo le piante vascolari e le piante a seme) è quella delle piante a fiore (o piante a seme nascosto – Angiosperme), che avviene 140 milioni di anni fa, molto tardi dal punto di vista evolutivo (300 milioni di anni dopo le Tracheofite e 220 milioni di anni dopo le Spermatofite), probabilmente a partire dalle Bennettitales e/o Gnetales. La comparsa tardiva è però seguita da una rapida diversificazione a partire da 100 milioni di anni fa, diversificazione che in tempi relativamente brevi (nel Terziario tardo, ca. 65 milioni di anni fa) porta ad una dominanza globale delle Angiosperme.

Il gruppo si diversifica rapidamente sia dal punto di vista dei meccanismi riproduttivi che della morfologia: compaiono prima le dicotiledoni erbaceo-arbustive e di seguito le monocotiledoni e le strutture floreali passano da semplici fiori a simmetria radiale con molte componenti a fiori sempre più asimmetrici, con fusione di parti, fino al raggruppamento di singoli fiori in infiorescenze (come nelle Asteraceae).

L’esplosione dei metaboliti secondari – difesa e riproduzione
L’avvento delle Angiosperme porta ad un’altra rivoluzione che ci interessa molto da vicino. L’esplosione di diversità portata da questo nuovo gruppo non è limitata alle forme o alle modalità di riproduzione. Essa si esplicita anche nella produzione di una panoplia di composti chimici di difesa o di comunicazione. Le piante, come organismi sessili, non possono sfruttare le strategie di attacco e difesa dinamiche proprie degli animali: fuggire o attaccare il nemico. Esse hanno da subito dovuto utilizzare delle difese di tipo statico, per dissuadere i predatori dal mangiarle.

Le prime piante emerse usarono difese di tipo meccanico, sfruttando i meccanismi già esistenti per la costruzione delle strutture di supporto e di trasporto; usarono quindi lignina e altre sostanze per rendersi coriacee e difficili da digerire, spine, ecc.

Ma ben presto il fenomeno della coevoluzione, ovvero la rincorsa di risposte e controrisposte palleggiate tra piante e predatori le costrinse ad adottare difese più sofisticate, ovvero a sintetizzare delle tossine che in virtù della loro azione (dalla repellenza alla velenosità) dovevano in teoria servire per allontanare l’erbivoro, per ucciderlo o per fargli ricordare che era meglio non mangiare quella pianta!

Le prime briofite e gimnosperme iniziarono sviluppando tannini condensati, glicosidi cianogenici, ormoni giovanili ed ecdisoni, ma sono appunto le Angiosperme che arrivano alla più grande diversificazione produttiva, anche in risposta all’escalation messa in atto dai predatori che si adattavano alle nuove molecole (Tabella 1).

Circa 60 milioni di anni fa, con le prime angiosperme legnose, vediamo la proliferazione di metaboliti derivati da un percorso metabolico nato per la produzione di metaboliti primari come gli aminoacidi, il percorso dell’acido shikimico: quindi i primi alcaloidi (classe regina dei metaboliti bioattivi, che tanto ha segnato la storia della farmacia) e gli oli essenziali caratterizzati da fenoli e derivati; i derivati del percorso dell’acetato o misti, come isoflavoni, saponine, glicosidi cardiaci; e isotiocianati, glicosidi cianogenici. Il passaggio alle erbacee portò ad uno spostamento dal percorso dell’acido shichimico a quello dell’acido mevalonico, più duttile e con maggiori potenzialità di diversificazione. Gli oli essenziali si arricchirono in composti terpenici, meno tossici per la pianta, nacquero i lattoni mono e sesquiterpenici, gli alcaloidi steroidei, i flavonoli.

Tabella 1

Taxa

Metaboliti secondari

Gimnosperme/ Briofite Tannini condensati e glicosidi cianogenici, ormoni giovanili ed ecdisoni
Angiosperme

legnose

Alcaloidi isochinolinici ed ellagitannini
Amminoacidi non proteici, isoflavoni, glicosidi cianogenici
Saponine e isotiocianati
Glicosidi cardiaci
Angiosperme erbaceae Lattoni monoterpenici e alcaloidi steroidei
Lattoni sesquiterpenici, flavonoli e alcaloidi pirrolizidinici

Seguendo l’asse evolutivo felci-gimnosperme-angiosperme legnose-angiosperme erbacee si notano, in accordo con la teoria coevolutiva, l’aumento e la diversificazione dei deterrenti, la crescente complessità delle strutture chimiche e, di converso l’adattamento a queste strutture dei predatori più importanti: gli insetti. In effetti è avvenuto che tutte le molecole di difesa conosciute (ad esclusione dei tannini condensati) siano state utilizzate a proprio vantaggio da almeno una specie di insetto.

Uno schema molto importante per descrivere questo tipo di adattamento degli insetti alle tossine è quello dei “tre livelli trofici”. I tre livelli trofici sono quello della pianta che produce la tossina, quello dell’insetto che si adatta e gestisce la tossina (usandola a proprio beneficio), e quello dei parassiti dell’insetto sui quali agisce la tossina (uccidendoli o inibendoli) (Tabella 2).

Tabella 2

Specie vegetale Metabolita e tossicità Specie animale
Asclepiadaceae Glucosidi cardiottivi        (calotropina, pirazina) Farfalla monarca (Danaus plexippus)
Senecio spp.(S.      jacobea e S.     vulgaris) A. pirrolizidinici        (retronecina) Arctia caja e Tyria jacobea
Aristolochia sp. Acido aristolochico Battus archidanus
Cucurbita sp. Cucurbitacina D Diabrotoca balteata
Lotus cornicolatus Gl. cianogenici (linamarina) Zygaena trifolii
Brassica oleracea Glucosinolarti (sinigrina) Pieris brassicae
Plantago lanceolata Iridoidi (aucubina) Euphydryas cynthia
Zamia floridina Cicasina Eumaeus atala
Salix sp. Salicina Chrysomela aenicollis
Cytisus scoparius Alc. chinolizidinici Aphis cytisorum
Omphalea Alc. poliidrossilici Urania fulgens

Secondo questa logica, le specie vegetali evolutivamente più avanzate dovrebbero essere più facilitate delle altre nella lotta contro i predatori. In effetti, nelle ombrellifere (Apiaceae) troviamo che, ordinando le molecole di difesa secondo l’asse temporale-evolutivo, esse si distribuiscono anche secondo l’asse di tossicità e di complessità strutturale: prima le idrossicumarine, poi le furocumarine lineari, e quindi le furocumarine angolari. E in effetti le specie contenenti quest’ultimo tipo di molecola si possono difendere da un numero più elevato di predatori.

