Il suino in casa – 1

Dato che ho passato una settimana a fare tisane per il bimbo, ho pensato utile ripassare i basic facts sull’influenza e sulle possibili armi non convenzionali da usare (oppure da non usare). Ed ora ve lo riverso :-).

Intanto iniziamo proprio dall’inizio…

Virus
Oggettini quasi-vivi composti da acido nucleico (DNA o RNA) inserito in un involucro proteico (capside) e in certi casi (virus rivestiti) in una membrana lipoproteica. Le dimensioni vanno da 20 nm a 250-300 nm.

Classificazione virale
I virus possono essere classificati secondo la presenza di DNA o RNA, a singola o doppia elica. Se ne conoscono più di 70 famiglie, 20 negli uomini. A differenza degli organismi superiori, non è possibile costruire un albero genealogico dei virus al di fuori della famiglia, unico raggruppamento naturale che mostri somiglianze di strutture genomiche e geni omologhi.

Influenza
I virus dell’influenza appartengono  (secondo la classificazione di Baltimora) al V gruppo virale, alla famiglia delle Orthomyxoviridae, con RNA a elica singola, senso negativo, con rivestimento lipoproteico.

I virus influenzali che colpiscono l’uomo appartengono a tre serotipi: A, B e C. I virus del tipo C sono relativamente innocui, quelli del tipo B sono abbastanza rischiosi da giustificare la comprensione nella vaccinazione, ma sono quelli di tipo A ad essere responsabili della maggior parte delle infezioni.

Il serotipo del virus è determinato da due proteine di superficie – emaglutinina (H) e neuramminidasi (N) – che permettono al virus di entrare nelle cellule e di passare da cellula a cellula. In particolare la  emmaglutinina è necessaria sia per l’aggancio alla parete cellulare sia per la fusione. La emmaglutinina ha bisogno di essere “spezzata” da un enzima per funzionare nella fusione, e nell’uomo normalmente l’unico luogo dove questo enzima è presente è il tessuto polmonare.
Ci sono 16 sottotipi H e 9 N, che possono dare 144 serotipi HN, dei quali solo tre (H1N1, H2N2 e H3N2) sono stati osservati essere perfettamente adattati all’uomo, mentre combinazioni quali quella responsabile per la “aviaria” (ovvero la H5N1), possono infettare l’uomo occasionalmente ma sono virus aviari (naturalmente H5N1 potrebbe evolversi in una nuova pandemia se divenisse trasmissibile perfettamente tra uomo e uomo).

Ogni anno i virus del tipo A modificano leggermente le proprie proprietà antigeniche, in quello che si chiama il drift antigenico. Ma per tre volte nel XX secolo è stato osservato il cosiddetto shift antigenico, ovvero una modificazione radicale delle proprietà antigeniche con cambiamento del serotipi e quindi insorgenza di nuove pandemie.

1918
Dalla preesistente riserva genetica naturale del virus, gli uccelli acquatici, nel 1918 emerse (si adattò al nuovo ospite) il ceppo H1N1 che causò all’inizio (in primavera) una crisi di problemi respiratori di lieve entità, chiamata la “febbre dei tre giorni”, nella milizia di Fort Funston, in Kansas (ed una concomitante epidemia nei maiali nordamericani), da dove raggiunse altre basi militari negli Stati Uniti e quindi l’Europa. Questa prima ondata causò pochi decessi e la maggior parte degli infetti recuperò in pochi giorni. Essa fu seguita da una seconda “ondata” nell’agosto dello stesso anno, sempre di lieve entità anche se maggiore delle normali influenze stagionali (mortalità del 2.5% rispetto al normale 0.1%), che raggiunse il picco in settembre e novembre.

Nella primavera del 1919 si ebbe la terza (seconda secondo alcuni) ondata, e la situazione mutò gravemente dal punto di vista epidemiologico. La famigerata “spagnola” sembrava avere caratteristiche molto diverse: alcune vittime morirono nel giro di poche ore, ed erano suscettibili tutti i gruppi di età, dai più giovani agli adulti agli anziani. Colpì sia aree rurali sia cittadine, interessando, secondo alcune stime, 1/5 della popolazione mondiale ed uccidendo 50 milioni di persone.  Il virus era mutato, diventando più virulento?   In assenza di dati da comparare per accertare variazioni geno- o fenotipiche (l’unico ceppo di virus della H1N1 del 1918, ottenuto da tessuto polmonare appartenente ad un cadavere riesumato che era rimasto congelato nell’artico, era dell’ondata autunnale) è difficile dirlo con  certezza; i dati sulla mortalità (5% nella ondata primaverile, 60% in quella di novembre) sembrano supportare l’idea dell’aumentata virulenza, ma ci sono altri possibili fattori, o cofattori: le condizioni ambientali invernali (aria fredda, maggior presenza di pneumococchi e staffilococchi), la situazione di guerra (maggioro promiscuità), la copresenza di altri agenti virali patogeni, e differenza delle popolazioni colpite.

Certo è che il virus H1N1 riesumato del 1918 è diverso da quello delle H1N1 stagionali odierne: ha l’abilità di replicarsi in assenza di tripsina (ovvero la sua emmaglutinina può essere spezzata da proteasi ubiquitarie e non solo da quelle presenti nel tessuto polmonare) e mostra un fenotipo molto aggressivo nella crescita nelle cellule dell’epitelio polmonare umano, ed è in grado di uccidere i ratti infettati.

1957
Nel 1957 avvenne il primo shift genetico conosciuto (teniamo presente che la prima caratterizzazione dei serotipi era avvenuta solo negli anni 30) che portò alla comparsa del serotipo H2N2 (derivante da una ricombinazione: 3 segmenti da virus aviario e 5 da H1N1) che causò la cosiddetta pandemia “Asiatica” che apparentemente eliminò H1N1.