Possiamo schematizzare l’andamento dei rapporto tra pianta e predatore in questo modo:

Tabella 3: schema coevolutivo pianta-predatore

Sequenza Pianta Animale
1 Sintesi ed accumulo

tossina 1

Evitato da tutte le specie
2 Sintesi continuata Adattamento di poche specie.
3 Sopravvivenza con

predazione limitata

Tossina 1 diventa attraente per le specie adattate
4 Sopravvivenza con

predazione limitata

Aumentano le specie adattate, aumenta la pressione degli erbivori sulle piante
5 Sintesi ed accumulo

tossina 2

Evitato da tutte le specie
6 Sintesi contemporanea

tossina 1 e 2

Adattamento di poche specie, evitata da molte specie

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Note
1. Willis KJ, McElwain The evolution of plants. Oxford, Oxford University Press, 2000

I frutti aromatici del Siltimur

Una delle conseguenze pratiche della mia seconda puntata in Nepal, nel 2006, nella valle di Nar-Phoo, è stata la raccolta di vari campioni di piante aromatiche con l’intenzione di distillarne l’olio essenziale a Kathmandu. Una delle piante che ci avevano più interessato anche come possibili antivirali era stato il Siltimur, Lindera neesiana, ed in particolare ci interessavano i frutti, usati come rimedio per dolori di stomaco e tosse, e più commestibili delle foglie o della corteccia, e quindi dei possibili candidati per la categoria piante medicinali/alimentari.

Non si riuscì in quella occasione a distillare i frutti della pianta, ma il buon Khilendra aveva effettuato l’anno prima una distillazione di prova, ed aveva conservato bene il campione…

From Nepal 2006

… che io diligentemente portai in Italia per affidarlo alle cure dell’equipe dell’Università Patavina, che già altre volte aveva collaborato a queste mie impromptu missioni.

Dopo un po’ di attesa, ecco finalmente che esce l’articolo relativo ad analisi e attività biologica dell’olio stesso, nel primo numero del 2010 di Fitoterapia, con il titolo “Essential oil of Lindera neesiana fruit: Chemical analysis and its potential use in topical applications” e l’autorship di Comaia, Dall’Acqua, Grillo, Castagliuolo, il buon Khilendra Gurung, e la professoressa Innocenti.

Oltre ad essere una interessante esemplificazione dell’utilità di accoppiare la  tecnica della Gas cromatografia (GC-MS)  alla risonanza magnetica (NMR), l’articolo aggiunge alcuni tasselli importanti relativi alla composizione chimica della frazione aromatica dei frutti della pianta, e sembrerebbe supportare l’idea che i citrali (nerale e geraniale) siano importanti per spiegare l’attività antimicrobica degli OE.

Vediamo allora cosa sappiamo su questa pianta alla luce di questi nuovi dati.

Cosa è?

La Lindera neesiana (Wallich ex Nees) Kurz è un arbusto o piccolo albero deciduo alto fino a 4-5 metri, con foglie picciolate, molto varie in dimensioni, lunghe da 3 a 20cm. e larghe da 1 a 10 cm.,ovali e glabre. I bei fiori gialli sono disposti in ombrelle, e i frutti sono globosi.

From Nepal 2006
From Nepal 2006

La pianta appartiene alle Lauraceae, uno dei più antichi gruppi di angiosperme, parte del primitivo gruppo delle Laurales, che insieme alle Magnoliales fa parte dei Magnoliidi; in letteratura si può trovare anche con i binomiali Tetranthera neesiana Wallich, Aperula neesiana (Wallich ex Nees) Blume e Benzoin neesianum Wall. ex Nees (che è il suo basionimo).

In Nepal centro-orientale la pianta cresce nella zona Himalayana temperata e subtropicale, tra 1800 e 2600 mslm, in aperture lungo le gole profonde nelle foreste.  Fiorisce tra ottobre  e novembre e fruttifica tra marzo e giugno.

Ha vari nomi: in lingua nepalese si chiama per l’appunto 
siltimur; in lingua gurung si chiama katu, gutung, kutung o siltimuri; in lingua Nyeshang phopri
.

Come viene usata?

I vari gruppi etnici nepalesi utilizzano i frutti maturi (neri) e aromatici sia marinati come alimento sia freschi o essiccati come rimedio per mal di stomaco dovuto ad indigestione, come antelmintici e in caso di flatulenza (in Manang – Gyasumdo).

In altre zone vengono masticati in caso di diarrea, mal di denti, nausea, flatulenza, o usati a livello topico per foruncoli e scabbia, malattie della pelle, o internamente per parassiti intestinali; sono considerati un antidoto per animali e uomini in caso di ingestione di piante velenose (Pohle, 1990 Manandhar 2002; Rajbhandari 2001; Joshi 2001).

Le foglie e i ramoscelli sono anch’essi aromatici se vengono spezzati, e vengono usate per malattie della pelle. Sono inoltre una buona fonte di foraggio per bestiame bovino e caprino (Manandhar 2002; Rajbhandari 2001).

La radice e la corteccia, una volta polverizzate, sono usate internamente in caso di dolori (Manandhar 2002; Rajbhandari 2001).

Cosa contiene e come funziona?

L’appartenenza della pianta a Magnoliidi suggerirebbe la presenza di neolignani ad azione antinfiammatoria, comuni a questo gruppo, e la presenza, nell’OE, di derivati del percorso biogenetico dello shikimato (le Lauraceae sono ricche in fenilpropanoidi come eteri fenolici e fenoli, ad attività biologica elevata ma con profilo tossicologico spesso importante).

In effetti frutti, foglie e corteccia di Lindera neesiana contengono olio essenziale, circa l’1% distillabile dai frutti secchi (Gurung, Khilendra: comunicazione personale), l’1.3% dalle foglie fresche e lo 0,5% dai ramoscelli (Singh et al. 1995).

L’OE di foglia, (come previsto dall’appartenenza alle Lauraceae) è caratterizzato da una massiccia percentuale di metil cavicolo (83.76%) e safrolo (11.86%), mentre miristicina  (69.99%) e1,8-cineolo (17.97%) caratterizzano l’OE di ramoscelli (Singh et al. 1995). La presenza di metil cavicolo e safrolo, due molecole a sospetta attività epatotossica ed epatocarcinogenica (sono dei procarcinogeni attivabili dai sistemi de detossificazione epatica) suggerisce che l’OE di foglia sia potenzialmente tossico.

L’articolo di prossima pubblicazione rileva quanto invece sia differente l’OE dei frutti. I principali composti isolati dall’OE sono risultati i citrali (Z-citrale 15.08%, E-citrale 11.89%), l’1,8-cineolo (8.75%), il citronellale (6.72%), e α- e β-pineni (rispettivamente 6.63% e 5.61%). I composti che caratterizzavano gli OE di foglia e ramoscelli sono presenti nel frutto a percentuali molto minori ma non minime: miristicina (4,41%) e metil
eugenolo (ca. 2%). Altri composti identificati a percentuali significative sono: geraniolo, citronellolo,  elemicina, ossido di cariofillene, spatulenolo, nerolo, 6-metil-5-epten-2-one, linalolo ed α-terpineolo.

From Nepal 2006

Infine, i composti presenti in percentuali minime o in tracce sono: α-tujene, camfene, verbenene, mircene, α-fellandrene, p-cimene, cis-ocimene,
 trans-ocimene, 2, 6-dimetil-5-eptanale, γ-terpinene, cis-sabinene, cis-linalolo ossido, trans-linalolo ossido, α-
camfolenale, canfora, terpinen-4-olo, mirtenale, S-(-)-verbenone, trans-carveolo, geranil formiato, β-elemene, trans-cariofillene, β-bisabolene, geranil acetato, e geranil propionato.