1968
Nell’estate del 1968 avvenne il secondo shift genetico conosciuto che portò alla comparsa in Asia del sud di H3N2 (2 segmenti da virus aviari) e alla influenza di Hong Kong, che eliminò H2N2 e che fu responsabile di sporadici casi da settembre a dicembre negli Stati Uniti, in Inghilterra ed in Giappone. L’epidemia nell’emisfero settentrionale finì in aprile del 1969, mentre in Australia iniziò a gennaio dello stesso anno, scomparve in ottobre e ritornò nel giugno del 1970.

1976
Nel febbraio del 1976 si ha la riemergenza di un ceppo di H1N1 (che teoricamente doveva essere stato eliminato dalla comparsa di H2N2) simile a quello del 1918, nella milizia di Fort Dix, dove causò il decesso di un soldato.  Molto velocemente (forse troppo velocemente?) il governo americano organizzò una vaccinazione di massa che raggiunse 48 milioni di americani, nonostante che il virus rimanesse limitato all’area di Fort Dix e sparisse molto velocemente (solo un ceppo collegato e poco virulento rimase presente fino a marzo). La vaccinazione venne sospesa dopo 532 casi di paralisi da sindrome di Guillain-Barré e 25 decessi apparentemente legati alle vaccinazioni. La vaccinazione causò cioè quindi più morti del virus (ma il virus non era veramene presente nella popolazione, che ricevette una cura inutile).

Il virus era così simile al virus H1N1 pre-1950 da far pensare ad un vero e proprio “congelamento” del ceppo. La riemergenza di H1N1 non eliminò H3N2 perché non era una novità per i soggetti di età maggiore di 20 anni, che avevano avuto la possibilità di incontrarlo prima del 1957, e quindi dal 1977 (ma alcuni autori ritengono fino dal 1918) ci sono due serotipi di influenza A circolanti, H1N1 e H3N2.

L’influenza H1N1 2009
La comparsa della nuova H1N1 rinforza l’opinione di alcuni autori che dal 1918 in poi siamo vissuti in un era pandemica dominata da H1N1, che continua a ritornare come una dinastia virale. Infatti, nonostante le iniziali affermazioni che si trattasse di un virus suino passato all’uomo, sappiamo che la nuova pandemia deriva da un virus H1N1 che include geni aviari, umani e suini. In effetti, il dato osservato che la virulenza del virus sia decresciuta con l’espandersi dell’area infetta si spiegherebbe bene con il fatto che esistono nella popolazione (in particolare in un terzo dei soggetti over 60) anticorpi preesistenti contro il virus, derivanti dall’immunizzazione o l’incontro con l’influenza stagionale.
E’ interessante, notano vari autori, il fatto che gli anticorpi prodotti da precedenti virus H1N1 non hanno dato protezione crociata dal H1N1 2009, forse perché gli epitopi del H1N1 2009 invece di stimolare la prodizione di anticorpi producono una risposta immunitaria cellulo-mediata, tramite cellule T citotossiche e sostanze chimiche tossiche.

From schemi

Attività antivirale

La strategia è quella di interferire con l’abilità del virus di penetrare la cellula bersaglio. Il virus passa attraverso vari passaggi per penetrare: legame a recettori di superficie cellulare grazie all’antirecettore emagglutinina, che si lega alla glicoproteina con l’acido neuramminico; fusione dell’involucro lipoproteico; adsorbimento; penetrazione; denudamento; rilascio dei contenuti all’interno della cellula. La neuraminidasi (N) serve a sciogliere il legame tra H e glicoproteine della membrana cellulare, sia nel caso che la penetrazione non abbia successo, sia quando il virus replicato debba lasciare la cellula bersaglio.

Interferire con l’attacco alla cellula
Gli agenti usati al momento per interferire con queste fasi possono mimare la proteina associata al virus (VAP) e legarsi ai recettori virali; possono mimare il recettore cellulare e legarsi al VAP. Sono però strategie molto costose da sviluppare.
Altri agenti possono inibire la penetrazione e/o il denudamento (Amantadina e Rimantadina per l’influenza, Pleconaril per i rinovirus del raffreddore e vari enterovirus)

Intervento durante la sintesi virale.
Un secondo approccio è quello di mirare ai processi che sintetizzano le componenti virali dopo l’invasione del virus stesso. Un modo tipico per farlo è inibire la trascrittasi inversa, l’enzima che sintetizza la trascrizione da RNA a DNA (acyclovir per HSV, AZT per HIV, Lamivudina per HBV). Un altro modo è quello di bloccare la fase di trascrizione di mRNA (necessario per la sintesi proteica), oppure la fase di traduzione.

Approccio diverso è quello di inibire la proteasi, un enzima che taglia le catene proteiche virali perché possano poi assemblarsi nella configurazione finale, oppure di inibire del tutto l’assemblaggio (come la Rifampicina).

Rilascio
L’ultima fase del ciclo virale è il rilascio del virus completo dalla cellula. Alcuni farmaci antiinfluenzali (Zanamavir, Oseltamivir) impediscono il rilascio virale bloccando la neuraminidasi.

Virus e resistenza
Sia i farmaci antivirali (acyclovir) sia i vaccini possono causare insorgenza di resistenza nei virus. Questa seconda resistenza è la meno conosciuta. Vediamo qualche sempio di resistenza ai vaccini:

  • Virus dell’epatite B: la vaccinazione è iniziata nei primi anni 80. Il vaccino contiene un antigene ricombinante di superficie, ed il determinante a è il target primario degli anticorpi. Nel 1990 è emerso il primo caso di sostituzione nel gene S codificante per a, e negli anni si è evidenziato il fatto che la frequenza della resistenza aumenta la individui vaccinati.
  • Influenza aviaria (H5N2) nei polli. Continuano ad emergere nuove linee virali resistenti.
  • Malattia di Marek, causata dal virus dell’Herpes nei polli. Le prime vaccinazioni sono iniziate negli anni 60, e la prima campagna è stata di successo; già la seconda campagna (negli anni 70) non è risultata più sufficiente ad assicurare una copertura paragonabile alla prima. La seconda generazione di vaccini, negli anni 80, è risultata insufficiente dopo pochi anni. La terza generazione è uscita negli anni 90.
  • Infectuous Bursal Disease (IBD) nei polli, causato da un birnavirus. La vaccinazione è fallita.

Perchè falliscono?
Le “nuove” malattie virali sono molto differenti dalle prime (ad esempio le esantematiche), classici esempi del successo delle vaccinazioni. Nelle nuove malattie i ceppi virali sono capaci di operare anche in soggetti vaccinati, e la vaccinazione non è sterilizzante, non dura per tutta la vita e non è indipendente dai ceppi virali.
L’adattamento dei virus dipende certamente da meccanismi classici quali l’evoluzione degli epitopi e della virulenza, e in secondo grado da aumento della capacità immunosoppressiva, dall’aumento nella produzione di molecole smokescreen, dalla modificazione delle variazioni antigeniche, dalla modificazione del tropismo tessutale e dall’attivazione di vie di penetrazione alternative.
Il futuro è incerto e la scelta di usare target sempre più specifici nei virus può portare a conseguenze inaspettate e non prevedibili.

E ora passiamo alle strategie dello stregone. Iniziando dall’approccio a mio parere meno interessante da un punto di vista strettamente fitoterapico, ovvero l’azione direttamente virucida o virustatica degli olii essenziai.  Più avanti esamineremo altre opzioni


Attività antimicrobica

E’ indubbio che l’attività antimicrobica degli olii essenziali (OE) sia quella con più supporto sperimentale. Il fatto che gli OE possiedano proprietà antinfettive, in particolare antimicotiche, concorda inoltre con le nostre conoscenze riguardo le funzioni di queste sostanze nelle piante, come difesa da infezioni secondarie a lesioni dovute all’azione degli erbivori..
Se quest’attività è data ormai per scontata, bisogna sottolineare come la maggior parte degli studi sia stata effettuata in vitro, e di come esistano ancora pochi studi clinici di buona qualità.
Il volume di dati sull’attività antimicrobica resta, comunque, significativo; sono stati testati molti e diversi patogeni: virus animali e vegetali, funghi micotossigeni, lieviti patogeni, differenti ceppi batterici, amebe.

Olii essenziali antivirali
Se tra gli olii specificamente virucidi troviamo spesso olii genericamente antinfettivi, come per esempio quelli con alto tenore in fenoli o eteri fenoliche (Cinnamomum zeylanicum cortex, Origanum hirtum, Thymus vulgaris, Lippia origanoides, Syzygium aromaticum), o ad alcoli (Zingiber officinale, Melaleuca alternifolia, Mentha x piperita, Santalum album, Cymbopogon martinii), emergono anche olii diversi dal solito, come Salvia officinalis, Hyssopus spp., Artemisia vulgaris, Laurus nobilis. In particolare sembra che la presenza di citrali sia importante per la attività antivirale (come Cymbopogon spp., Melissa officinalis). Vi sono poi olii essenziali interessanti ma molto poco studiati, come Santolina insularis, Heracleum spp., Artemisia arborescens, Cynanchum stauntonii, Salvia fruticosa, Minthostachys verticillata.

Qualche dettaglio: OE attivi sui virus influenzali

L’olio essenziale di varie specie di Heracleum hanno mostrato attività virucida in vitro sul virus dell’influenza.
L’olio essenziale di Houttuynia cordata e le molecole metil n-nonil chetone, lauril aldeide, e capril aldeide sono risultati virucidi, in vitro, sui virus dell’herpes simplex 1, dell’influenza e dell’HIV-1, in maniera tempo dipendente.
L’olio essenziale di radice di Cynanchum stauntonii (Ascelpiadaceae), i cui composti principali sono (E,E)-2,4-decadienal, 3-etil-4-metilpentanolo, 5-pentll-3H-furan-2-one, (E,Z)-2,4-decadienale e 2(3H)-furanone, diidro-5-pentile, è attivo in vitro sul virus dell’influenza con IC50s = 64 μg/ml. In un esperimento in vivo su modelli animali ha ridotto i decessi da influenza in maniera dose dipendente.

La trans-cinnamaldeide, uno dei principali composti dell’olio essenziale da corteccia di Cinnamomum zeylanicum e C. cassia,  ha mostrato attività in vivo ed in vitro sul virus dell’influenza A/PR/8. Incubato a 40 μM con cellule di rene di cane preinfettate, ha ottenuto il massimo  del controllo dell’infezione (29.7%) se somministrato 3 ore dopo l’infezione, e  ha inibito la crescita del virus in maniera dose dipendente da 20 a 200 μM, quando il virus non è stato più individuabile.
Nei topi infettati con il virus PR-8 virus l’inalazione di 50 mg/gabbia/giorno ha aumentato la sopravvivenza in 8 giorni del 100% (rispetto al 20% dei controlli), ed ha grandemente ridotto la presenza virale nel fluido di lavaggio broncoalveolare dopo 6 giorni.
L’olio essenziale di Melaleuca alternifolia ed alcuni dei composti in esso contenuti (soprattutto terpinen-4-olo, ma anche α-terpinene, γ-terpinene, p-cimene, terpinolene e α-terpineolo) hanno mostrato attività inibitoria sulla replicazione del virus dell’influenza A/PR/8 virus H1N1 a dosi minori di quella citotossica (ID50 = 0·0006% e CD50 = 0·025%, indice di specificità 41,6). L’effetto su HSV-1 ed HSV-2 è stato molto minore (CD50 = 0·125%).
La propoli (non un olio essenziale ma rilevate comunque, potendo funzionare da resina veicolo) è risultata attiva sul virus dell’influenza aviaria.