Non ci sono molti studi sulle attività biologiche della Lindera neesiana, ma lo studio italiano evidenzia l’attività dell’OE da frutto sullo Staphylococcus aureus (un batterio Gram-positivo) a concentrazione (IC50) di ca. 100 microgrammi per mL, sul lievito Candida albicans a IC50 di ca. 276 microgrammi per mL, ed infine sulla Pseudomonas aeruginosa (un Gram-negativo) a IC50 di 13 570 microgrammi per mL.

Le attività sui patogeni sono state confrontate con quelle di un controllo negativo (DMSO, il solvente usato per solubilizzare gli OE, da solo) e di tre controlli positivi (due antibiotici: ampicillina e  kanamicina, ed un antimicotico, la nistatina). In nessun caso l’OE è risultato efficace quanto le molecole di sintesi, e solo l’attività su Staphylococcus aureus merita a mio parere ulteriori attenzioni.

La bassa efficacia sulla Pseudomonas non dovrebbe stupire, in genere tutti gli olii essenziali hanno attività meno spiccata nei confronti dei G-negativi, a causa della componente lipopolisaccaridica  della loro membrana, che riduce la capacità di penetrazione degli OE, notoriamente lipofili.

(Mi) Stupisce di più la bassa attività su Candida spp., visto il contenuto in citrali mi sarei aspettato di più, comunque sempre meglio dell’azione sui G-. Positiva invece l’assenza di attività citotossica a livelli di attività.

Cosa sarebbe interessante studiare per il futuro? Vista la probabile facilità con la quale i citrali formano legami con i gruppi azotati delle proteine, sarebbe interessante vedere se la loro presenza in un olio essenziale facilita la permanenza dello stesso olio essenziale sul derma, o se miscele di OE a citrali con OE ad elevata volatilità riduce quest’ultima.

Inoltre altrettanto interessante sarebbe vedere se c’è un ruolo per l’utilizzo di questi frutti nell’alimentazione da carestia. Chi lo sa?

Tidbits

Flora batterica intestinale e salute del sistema immunitario.
In un articolo pubblicato oggi su Nature, alcuni ricercatori australiani hanno esaminato i meccanismi alla base dell’influenza della dieta sulla flora batterica intestinale e sulla funzionalità del sistema immunitario.

Sappiamo già molto sul fato ed il ruolo delle fibre insolubili una volta ingerite, sulla loro funzione di lassativi di massa, di spazzini, e della loro trasformazione batterica nel colon in acidi grassi a catena corta che possono essere assorbiti o agire localmente come antinfiammatori e anticolitici (e qui, e qui, e poi qui).

Più complessa è la faccenduola quando si tenta di capire perché questi cosiddetti prebiotici (ed i probiotici come i fermenti lattici) agiscano anche su patologie infiammatorie ed autoimmuni (o coinvolgenti il sistema immunitario) sistemiche come asma, diabete tipo 1, artrite reumatoide, eczema, ecc.

Qualche idea la si aveva, naturalmente, ma lo studio in pubblicazione aiuta a rivelare i meccanismi a livello molecolare (almeno nei topi). Uno dei recettori presenti alla superficie delle cellule del sistema immunitario (una proteina chiamata GPR43), che si lega agli acidi grassi a catena corta, sembra fungere da recettore antinfiammatorio, ed a regolare quindi la risposta proinfiammatoria. Sempre questo studio sottolinea che non è soltanto la presenza di acidi grassi a catena corta ad essere importante per la modulazione immunitaria, ma anche la salute ed il tipo di flora batterica presente, e che queste due variabili sono in realtà interconnesse, nel senso che cambiamento di dieta modificano la flora batterica, la quale a sua volta cambia il modo in cui noi utilizziamo le fibre insolubili della dieta.

Questo dato, di per se non rivoluzionario dal punto di vista clinico per chi già riconosceva l’importanza della dieta nella salute, è però importante come passaggio verso una maggior comprensione dei meccanismi interconnessi dell’organismo, e mi rafforza nella mia idea di clinico che prima di iniziare una terapia a base di piante (le cui molecole sono spesso modificate nel colon) è necessario valutare e se necessario intervenire sulla salute del colon.

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Allergeni

Il problema della presenza di sostanze aromatiche sensibilizzanti nei cosmetici e nei profumi non è nuovo, ma è solo negli ultimi anni che la problematica dell’etichettatura dei prodotti e delle informazioni date ai clienti allergici o sensibilizzati è uscita dai circoli degli specialisti.

Il 7° emendamento alla Direttiva sui Cosmetici (Council Directive 2003/15/EC) comporta l’obbligatorietà dell’etichettatura di 26 sostanze (elencate nel Annex III) che, secondo l’opinione del SCCNFP (Scientific Committee on Cosmetics and Non Food Products intended for consumers), sono gli allergeni più comuni nelle fragranze e nei profumi, quando siano presenti a livello dello 0.01% o superiore per prodotti wash-off e dello 0.001% o superiore in prodotti leave-on.  Sedici di queste sostanze sono naturalmente presenti negli OE.

L’opinione del 1999, che ha portato alla modificazione della Direttiva, era articolata in quattro sezioni:
1. Gli ingredienti delle fragranze debbono essere considerati un’importante causa d’allergie da contatto.  In particolare il Comitato denuncia che nei soggetti affetti da eczema vi è stato un significativo aumento delle allergie da fragranze negli ultimi 10 anni, e che sempre in questo gruppo le allergie da fragranza sono una delle cause più comuni d’allergia da contatto (8%).  Gli studi sulle popolazioni non affette da eczema sono più difficili e più scarsi, ma i dati sembrano comunque mostrare l’importanza dell’allergia da fragranze nel contesto più generale delle allergie da contatto (1-2%).  Tutti questi studi sono stati effettuati utilizzando lo strumento del Fragrance Mix, un test diagnostico.  Gli studi epidemiologici mostrano che questi dati riflettono bene i dati sull’utilizzo di prodotti cosmetici.  Di tutti i pazienti eczematosi che ricorrono alle cliniche dermatologiche per allergie da cosmetici, il 30-45% mostra allergie da fragranze.
In particolare è stato mostrato che la reazione che vari soggetti eczematosi hanno nei confronti di profumazioni contenute in saponi, dopobarba, profumi, deodoranti profumati, colonie e lozioni è vicina a quella avuta nei confronti del Fragrance Mix.
I 10 profumi più venduti hanno causato una reazione positiva nel 6.9% dei soggetti, contro l’8.1% nel caso del Fragrance Mix. In ultimo il Comitato nota come la compresenza in molti cosmetici di due o più allergeni aumenti il rischio di eczema, vista l’effetto sinergico sull’infiammazione e sull’estensione della reazione eczematosa.
2. Sulla base di criteri ristretti ai dati dermatologici riflettenti l’esperienza clinica, è stato possibile identificare 26 ingredienti delle fragranze, che corrispondono agli allergeni più comunemente riconosciuti.