Attività su altri virus
L’olio essenziale di Artemisia arborescens è risultato efficace su HSV-1 (del 50% a dosi di 2.4 microg/ml, dell’80% a dosid di 5.6 microg/ml) e -2 (del 50% a dosi di 4.1 microg/ml, dell’80% a dosi di 7.3 microg/ml) con azione direttamente virucida e inibente il passaggio da cellula a cellula e a dosi molto più basse di altri olii essenziali.

In uno studio recente gli olii essenziali di zenzero, sandalo, timo e issopo si sono dimostrati efficaci su herpes virus 1.
L’olio di Santolina insularis e di Melissa officinalis sono attivi su HSV-1 e -2. In particolare l’OE di melissa ha mostrato IC50 = 0.0004% ed inibizione del 98.8% per HSV-1, e IC50 = 0.00008% ed inibizione del 97.2% per HSV-2. L’OE di melissa agisce sul virus prima della penetrazione della cellula, ma non dopo.
L’olio essenziale di Salvia fruticosa ha mostrato una elevata attività virucida su HSV-1, e i diterpeni di Salvia officinalis mostrato attività antivirali.
L’olio essenziale di Myntostachys verticillata ha inibito sia HSV-1 sia il virus della pesudorabbia.
L’olio essenziale di eucalipto (non meglio specificato) ha ridotto del 57.9-75.4% i livelli di HSV.
L’olio essenziale di Laurus nobilis e i suoi composti beta-ocimene, 1,8-cineolo, alfa- e beta-pinene hanno mostrato attività antierpetica con IC50 = 120microg/ml e un indice di selettività pari a 4.16.
Altri olii attivi sono genericamente la Mentha xpiperita e l’Origanum vulgare.
Gli OE di Artemisia douglasiana e Eupatorium patens sono risultati attivi su HVS-1 e Dengue 2.
L’OE di Cymbopogon citratus è risultato attivo su HSV-1, con il 100% di inibizione a conc. di 0.1%, dell’80% a 0.05% e del 50% a 0.005%. Anche gli OE di Rosmarinus officinalis ed Eucalyptus globulus sono risultati interessanti, seppure non così attivi, causando inattivazione delle particelle virali.
Gli OE di Lippia alba, Lippia origanoides, Origanum vulgare e Artemisia vulgaris sono attivi sul virus della febbre gialla, con MIC di 3.7 microg/ml per i primi tre e di 11.1 microg/ml per l’ultimo.

Composti attivi e meccanismi d’azione.
Vari studi hanno identificato gli OE con molecole che portano un gruppo idrossilico, ovvero alcoli, fenoli ed eteri fenoliche, come quelli più attivi.  In ricerche effettuate sugli effetti antimicotici delle molecole degli OE, le più attive si sono dimostrate quelle con un gruppo idrossilico legato ad un sostituente alchilico (fenoli come carvacrolo, timolo, iso-eugenolo ed eugenolo e aldeidi aromatiche come cinnamaldeide).

Attualmente l’ipotesi principale sui meccanismi d’azione è che l’attività antimicrobica vada di pari passo con l’attività citotossica e che quindi condivida lo stesso meccanismo, in altre parole una reazione associata alla membrana. Anche il legame tra attività antisettica e gruppi idrossi fenolici supporta quest’ipotesi, vista la riconosciuta attività dei fenoli a livello cellulare, con denaturazione di proteine batteriche o alterazione della membrana citoplasmatica.

I fenoli e le eteri fenoliche agirebbero sulla struttura e funzionalità della membrana cellulare, strato polisaccaridico (in G-), e parete cellulare, causando lesione drammatica e morte. Altri composti (forse gli alcoli) indebolirebbero solo la membrana senza causare lisi, stimolano il rilascio di enzimi autolitici, con lesione subletale e perdita delle capacità regolatoria e forse una azione mitocondriale.

Nei virus gli OE sembrano nella quasi totalità agire nella fase subito precedente alla penetrazione, molto poco  nelle fasi di replicazione, e poco nella fase di replicazione e passaggio da cellula a cellula. Per queste ragioni si ipotizza che il meccanismo di azione sia quello della interferenza con l’involucro virale, con disturbo delle strutture del virione necessarie per la penetrazione della cellula, o forse la dissoluzione della capsula del virus (l’OE di origano ad esempio la distrugge). Il fatto che il meccanismo si adifferente da quello tipico degli antivirali di sintesi spiegherebbe il fatto che spesso questi OE sian attivi anche su ceppi resistenti ad acyclovir.

Ci sono però delle interessanti eccezioni, ad esempi il già citato OE di Santolina insularis agisce su HSV inibendo la trasmissione da cellula a cellula; gli OE di Melaleuca alternifolia e di Eucalyptus globulus sembrano agire sul virus dell’herpes sia prima sia durante la penetrazione; la cinnamaldeide sembra fare eccezione poiché inibisce la sintesi proteica virale a livello post trascrizionale.