Esempi di allergerni presenti negli olii essenziali:

  • Alcol cinnamico
  • Cinnamale
  • Citrale
  • Eugenolo
  • Geraniolo
  • Idrossicitronellale
  • Isoeugenolo
  • Alcol anisico
  • Benzoato di benzile
  • Cinnamato di benzile
  • Citronellolo
  • d-Limonene
  • Cinnamaldeide
  • Farnesolo
  • Linalolo

3. Non vi sono al momento dati sufficienti che permettano di determinare una relazione dose-risposta e un valore soglia per questi allergeni.  Questo perché pochi allergeni sono stati testati per individuare il livello di non effetto.
4. E’ opinione del Comitato che il consumatore dovrebbe ricevere informazioni adeguate sulla presenza nei prodotti cosmetici di composti con un potenziale ben riconosciuto di causare allergie da contatto.  La mancanza di tale informazione limita  una adeguata diagnosi delle allergie da contatto con fragranze, impedisce ai consumatori con riconosciuta allergia a certi composti di tutelarsi, e riduce di molto il feedback verso l’industria di produzione, che non può quindi prendere delle misure in caso di necessità.

Considerazioni
Questi sviluppi hanno un potenziale dirompente anche al di fuori del mondo della cosmesi.  Non solo un alto numero di sostanze incluse in questi elenchi sono presenti negli OE, ma alcune sono quasi ubiquitarie, come il linalolo e il d-limonene, ed altre ancora (geraniolo, eugenolo, ecc.) sono comunque presenti in moltissimi OE.

Per dare un’idea di quanti OE sono stati implicati, basta dare un’occhiata all’elenco che segue, che comprende solo una minima parte degli OE potenzialmente interessati.

  • Aniba roseodora (Legno di rosa: citrale, citronellolo, linalolo)
  • Cananga odorata (Ylang ylang: alcol benzilico, geraniolo, isoeugenolo, benzoato di benzile, farnesolo)
  • Cinnamomum camphora fol (Foglia di Ho: d-limonene, linalolo)
  • Cinnamomum cassia (Cannella cinese: alcol cinnamico)
  • Cinnamomum zeylanicum (Cannella vera: alcol cinnamico, eugenolo, benzoato di benzile)
  • Citrus aurantium var amara (Arancio amaro: geraniolo, d-Limonene)
  • Citrus aurantium var amara flos (Neroli: geraniolo, farnesolo)
  • Citrus limonum (Limone: citrale, d-Limonene)
  • Citrus reticulata (Mandarino: citronellolo, d-Limonene)
  • Citrus sinensis (Arancio dolce: d-Limonene, linalolo)
  • Citrus spp. (d-limonene)
  • Citrus spp fol (Petitgrain:  citrale, geraniolo)
  • Coriandrum sativum (Coriandolo: geraniolo, linalolo)
  • Cuminum cyminum (Cumino: cinnamato di benzile, d-Limonene)
  • Cymbopogon citratus e flexuosus (Lemongrass: citrale, geraniolo, citronellolo, d-Limonene, farnesolo)
  • Cymbopogon martinii (Palmarosa: geraniolo, farnesolo)
  • Cymbopogon nardus e winterianus (Citronella: geraniolo, citronellolo, d-Limonene, farnesolo)
  • Eucalyptus citriodora (geraniolo, citronellolo)
  • Eucalyptus radiata (citrale, geraniolo)
  • Foeniculum vulgare (Finocchio: d-Limonene)
  • Gaultheria ssp (Wintergreen: benzoato di benzile)
  • Jasminum grandiflorum (Gelsomino assoluta: alcol benzilico, farnesolo)
  • Juniperus ssp (Ginepro: d-Limonene)
  • Laurus nobilis (Alloro: eugenolo, geraniolo)
  • Lavandula angustifolia (Lavanda: geraniolo, linalolo)
  • Lavandula x hybrida (Lavandino: linalolo)
  • Lippia citriodora (Verbena: citrale)
  • Melaleuca ssp (eugenolo)
  • Melissa officinalis (citrale)
  • Myristica fragrans (Noce moscata.  isoeugenolo, linalolo)
  • Myroxylon balsamum (Balsamo del Tolu) e Myroxylon pereirae (Balsamo del Peru) (alcol cinnamico, benzoato di benzile, cinnamato di benzile, farnesolo)
  • Ocimum basilicum (Basilico: linalolo)
  • Pelargonium spp (Geranio: geraniolo, citronellolo)
  • Pimpinella anisum (Anice:  alcol anisico)
  • Pinus spp (citrale, d-Limonene)
  • Pogostemon cablin (Patchouli: alcol cinnamico)
  • Rosa spp (eugenolo, geraniolo, citronellolo, farnesolo)
  • Salvia sclarea (citronellolo)
  • Satureja spp (Santoreggia: eugenolo)
  • Styrax benzoin (Benzoino: alcol benzilico, alcol cinnamico, cinnamato di benzile)
  • Syzygium aromaticum (Chiodi di garofano: eugenolo, isoeugenolo

Come visto al punto 3 del documento del 1999, il SCCNFP non ha definito dei livelli per i limiti imposti agli allergeni nei cosmetici.  La mancanza di questi limiti significa che moltissimi OE sono rimasti coinvolti in questa  legislazione.  La semplice presenza di un composto è bastata a far condannare l’uso di un OE, e a seguito dell’implementazione di questaregolamentazione l’industria degli olii essenziali ha sofferto un colpo molto duro, a fronte di una generalizzazione  automatica ma in realtà non giustificata in assenza di ulteriori studi sugli OE in toto.

Questa decisione non è mai stata formalmente giustificata dal SCCNFP , e vari autori, ed in particolare Cropwatch, hanno criticato la metodologia utilizzata, denunciando un eccesso di restrizione di fronte ad una mancanza di evidenza clinica o sperimentale.

Cropwatch/The Aromaconnection Blog riportano gli ultimi sviluppi su questo fronte. Anche se siamo ancora lontani da uno studio serio sulla solidità dei dati alla base della legislazione sugli allergeni, per lo meno viene riconosciuto che al momento della composizione della lista, non esistavano dati sufficienti per calcolare un rapporto dose/risposta o un livello soglia oltre il quale la sostanza sarebbe attiva:

“Scientific information of general and specific nature has been submitted to DG ENTR in order to ask the SCCP for a revision of the 26 fragrances with respect to further restrictions and possible even delisting.“

“At that time there were not sufficient scientific data to allow for determination of dose response relationships and/or thresholds for these allergens.”

Curcuma, curcuminoidi e tumori

Prendendo idealmente lo spunto dal post di Meristemi, e approfittando della necessità di (ogni tanto) mettere mano alle monografie del buon vecchio infoerbe, ecco una breve rivista delle novità sulle influenze della Curcuma sui processi tumorali.

Buona lettura!

Dati sperimentali
La curcuma (ed i curcuminoidi) mostrano una serie di attività che li rendono molto interessanti come potenziali rimedi antitumorali, sia in senso chemiopreventivo che in senso direttamente terapeutico: attività antiossidante, antinfiammatoria, proapoptotica e antiangiogenetica (Iqbal et al. 2003).

Sembra che la curcumina agisca come antiniziatore ma in qualche caso agisce come antipromotore, ed ha mostrato queste attività in modelli carcinogenici preclinici di tumore del colon, del duodeno, dello stomaco, del seno, orale and sebaceo. Nonostante i risultati siano stati ottenuti su modelli animali, la curcumina è attiva in molti modelli diversi tra di loro e i dosaggi sono paragonabili a quelli utilizzati dagli esseri umani, per cui i risultati sono probabilmente ad un livello di generalizzabilità abbastanza buono, e certamente questi risultati costituiscono una euristica molto forte.