From schemi

Molto interessante l’osservazione fatta da molti ricercatori che l’azione degli OE sui patogeni non varia molto tra ceppi da laboratorio e ceppi selvaggi.  Questo sembrerebbe supportare l’idea che i patogeni non abbiano sviluppato una resistenza agli OE come hanno invece fatto per quanto riguarda molti antibiotici.  E questo nonostante gli OE siano parte della biosfera da moltissimo tempo, e siano stati sicuramente coinvolti in processi d’adattamento di tipo evolutivo. E’ ipotizzabile che la ragione del mancato sviluppo della resistenza sia la complessità degli OE e del loro meccanismo d’azione con punti d’attacco a diversi livelli della membrana cellulare; questo renderebbe più difficile l’attivarsi di meccanismi di resistenza, o quantomeno di quelli di tipo one-step.

(continua)

Tidbits

Flora batterica intestinale e salute del sistema immunitario.
In un articolo pubblicato oggi su Nature, alcuni ricercatori australiani hanno esaminato i meccanismi alla base dell’influenza della dieta sulla flora batterica intestinale e sulla funzionalità del sistema immunitario.

Sappiamo già molto sul fato ed il ruolo delle fibre insolubili una volta ingerite, sulla loro funzione di lassativi di massa, di spazzini, e della loro trasformazione batterica nel colon in acidi grassi a catena corta che possono essere assorbiti o agire localmente come antinfiammatori e anticolitici (e qui, e qui, e poi qui).

Più complessa è la faccenduola quando si tenta di capire perché questi cosiddetti prebiotici (ed i probiotici come i fermenti lattici) agiscano anche su patologie infiammatorie ed autoimmuni (o coinvolgenti il sistema immunitario) sistemiche come asma, diabete tipo 1, artrite reumatoide, eczema, ecc.

Qualche idea la si aveva, naturalmente, ma lo studio in pubblicazione aiuta a rivelare i meccanismi a livello molecolare (almeno nei topi). Uno dei recettori presenti alla superficie delle cellule del sistema immunitario (una proteina chiamata GPR43), che si lega agli acidi grassi a catena corta, sembra fungere da recettore antinfiammatorio, ed a regolare quindi la risposta proinfiammatoria. Sempre questo studio sottolinea che non è soltanto la presenza di acidi grassi a catena corta ad essere importante per la modulazione immunitaria, ma anche la salute ed il tipo di flora batterica presente, e che queste due variabili sono in realtà interconnesse, nel senso che cambiamento di dieta modificano la flora batterica, la quale a sua volta cambia il modo in cui noi utilizziamo le fibre insolubili della dieta.

Questo dato, di per se non rivoluzionario dal punto di vista clinico per chi già riconosceva l’importanza della dieta nella salute, è però importante come passaggio verso una maggior comprensione dei meccanismi interconnessi dell’organismo, e mi rafforza nella mia idea di clinico che prima di iniziare una terapia a base di piante (le cui molecole sono spesso modificate nel colon) è necessario valutare e se necessario intervenire sulla salute del colon.

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Cibo, piante medicinali e malato oncologico

Ecco l’ultima e definitiva versione del programma della due giorni milanese di cui ho già parlato qui.
Programma definitivo

Giornate interessanti…

Dopo tanto sforzo organizzativo, ecco la pubblicazione del programma definitivo (qui) delle due giornate di studio su piante medicinali e alimentazione per il malato oncologico, volute dal Gruppo Me.Te.C.O. dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano.

Le due giornate, indirizzate a medici e farmacisti (probabilmente valevoli per punteggio ECM, controllare qui) si terranno il 22 e 23 Aprile presso l’aula A della Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Nazionale Tumori di Milano, Via Venezian 1 – Milano.

Durante le due giornate si confronteranno presentazioni teoriche su benefici e rischi dell’assunzione di piante e derivati nel malato oncologico, e presentazioni di casi clinici, con ampio spazio per la discussione ed il confronto di esperienze. Le piante che verranno discusse in maniera monografica sono: Hypericum perforatum, Curcuma longa, Aloe vera, Calendula officinalis, Arnica montana e Viscum album.

Dalla presentazione:

“Spesso il malato oncologico fa uso di prodotti a base di piante medicinali che, per vari motivi, non viene comunicata all’oncologo medico. E’ pertanto opportuno che questo argomento venga affrontato e approfondito in modo rigoroso.
In considerazione della grande attenzione che l’Istituto Tumori di Milano ha sempre posto al malato, il 6 giugno del 1998 abbiamo costituito, all’interno dell’Istituto stesso il Gruppo di Studio pluridisciplinare sulle Medicine e Terapie Complementari in Oncologia denominato Me.Te.C.O.
Al gruppo Me.Te.C.O., vincitore del Premio Tiziano Terzani 2008 per l’Umanizzazione della Medicina, sono state attribuite due finalità principali, una culturale legata all’aggiornamento sulle terapia Complementari, l’altra clinica, allo scopo di approfondire, sul piano scientifico, alcune delle Terapie Complementari principalmente per valutarne l’efficacia nel ridurre gli effetti collaterali delel Terapie Oncologiche.
Mi auguro che tale iniziativa possa, in modo rigoroso, offrire dati e risultati utili ad una corretta pratica clinica.”
Dott. Alberto Scanni Direttore Generale

“Nell’ambito delle attività scientifiche e culturali del Gruppo di Studio Me.Te.C.O. (Medicine e Terapie Complementari in Oncologia) della Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Nazionale Tumori di Milano, in accordo con la Prof.ssa Enrica Bosisio, Centro di Studi e Ricerche sulla caratterizzazione e sicurezza d’uso di prodotti naturali “Giovanni Galli”, Università degli Studi di Milano, si terranno presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano, due giornate di studio su Fitoterapia e integrazione alimentare nel malato oncologico., Lo scopo di queste due giornate è di portare l’attenzione di farmacisti e medici, sugli aspetti relativi all’uso delle piante medicinali in campo oncologico.”
Dott. Alberto Laffranchi Coordinatore scientifico Gruppo Me.Te.C.O.