Metabolismo epatico

La curcumina inibisce l’iniziazione tumorale degli epatotossici e dei carcinogeni in vari modelli animali; diminuisce in vitro la mutagenicità della capsaicina e degli estratti del Peperoncino in maniera dose-dipendente (pari alla Vit. E), inibisce l’iniziazione tumorale indotta dai prodotti di condensazione, del tabacco, del benzo[a]pirene e dal 7,12 dimetilbenz[a]antracene (Huang et al 1992), e la promozione indotta dagli esteri del forbolo (Conney et al 1991; Huang et al 1998). Questo in presenza di omogenato di fegato, mentre in assenza dell’omogenato non riduce la mutagenicità della streptozocina.
La pianta è detossificante epatica e chemiopreventiva della carcinogenesi mediante alterazione dei processi di attivazione e/o detossificazione nel metabolismo dei carcinogeni. I curcuminoidi prevengono i metaboliti del benzo-alfa-pirene dal formare addotti con il DNA e inibiscono la tossicità epatica indotta dalle aflatossine (Bengmark 2006; Nishino et al 2004; Maheshwari et al 2006).

Potenzialmente la curcumina può interferire con tutte e tre le fasi del metabolismo dei farmaci. Dosaggi orali di Curcuma (come anche la curcumina per via orale) in modelli animali causano:

Fase I: inibizione da debole a moderata della induzione e della attività degli isoenzimi del P450 1B1, 1B2 e 2E1, e inibizione più potente di 1A1 e 1A2, tutti isoenzimi collegati al metabolismo dei carcinogeni, inclusi gli idrocarburi policiclici aromatici (Thapliyal et al. 2001; Thapliyal et al. 2001; Oetari et al. 1996). In uno studio (Raucy 2003) su epatociti umani la curcuma non ha mostrato alcuna influenza sul P450 3A4, suggerendo che siano molto ridotti i rischi di interazione con i molto farmaci substrato di questo isoenzima.

Fase II: induzione della GST (glutatione-S-transferasi) ed aumento del glutatione ridotto intracellulare.

Rinaldi et al (Rinaldi et al. 2002) hanno testato la curcumina sulle cellule della mucosa orale umana e su cellule di carcinoma a cellule squamose orale ha mostrato la traslocazione nucleare del recettore aril idrocarburo (AhR), un processo che porta all’attivazione degli enzimi di Fase I e II, sensibili a AhR, metabolizzanti i carcinogeni, e alla riduzione della bioattivazione dei carcinogeni.

Fase III: effetti inibitori sulla glicoproteina-P (P-gp) in varie linee cellulari (Zhou et al. 2004; Nabekura et al. 2005) Secondo Anuchapreeda et al (Anuchapreeda et al. 2002) il pretrattamento con Curcumina-I di cellule di carcinoma ella cervice umane (KB-VI) fino a 72 ore ha ridsotto l’espressione del gene MDR1. La curcumina-I ha anche ridotto l’efflusso della rodamina-123 da queste cellule, ma non ha avuto effetto sulle cellule wild-type (KB-3) che non esprimono livelli esagerati di P-gp. La sensibilità alla vinblastina (Chearwae et al. 2004) e della daunorubicina (Venkatesan et al. 1997) della linea cellulare omologa ma resistente ai farmaci KN-VI è stata aumentata dalla curcumina-I.

I dati in vitro sono di difficile valutazione e generalizzazione anche a causa della bassa biodisponibilità della curcuma.

Azione protettiva
La curcumina protegge dal danno al DNA dei leucociti causato dai gas di scarico. L’1% nella dieta riduce l’incidenza dei tumori allo stomaco BAP-indotti e dei tumori spontanei alla mammella. Non ha invece effetto sulla frequenza delle irregolarità mitotiche in cellule invase da virus né inibisce il danno nucleare indotto da BAP a livello intestinale.

La somministrazione orale ad ratti e topi ha inibito la carcinogenesi cutanea, orale, duodenale, del colon e della lingua (Azuin, Bhide 1992; Azuine, Bhide 1994; Huang et al. 1994; Rao et al. 1995). La curcumina ha anche dimostrato di ridurre i livelli di mutageni urinari.

A livello topico, la curcumina diminuisce la promozione tumorale di TPA sulla pelle, come si poteva sospettare vista la sua attività antiinfiammatoria e anti LOX/COX.
Ha attività antiangiogenetica e proapoptotica (Duvoix 2005, Aggarwal 2003; Hemaiswarya 2006; D’Incalci et al. 2005).
La curcumina e soprattutto i suoi vari analoghi di sintesi mostrano una interessante attività contro i recettori degli androgeni nel tessuto prostatico, suggerendo una possibile attività sul tumore alla prostata.

La combinazione di cisplatina e curcumina su preparazioni di fegato e rene di ratti con fibrosarcoma sperimentalmente indotto è stata più efficace nel ridurre i marker tumorali rispetto alla cisplartina da sola, ed il pretrattamento con curcumina di una linea cellulare di carcinoma epatocellulare che esprime esageratamente Nf-kB ha aumentato l’effetto della cisplatina sull’apoptosi (Navis et al. 1999).

Meccanismi ipotizzati
I curcuminoidi mostrano di esercitare la loro azione su molteplici target attraverso molteplici meccanismi di azione (Duvoix et al. 2005; Aggarwal et al 2003; Hemaiswarya, Doble 2006), insomma di essere un rimedio multitasking che agisce ai vari livelli di iniziazione, promozione, progressione e disseminazione tumorale (Duvoix et al 2005). Per la curcumina vale forse la pena di usare il termine di xenormetico pleiotropico, che sembrerebbe agire contemporaneamente riducendo l’infiammazione cronica (rapporto NF-kN e Nrf2), inibendo la neoangiogenesi, inducendo l’apoptosi o più in generale la morte cellulare, ed agendo direttamente ed indirettamente (metabolismo carcinogeni) sui carcinogeni.

Riassumendo (Aggarwal et al. 2003), la curcumina:

  • downregola i fattori di trascrizione che coordinano la crescita cellulare, la proliferazione, la differenziazione, i processi infiammatori ed angiogenetici e l’apoptosi: in particolare il Nrf2 (nuclear factor-erythroid-2-related factor 2), il mediatore dell’induzione dei geni che codificano per molti enzimi di risposta allo stress e citoprotettivi, e che regolano la detossificazione di Fase II e i meccanismi antiossiodanti, il fattore nucleare kB (NF-kB) legato ai processi infiammatori e la proteina attivante 1 (AP-1) (Aggarwal et al. 2005; Chainani-Wu 2003; Aggarwal et al. 2004).
  • downregola c-Jun N-terminal chinasi, PTK e PKC
  • downregola i recettori dei fattori di crescita endoteliale VEGF, EGFR e HER2
  • downregola l’espressione di LOX e COX-2, della iNOS, della MMP 9 (metalloproteinasi di matrice 9), CSA, TNF-alfa, varie chemochine, ciclina D1, dell’attivatore del plasmogeno tipo urochinasi (uPA), le molecole di adesione superficiale (cell surface adhesion molecules)
  • induce la detossificazione di Fase I (P450), di Fase II (induzione GST) e di Fase III (induzione P-gp)
  • Previene gli addotti del DNA e l’epatotossicità aflatossine

Angiogenesi (Yance, Sagar 2006, e questo, e anche questo)
Il microtumore esprime vari fattori proangiogenetici in direzione della rete capillare; questi fattori contribuiscono alla dissoluzione della membrana basale del vaso più vicino, ed inducono la creazione di nuovi abbozzi di vasi nella direzione del tumore (fattori di chemiotassi), la formazione di un lume e quindi la vascolarizzazione interna del microtumore.

Poter intervenire su questo passaggio riveste quindi importanza terapeutica (nel senso che possiamo bloccare i passaggi di progressione tumorale) ma anche preventiva, perchè vari fattori proangiogenetici sono legati a processi infiammatori che sono anche protumorali.

I meccanismi responsabili per l’angiogenesi tumorale non sono ancora stati delucidati completamente, ma si propone uno schema semplificativo.

Le cellule endoteliali giocano un ruolo importante nella neovascolarizzazione dei tumori indotta dai microtumori. Da questo punto di vista il fattore prossimale più importante per l’angiogenesi è il fattore di crescita endoteliale vascolare [vascular entothelial growth factor (VEGF)]. Il VEGF è un dei fattori di aumento della permeabilità vascolare e della promozione della metastasi più importanti e potenti. Su di esso agiscono vari fattori proinfiammatori e proangiogenetici come il NO e le prostaglandine, ma anche il TNF-α.
La stabilità e coerenza della matrice extracellulare è un’altro dei fattori fondamentali di controllo dell’angiogenesi, dato che per poter vascolarizzare un tumore è necessario che la matrice extracellulare perda di coerenza e permetta la diffusione di vari fattori e la crescita del nuovo vaso.
Anche le condizioni di ipossia sono favorevoli al processo di angiogenesi. In condizioni di normossia il fattore inducibile da ipossia [Hypoxia-inducible Factor 1 (HIF-1)] viene degradato, ma in condizioni di ipossia viene degradato di meno ed è quindi libero di interagire con altri cofattori e stimolare l’angiogenesi. Dato che il microtumore è, prima della vascolarizzazione, ipossico, in esso vengono espressi vari cofattori angiogenetici.

Uno dei punto di snodo fondamentali che unisce questi processi sono le attività del fattore nucleare kappa B (NF-kB) e della proteina attivatrice-1 (AP-1), due fattori di trascrizione genica (sempre in eccesso nelle cellule tumorali) fondamentali nella risposta proinfiammatoria LPS-indotta. Essi controllano molte attività cellulari: l’NF-kB media l’attività immunitaria, l’infiammazione, le collagenasi e la proliferazione cellulare, e l’AP-1 soprattutto la proliferazione cellulare. Di particolare interesse il legame tra NF-kB ed infiammazione, perchè questa facilita l’angiogenesi, l’invasione e le metastasi, e d’altro canto è un importante fattore protumorale.

A loro volta NF-kB e AP-1 mediano l’espressione di iNOS (e quindi la produzione di NO), di COX (e quindi le prostaglandine) ed il TNF-α. Questi fattori proinfiammatori, sommati all’azione dell’ipossia tramite HIF-1 e AP-1 e vari altri cofattori, inducono l’espressione di VEGF e aumentano l’infiammazione. La VEGF a sua volta, causa una cascata metabolica che porta ad una degradrazione della matrice extracellulare, alla proliferazione endoteliale ed in definitiva all’angiogenesi.

La curcuma ed i curcuminoidi agiscono sul processo di angiogenesi tumorale tramite processi multipli ed interdipendenti. Esaminati secondo lo schema proposto, essi includono:

  1. azione a livello dei fattori di trascrizione Nf-kB (fattore nucleare kB) e della AP-1 (proteina attivatrice-1), legati ai processi infiammatori, e l’Egr-1 (questa azione ha attenuato l’espressione della IL-8 in linee cellulari ed ha evitato l’induzione della sintesi di VEGF)
  2. inibizione dell’angiogenesi mediata dall’ossido nitrico e dall’iNOS
  3. inibizione dell’espressione di COX-2 e LOX
  4. azione a livello di fattori angiogenetici: il fattore di crescita endoteliale vascolare [VEGF], principale fattore di migrazione, gemmazione, sopravvivenza, e proliferazione durante l’angiogenesi, e il fattore di crescita basilare dei fibroblasti [bFGF]
  5. azione a livello della stabilità e della coerenza della matrice extracellulare (ECM), con downregolazione della MMP2 (metalloproteinasi-2 di matrice) e della MMP9, e upregolazione della TIMP1 (inibitore tessutale della metalloproteinasi-1). Interferisce inoltre con il rilascio di fattori angiogenetici stoccati nella ECM
  6. Legame e blocco di una metalloproteinasi (CD13/aminopeptidasi N = APN) attiva ed importante per l’invasione tumorale e la neovascolarizzazione.


Morte cellulare
La curcumina indice la morte cellulare in numerose linee cellulari animali ed umane, come quelle della leucemia, del melanoma, dei carcinomi a seno, polmoni, colon, rene, epatocellulari e ovarici (Karunagaran, Rashmi, Kumar 2005; Rashmi, Kumar, Karunagaran 2004). Seguendo la review di Salvioli et al. (Salvioli et al. 2007) possiamo distinguere vari meccanismi di morte cellulare.
Apoptosi
La curcumina sembra agire con meccanismi sia caspase-dipendenti sia indipendenti (mitocondriali), sia legati alla presenza di p53 sia in sua assenza. Il ruolo delle ROS è controverso poiché la curcumina mostra ben note attività antiossidanti ma al contempo lega la sua attività antitumorale alla generazione di ROS. Questa ambiguità sui meccanismi e sui target deriva probabilmente dalla natura pleiotropica della curcumina che possiede molteplici target cellulari sui quali agisce contemporaneamente: inibisce i fattori di trascrizione AP-1 e Nf-kB (coinvolti in apoptosi, proliferazione e sopravvivenza cellulare); inibisce la proteina p300, un coattivatore trascrizionale coinvolto in apoptosi, ciclo cellulare, differenziazione.
Esistono inoltre vari problemi metodologici rispetto alla definizione di apoptosi che possono spiegare le ambiguità di azione (Salvioli et al 2007). Esistono però anche esistono dati a supporto di una azione bifasica della curcumina. Sembrerebbe infatti che la curcumina agisca sui proteasomi in maniera bifasica, con una attivazione a dosaggi ridotti, ed una inibizione a dosaggi più elevati. Dato che l’inibizione dei proteasomi porta ad apoptosi, e la sua stimolazione porta alla sopravvivenza cellulare, è possibile che la curcuma causi apoptosi o sopravvivenza a seconda del dosaggio utilizzato. Inoltre la curcuma a dosaggi differenti può influenzare anche il tipo di morte cellulare: sembrerebbe infatti che dosaggi bassi portino a stress ossidativo e morte per apoptosi, mentre dosaggi più elevati porterebbero a ridotta produzione di ROS, riduzione di ATP e morte per necrosi. Un altro possibile meccanismo bifasico è legato alla durata del trattamento e all’effetto su Nf-kB: Notarbartolo et al. riportano un aumento di Nf-kB dopo 8 ore di trattamento ed una riduzione dopo 16 ore.