Per chi volesse dare un’occhiata senza scaricare, ecco la brochure:

Curcuma, curcuminoidi e tumori

Prendendo idealmente lo spunto dal post di Meristemi, e approfittando della necessità di (ogni tanto) mettere mano alle monografie del buon vecchio infoerbe, ecco una breve rivista delle novità sulle influenze della Curcuma sui processi tumorali.

Buona lettura!

Dati sperimentali
La curcuma (ed i curcuminoidi) mostrano una serie di attività che li rendono molto interessanti come potenziali rimedi antitumorali, sia in senso chemiopreventivo che in senso direttamente terapeutico: attività antiossidante, antinfiammatoria, proapoptotica e antiangiogenetica (Iqbal et al. 2003).

Sembra che la curcumina agisca come antiniziatore ma in qualche caso agisce come antipromotore, ed ha mostrato queste attività in modelli carcinogenici preclinici di tumore del colon, del duodeno, dello stomaco, del seno, orale and sebaceo. Nonostante i risultati siano stati ottenuti su modelli animali, la curcumina è attiva in molti modelli diversi tra di loro e i dosaggi sono paragonabili a quelli utilizzati dagli esseri umani, per cui i risultati sono probabilmente ad un livello di generalizzabilità abbastanza buono, e certamente questi risultati costituiscono una euristica molto forte.

Metabolismo epatico

La curcumina inibisce l’iniziazione tumorale degli epatotossici e dei carcinogeni in vari modelli animali; diminuisce in vitro la mutagenicità della capsaicina e degli estratti del Peperoncino in maniera dose-dipendente (pari alla Vit. E), inibisce l’iniziazione tumorale indotta dai prodotti di condensazione, del tabacco, del benzo[a]pirene e dal 7,12 dimetilbenz[a]antracene (Huang et al 1992), e la promozione indotta dagli esteri del forbolo (Conney et al 1991; Huang et al 1998). Questo in presenza di omogenato di fegato, mentre in assenza dell’omogenato non riduce la mutagenicità della streptozocina.
La pianta è detossificante epatica e chemiopreventiva della carcinogenesi mediante alterazione dei processi di attivazione e/o detossificazione nel metabolismo dei carcinogeni. I curcuminoidi prevengono i metaboliti del benzo-alfa-pirene dal formare addotti con il DNA e inibiscono la tossicità epatica indotta dalle aflatossine (Bengmark 2006; Nishino et al 2004; Maheshwari et al 2006).

Potenzialmente la curcumina può interferire con tutte e tre le fasi del metabolismo dei farmaci. Dosaggi orali di Curcuma (come anche la curcumina per via orale) in modelli animali causano:

Fase I: inibizione da debole a moderata della induzione e della attività degli isoenzimi del P450 1B1, 1B2 e 2E1, e inibizione più potente di 1A1 e 1A2, tutti isoenzimi collegati al metabolismo dei carcinogeni, inclusi gli idrocarburi policiclici aromatici (Thapliyal et al. 2001; Thapliyal et al. 2001; Oetari et al. 1996). In uno studio (Raucy 2003) su epatociti umani la curcuma non ha mostrato alcuna influenza sul P450 3A4, suggerendo che siano molto ridotti i rischi di interazione con i molto farmaci substrato di questo isoenzima.

Fase II: induzione della GST (glutatione-S-transferasi) ed aumento del glutatione ridotto intracellulare.

Rinaldi et al (Rinaldi et al. 2002) hanno testato la curcumina sulle cellule della mucosa orale umana e su cellule di carcinoma a cellule squamose orale ha mostrato la traslocazione nucleare del recettore aril idrocarburo (AhR), un processo che porta all’attivazione degli enzimi di Fase I e II, sensibili a AhR, metabolizzanti i carcinogeni, e alla riduzione della bioattivazione dei carcinogeni.

Fase III: effetti inibitori sulla glicoproteina-P (P-gp) in varie linee cellulari (Zhou et al. 2004; Nabekura et al. 2005) Secondo Anuchapreeda et al (Anuchapreeda et al. 2002) il pretrattamento con Curcumina-I di cellule di carcinoma ella cervice umane (KB-VI) fino a 72 ore ha ridsotto l’espressione del gene MDR1. La curcumina-I ha anche ridotto l’efflusso della rodamina-123 da queste cellule, ma non ha avuto effetto sulle cellule wild-type (KB-3) che non esprimono livelli esagerati di P-gp. La sensibilità alla vinblastina (Chearwae et al. 2004) e della daunorubicina (Venkatesan et al. 1997) della linea cellulare omologa ma resistente ai farmaci KN-VI è stata aumentata dalla curcumina-I.

I dati in vitro sono di difficile valutazione e generalizzazione anche a causa della bassa biodisponibilità della curcuma.

Azione protettiva
La curcumina protegge dal danno al DNA dei leucociti causato dai gas di scarico. L’1% nella dieta riduce l’incidenza dei tumori allo stomaco BAP-indotti e dei tumori spontanei alla mammella. Non ha invece effetto sulla frequenza delle irregolarità mitotiche in cellule invase da virus né inibisce il danno nucleare indotto da BAP a livello intestinale.

La somministrazione orale ad ratti e topi ha inibito la carcinogenesi cutanea, orale, duodenale, del colon e della lingua (Azuin, Bhide 1992; Azuine, Bhide 1994; Huang et al. 1994; Rao et al. 1995). La curcumina ha anche dimostrato di ridurre i livelli di mutageni urinari.

A livello topico, la curcumina diminuisce la promozione tumorale di TPA sulla pelle, come si poteva sospettare vista la sua attività antiinfiammatoria e anti LOX/COX.
Ha attività antiangiogenetica e proapoptotica (Duvoix 2005, Aggarwal 2003; Hemaiswarya 2006; D’Incalci et al. 2005).
La curcumina e soprattutto i suoi vari analoghi di sintesi mostrano una interessante attività contro i recettori degli androgeni nel tessuto prostatico, suggerendo una possibile attività sul tumore alla prostata.

La combinazione di cisplatina e curcumina su preparazioni di fegato e rene di ratti con fibrosarcoma sperimentalmente indotto è stata più efficace nel ridurre i marker tumorali rispetto alla cisplartina da sola, ed il pretrattamento con curcumina di una linea cellulare di carcinoma epatocellulare che esprime esageratamente Nf-kB ha aumentato l’effetto della cisplatina sull’apoptosi (Navis et al. 1999).

Meccanismi ipotizzati
I curcuminoidi mostrano di esercitare la loro azione su molteplici target attraverso molteplici meccanismi di azione (Duvoix et al. 2005; Aggarwal et al 2003; Hemaiswarya, Doble 2006), insomma di essere un rimedio multitasking che agisce ai vari livelli di iniziazione, promozione, progressione e disseminazione tumorale (Duvoix et al 2005). Per la curcumina vale forse la pena di usare il termine di xenormetico pleiotropico, che sembrerebbe agire contemporaneamente riducendo l’infiammazione cronica (rapporto NF-kN e Nrf2), inibendo la neoangiogenesi, inducendo l’apoptosi o più in generale la morte cellulare, ed agendo direttamente ed indirettamente (metabolismo carcinogeni) sui carcinogeni.

Riassumendo (Aggarwal et al. 2003), la curcumina:

  • downregola i fattori di trascrizione che coordinano la crescita cellulare, la proliferazione, la differenziazione, i processi infiammatori ed angiogenetici e l’apoptosi: in particolare il Nrf2 (nuclear factor-erythroid-2-related factor 2), il mediatore dell’induzione dei geni che codificano per molti enzimi di risposta allo stress e citoprotettivi, e che regolano la detossificazione di Fase II e i meccanismi antiossiodanti, il fattore nucleare kB (NF-kB) legato ai processi infiammatori e la proteina attivante 1 (AP-1) (Aggarwal et al. 2005; Chainani-Wu 2003; Aggarwal et al. 2004).
  • downregola c-Jun N-terminal chinasi, PTK e PKC
  • downregola i recettori dei fattori di crescita endoteliale VEGF, EGFR e HER2
  • downregola l’espressione di LOX e COX-2, della iNOS, della MMP 9 (metalloproteinasi di matrice 9), CSA, TNF-alfa, varie chemochine, ciclina D1, dell’attivatore del plasmogeno tipo urochinasi (uPA), le molecole di adesione superficiale (cell surface adhesion molecules)
  • induce la detossificazione di Fase I (P450), di Fase II (induzione GST) e di Fase III (induzione P-gp)
  • Previene gli addotti del DNA e l’epatotossicità aflatossine

Angiogenesi (Yance, Sagar 2006, e questo, e anche questo)
Il microtumore esprime vari fattori proangiogenetici in direzione della rete capillare; questi fattori contribuiscono alla dissoluzione della membrana basale del vaso più vicino, ed inducono la creazione di nuovi abbozzi di vasi nella direzione del tumore (fattori di chemiotassi), la formazione di un lume e quindi la vascolarizzazione interna del microtumore.

Poter intervenire su questo passaggio riveste quindi importanza terapeutica (nel senso che possiamo bloccare i passaggi di progressione tumorale) ma anche preventiva, perchè vari fattori proangiogenetici sono legati a processi infiammatori che sono anche protumorali.

I meccanismi responsabili per l’angiogenesi tumorale non sono ancora stati delucidati completamente, ma si propone uno schema semplificativo.

Le cellule endoteliali giocano un ruolo importante nella neovascolarizzazione dei tumori indotta dai microtumori. Da questo punto di vista il fattore prossimale più importante per l’angiogenesi è il fattore di crescita endoteliale vascolare [vascular entothelial growth factor (VEGF)]. Il VEGF è un dei fattori di aumento della permeabilità vascolare e della promozione della metastasi più importanti e potenti. Su di esso agiscono vari fattori proinfiammatori e proangiogenetici come il NO e le prostaglandine, ma anche il TNF-α.
La stabilità e coerenza della matrice extracellulare è un’altro dei fattori fondamentali di controllo dell’angiogenesi, dato che per poter vascolarizzare un tumore è necessario che la matrice extracellulare perda di coerenza e permetta la diffusione di vari fattori e la crescita del nuovo vaso.
Anche le condizioni di ipossia sono favorevoli al processo di angiogenesi. In condizioni di normossia il fattore inducibile da ipossia [Hypoxia-inducible Factor 1 (HIF-1)] viene degradato, ma in condizioni di ipossia viene degradato di meno ed è quindi libero di interagire con altri cofattori e stimolare l’angiogenesi. Dato che il microtumore è, prima della vascolarizzazione, ipossico, in esso vengono espressi vari cofattori angiogenetici.

Uno dei punto di snodo fondamentali che unisce questi processi sono le attività del fattore nucleare kappa B (NF-kB) e della proteina attivatrice-1 (AP-1), due fattori di trascrizione genica (sempre in eccesso nelle cellule tumorali) fondamentali nella risposta proinfiammatoria LPS-indotta. Essi controllano molte attività cellulari: l’NF-kB media l’attività immunitaria, l’infiammazione, le collagenasi e la proliferazione cellulare, e l’AP-1 soprattutto la proliferazione cellulare. Di particolare interesse il legame tra NF-kB ed infiammazione, perchè questa facilita l’angiogenesi, l’invasione e le metastasi, e d’altro canto è un importante fattore protumorale.