Catastrofe mitotica
La curcumina sembra anche in grado di causare la morte cellulare anche di varie linee cellulari resistenti all’apoptosi, probabilmente attivando meccanismi di morte cellulare diversi dall’apoptosi. Uno di questo meccanismi non-apoptotici è la cd. catastrofe mitotica, caratterizzata da mitosi aberrante, formazione di cellule giganti e multinucleate. La catastrofe mitotica scatenata dalla curcumina sarebbe legata alla riduzione dell’espressione genica di vari inibitori delle proteine apoptotiche (IAP), in particolare della Survivina.

Altri meccanismi
Altri possibili meccanismi di morte cellulare sono: la inibizione della hTERT, la subunità attiva della telomerase, la cui inibizione permette l’apoptosi; l’inibizione della fosforilazione di mTOR, un regolatore della morte cellulare autofagica; lo stress sul reticolo endoplasmatico.

Dati clinici ed epidemiologici (curcumina-I)

  • RCT: riduce mutageni urinari fumatori cronici (1,5 gr/die per 30 gg); riduce danno citogenetico in linfociti e in altre cellule  (3 gr/die ES +/- 600 mg/die OE per 90 gg)
  • RT: miglioramento sintomatico lesioni cancerose cutanee (ES + unguento)
  • Vari CT Fase I:  la curcumina (8 gr/die) è ben tollerata dagli esseri umani (Cheng et al 2001; Hsu et al. 2002; Sharma et al. 2004; Bemis et al 2006), è non tossica e che è un potenziale chemiopreventivo in soggetti con lesioni ad alto rischio o premaligne.

Il National Cancer Institute sta conducendo studi clinici di Fase I sulla curcumina come agente chemiopreventivo per il cancro al colon, ed altri studi clinici in vari stadi di avanzamento comprendono studi su mieloma multiplo, cancro al pancreas, sindromi mielodisplastiche.

Posologia

Interazioni
Vista la potenziale attività di curcumina su vari fattori legati alla angiogenesi, tra i quali il VEGF,  è ipotizzabile (ma a livello per il momento del tutto speculativo) una interazione (forse positiva) con i nuovi farmaci antiangiogentici come Avastin (Yoysungnoen et al. 2006; Hemaiswarya, Doble 2006).  Allo stesso livello speculativo sta la possibile interazione positiva (sinergia) con la genisteina (Verma, Goldin 2003; Santibanez et al. 2000; Verma et al.1997). Un gruppo di ricerca ha messo in guardia dall’utilizzare la curcuma insieme a farmaci alchilanti come la ciclofosfamide, che inducono l’apoptosi attraverso l’attivazione della Janus chinasi, che potrebbe essere inibita dalla curcumina (Somasundaram et al. 2002). Lo stesso gruppo di ricerca ha suggerito che potrebbe essere sconsigliabile usare la curcuma con chemioterapici che agiscano attivando la Nf-kB.  Anche se la inibizione della Nf-kB potrebbe giocare un ruolo nel moderare la resistenza ai farmaci indotta dalla Nf-kB, l’attivazione di Nf-kB potrebbe essere uno dei meccanismi di azione del chemioterapico (come la doxorubicina). Lo studio è stato però criticato (Mitchell 2003).

Dettagli delle interazioni
Bleomicina e antibiotici citotossici.
La pianta potrebbe ridurre la tossicità polmonare (fibrosi) indotta dal farmaco. La rilevanza clinica non è però chiara. Possibile considerare la cosomministrazione come protettivo/coadiuvante solo sotto supervisione specialistica (protocollo ABVD) (Venkatesan, Punithavathi, Chandrakasan 1997; Punithavathi, Venkatesa, Babu 2000).

Cisplatin e composti chemioterapici a base di platino
La pianta potrebbe ridurre la tossicità renale e la neurotossicità indotte dal farmaco. La rilevanza clinica non è però chiara. Possibile considerare la cosomministrazione solo sotto supervisione specialistica (Navis, Sriganth, Premalatha 1999; Notarbartolo et al. 2005)

Ciclofosfamide e agenti alchilanti
La pianta potrebbe ridurre la tossicità indotta dal farmaco ma potrebbe anche ridurne l’efficacia. I dati sono conflittuali e la rilevanza clinica non è chiara. Evitare la cosomministrazione fino a che non si rendano disponibili maggiori dati (Venkatesan, Chandrakasan 1995, Somasundaram et al. 2002; Mitchell 2003)

Doxorubicina e chemioterapia antraciclinica
La pianta protegge da e riduce la cardiotossicità indotta dal farmaco e potrebbe ridurre la resistenza indotta dal farmaco. L’effetto sull’efficacia del farmaco è controverso e la rilevanza clinica non è chiara. Evitare la cosomministrazione fino a che non si rendano disponibili maggiori dati. Possibile considerare la somministrazione prima e dopo la chemioterapia. (Venkatesan 1998, Venkatesan, Punithavathi, Arumugam 2000, Chuang et al. 2002, Harbottle et al. 2001, Somasundaram et al. 2002; Mitchell 2003, Venkatesan, Chandrakasan 1995)

Paclitaxel e taxani
La pianta potrebbe sensibilizzare le cellule tumorali al farmaco. La rilevanza clinica non è chiara. Possibile considerare la cosomministrazione solo sotto supervisione specialistica (Bava et al. 2005)

Vinblastina e alcaloidi della Vinca
La pianta potrebbe ridurre al resistenza al farmaco inibendo meccanismi di effliusso Possibile considerare la cosomministrazione solo sotto supervisione specialistica (Anuchapreeda et al. 2002, Chearwae et al. 2004).

Bibliografia

Ancora sulle sirtuine

Un articolo appena pubblicato sul numero di novembre di Cell, (Oberdoerffer et al (2008) “SIRT1 redistribution on chromatin promotes genome stability but alters gene expression during aging”; Cell 135,  6) aggiunge un tassello importante alla ricerca sul ruolo delle sirtuine nei processi di degenerazione del DNA e quindi cellulare, e del possibile ruolo di quelle molecole di origine vegetale che influenzano l’espressione delle sirtuire, come il resveratrolo.

In particolare lo studio avrebbe rivelato che le sirtuine hanno due funzioni primarie negli organismi dei mammiferi: la prima è  coordinare gli schemi di espressione genica, ovvero decidere quali geni sono attivati e quali disattivarti in ogni singola cellula, per evitare ad esempio che una cellula renale inizi ad esprimere tendenze epatiche; la seconda è funzionare da agenti riparatori emergenziali in caso di danno al DNA. Il problema sorge dal fatto che quando le sirtuine sono occupate a riparare il DNA non regolano più l’espressione dei geni. Fino a che i danni al DNA sono rari le sirtuine riescono a compiere entrambi i compiti co efficienza, ma quando questi danni aumentano (tipicamente con l’età) la de-regolazione dell’espressione genica diventa cronica, e questo sembra essere legato, nei modelli animali utilizzati, a fenotipi di maggior invecchiamento.

L’utilizzo di extra sirtuine o di un attivatore delle sirtuine come il resveratrolo ha  aumentato la vita media dei topi dal 24 al 46%.

Ritorna quindi l’interessantissimo argomento di utilizzare metodi di metaregolazione piuttosto che intervenire a livello degli effettori o degli effetti (ovvero, invece di tentare di riparare il DNA, meglio aumentare i sistemi endogeni di riparazione, al contempo ripristinando la funzionalità di regolazione dell’espressione genica).

Nonostante questo studio sia stato effettuato su modelli animali ed utilizzando solo il resveratrolo, il fatto che il meccanismo delle sirtuine sembri essere comune a moltissime forme di vita appartenenti ai Regni vegetale ed animale, e i dati in nostro possesso su altre molecole con azione simile al resveratrolo (catechine, curcuminoidi, ecc.) o sugli antiossidanti (leggi qui per essere educato da Meristemi sull’argomento) lascia ben sperare sulla generalizzabilità del dato.

Il sistema endocannabinoide

Le piante ad azione psicoattiva sono da sempre state importantissime per l’indagine sui sistemi neuronali. La più famosa è certamente il Papaverum somniferum, grazie alla quale è stato scoperto ed indagato il sistema delle endorfine.

Ma altrettanto interessante, se non di più, è il campo aperto dallo studio della Cannabis e del sistema degli endocannabinoidi. Per riassumere, nel 1992 è stato scoperto il primo degli agonisti endogeni dei recettori CB (endocannabinoidi): l’anandamide (N-arachidoniletanolamide o AEA) e di seguito il 2-arachidonilglicerolo (2AG).  Altri endocannabinoidi scoperti in seguito sono il palmitoil etanolamide, la virodamina, il NADA (N-arachidonildopamina), e il noladin-etere.

L’AEA e la 2AG funzionano come neuromodulatori o neurotrasmettitori. Vengono infatti sintetizzati ‘al bisogno’ a partire da precursori presenti nelle membrane cellulari neuronali, attraverso una fosfolipasi D (per l’anandamide) o C (per la 2AG); vengono rilasciati velocemente, a seguito di una depolarizzazione, dai neuroni postsinaptici a livello ematico, e agiscono come messaggeri retrogradi per modulare il rilascio di neurotrasmettitori dai terminali presinaptici; l’interazione con CB1 inibisce la neurotrasmissione GABA-ergica nell’area tegmentale ventrale (VTA), causando un aumento del ritmo di firing dei neuroni dopaminergici nel circuito VTA-mesolimbico, con conseguente aumento di dopamina nel nucleo accumbens. (il meccanismo centrale della soddisfazione, o della “carota”, nel sistema allostatico.

I recettori CB e gli endocannabinoidi formano il cosiddetto ‘sistema cannabinoidico endogeno’ (SCE) che secondo Baker e collaboratori, è principalmente un sistema di regolazione delle neurotrasmissioni sinaptiche.

Fondamentalmente la depolarizzazione postsinaptica causerebbe la sintesi e il rilascio di endocannabinoidi che andrebbero ad occupare i recettori CB presinaptici inibendo l’ulteriore rilascio di neurotrasmettitori.  Questa azione inibitoria influisce su molti sistemi di neurotrasmissione, e l’evidenza sperimentale suggerisce una azione su: glutammato, GABA, glicina, noradrenalina, serotonina, dopamina, acetilcolina e neuropetpidi.
Chiaramente l’effetto finale dell’azione modulatrice dipende da quali circuiti neuronali saranno influenzati, dato che gli stessi neurotrasmettitori possono avere effetti diversi secondo il contesto di circuiti nel quale stanno operando. Se lo SCE è un sistema modulante generale non specializzato (che ricorda i sistemi a ‘valore’ di Edelman e Tononi 2000), allora il periodo più plastico nello sviluppo del cervello, quello cioè nel quale avviene una selezione neuronale più spinta (periodo fetale e post-natale fino alla preadolescenza), è particolarmente delicato perché pone le basi per la modellazione di base del sistema.  E’ quindi importante non sottovalutare i possibili effetti di un’esposizione a cannabinoidi esogeni in questo periodo.

Un altro possibile ruolo dello SCE, legato all’azione neuroprotettiva ed antiossidante dei cannabinoidi è quello di meccanismo a feedback negativo che sintetizza endocannabinoidi in risposta a flussi cellulari di Ca eccitotossici (da glutammato), funzionando da sistema di prevenzione del danno cerebrale.

La questione dei meccanismi dello SCE è ulteriormente complicata dall’esistenza di alcuni leganti sintetici che hanno dimostrato un effetto agonista inverso (SR 141716A; SR 144528; LY 320135; AM 630).  Questo effetto suggerisce che lo SCE possieda un ‘tono’ che può essere aumentato o diminuito.  L’esatta natura di questo stato ‘tonico’  non è chiara, ed esistono almeno due teorie non mutuamente incompatibili.  Secondo la prima teoria i recettori CB esistebbero in due possibili stati: on e off; lo stato on può attivare il sistema anche in assenza di cannabinoidi, mentre lo stato off non è attivo.  Un antagonista puro e reversibile agirebbe su entrambi gli stati lasciando l’equilibrio generale sostanzialmente inalterato.  Un agonista inverso non sarebbe altro che un agonista con particolare affinità per lo strato off e che sposterebbe quindi l’equilibrio verso questo polo, mentre un agonista puro non sarebbe altro che un agonista con affinità per lo stato on.  Secondo la seconda teoria invece lo stato tonico dello SCE dipenderebbe da un continuo rilascio di endocannabinoidi agonisti il cui effetto potrebbe essere ridotto da antagonisti puri.

Negli ultimi anni la ricerca si è andata concentrando sul metodo di innalzare la vita media degli endocannabinoidi, metodo che potrebbe avere degli effetti importanti su dolore, appetito, infiammazione,  e memoria.

AEA e 2AG vengono infatti rimossi velocemente dallo spazio extracellulare attraverso un sistema di trasporto selettivo, saturabile e mediato da carrier, presente sui neuroni e sugli astrociti.  Una volta all’interno della cellula AEA  e 2AG verrebbero idrolizzate ad acido arachidonico ed etanolamina. Per la AEA la idrolasi è la idrolasi ammidica degli acidi grassi (FAAH),  quella per la 2AG è la monoacilglicerol lipasi (MAGL). Il problema è che mentre sono stati negli anni sviluppati dei composti che vanno a colpire ed inibire il la FAAH e quindi causano un aumento della concentrazione di AEA con riduzione del dolore, fino ad oggi non era possibile fare lo stesso per la MAGL.

Ma il gruppo di ricerca dello Scripps Research Institute, grazie ad una innovativa tecnica di screening (la Activity-Based Protein Profiling) ha scoperto un composto fortemente inibitore della MAGL, il JZL184. Questo composto ha permesso qundi di studiare il ruolo della 2AG, con sorprendenti risultati: l’aumento della 2AG non solo causa riduzione del dolore, ma induce ipotermia e riduzione dei movimenti (nei ratti), suggerendo una segregazione dei compiti tra differenti endocannabinoidi.

L’articolo è Long et al. (2008) Selective blockade of 2-arachidonoylglycerol hydrolysis produces cannabinoid behavioral effects. Nature Chemical Biology, DOI: 10.1038/nchembio.129