A loro volta NF-kB e AP-1 mediano l’espressione di iNOS (e quindi la produzione di NO), di COX (e quindi le prostaglandine) ed il TNF-α. Questi fattori proinfiammatori, sommati all’azione dell’ipossia tramite HIF-1 e AP-1 e vari altri cofattori, inducono l’espressione di VEGF e aumentano l’infiammazione. La VEGF a sua volta, causa una cascata metabolica che porta ad una degradrazione della matrice extracellulare, alla proliferazione endoteliale ed in definitiva all’angiogenesi.

La curcuma ed i curcuminoidi agiscono sul processo di angiogenesi tumorale tramite processi multipli ed interdipendenti. Esaminati secondo lo schema proposto, essi includono:

  1. azione a livello dei fattori di trascrizione Nf-kB (fattore nucleare kB) e della AP-1 (proteina attivatrice-1), legati ai processi infiammatori, e l’Egr-1 (questa azione ha attenuato l’espressione della IL-8 in linee cellulari ed ha evitato l’induzione della sintesi di VEGF)
  2. inibizione dell’angiogenesi mediata dall’ossido nitrico e dall’iNOS
  3. inibizione dell’espressione di COX-2 e LOX
  4. azione a livello di fattori angiogenetici: il fattore di crescita endoteliale vascolare [VEGF], principale fattore di migrazione, gemmazione, sopravvivenza, e proliferazione durante l’angiogenesi, e il fattore di crescita basilare dei fibroblasti [bFGF]
  5. azione a livello della stabilità e della coerenza della matrice extracellulare (ECM), con downregolazione della MMP2 (metalloproteinasi-2 di matrice) e della MMP9, e upregolazione della TIMP1 (inibitore tessutale della metalloproteinasi-1). Interferisce inoltre con il rilascio di fattori angiogenetici stoccati nella ECM
  6. Legame e blocco di una metalloproteinasi (CD13/aminopeptidasi N = APN) attiva ed importante per l’invasione tumorale e la neovascolarizzazione.


Morte cellulare
La curcumina indice la morte cellulare in numerose linee cellulari animali ed umane, come quelle della leucemia, del melanoma, dei carcinomi a seno, polmoni, colon, rene, epatocellulari e ovarici (Karunagaran, Rashmi, Kumar 2005; Rashmi, Kumar, Karunagaran 2004). Seguendo la review di Salvioli et al. (Salvioli et al. 2007) possiamo distinguere vari meccanismi di morte cellulare.
Apoptosi
La curcumina sembra agire con meccanismi sia caspase-dipendenti sia indipendenti (mitocondriali), sia legati alla presenza di p53 sia in sua assenza. Il ruolo delle ROS è controverso poiché la curcumina mostra ben note attività antiossidanti ma al contempo lega la sua attività antitumorale alla generazione di ROS. Questa ambiguità sui meccanismi e sui target deriva probabilmente dalla natura pleiotropica della curcumina che possiede molteplici target cellulari sui quali agisce contemporaneamente: inibisce i fattori di trascrizione AP-1 e Nf-kB (coinvolti in apoptosi, proliferazione e sopravvivenza cellulare); inibisce la proteina p300, un coattivatore trascrizionale coinvolto in apoptosi, ciclo cellulare, differenziazione.
Esistono inoltre vari problemi metodologici rispetto alla definizione di apoptosi che possono spiegare le ambiguità di azione (Salvioli et al 2007). Esistono però anche esistono dati a supporto di una azione bifasica della curcumina. Sembrerebbe infatti che la curcumina agisca sui proteasomi in maniera bifasica, con una attivazione a dosaggi ridotti, ed una inibizione a dosaggi più elevati. Dato che l’inibizione dei proteasomi porta ad apoptosi, e la sua stimolazione porta alla sopravvivenza cellulare, è possibile che la curcuma causi apoptosi o sopravvivenza a seconda del dosaggio utilizzato. Inoltre la curcuma a dosaggi differenti può influenzare anche il tipo di morte cellulare: sembrerebbe infatti che dosaggi bassi portino a stress ossidativo e morte per apoptosi, mentre dosaggi più elevati porterebbero a ridotta produzione di ROS, riduzione di ATP e morte per necrosi. Un altro possibile meccanismo bifasico è legato alla durata del trattamento e all’effetto su Nf-kB: Notarbartolo et al. riportano un aumento di Nf-kB dopo 8 ore di trattamento ed una riduzione dopo 16 ore.

Catastrofe mitotica
La curcumina sembra anche in grado di causare la morte cellulare anche di varie linee cellulari resistenti all’apoptosi, probabilmente attivando meccanismi di morte cellulare diversi dall’apoptosi. Uno di questo meccanismi non-apoptotici è la cd. catastrofe mitotica, caratterizzata da mitosi aberrante, formazione di cellule giganti e multinucleate. La catastrofe mitotica scatenata dalla curcumina sarebbe legata alla riduzione dell’espressione genica di vari inibitori delle proteine apoptotiche (IAP), in particolare della Survivina.

Altri meccanismi
Altri possibili meccanismi di morte cellulare sono: la inibizione della hTERT, la subunità attiva della telomerase, la cui inibizione permette l’apoptosi; l’inibizione della fosforilazione di mTOR, un regolatore della morte cellulare autofagica; lo stress sul reticolo endoplasmatico.

Dati clinici ed epidemiologici (curcumina-I)

  • RCT: riduce mutageni urinari fumatori cronici (1,5 gr/die per 30 gg); riduce danno citogenetico in linfociti e in altre cellule  (3 gr/die ES +/- 600 mg/die OE per 90 gg)
  • RT: miglioramento sintomatico lesioni cancerose cutanee (ES + unguento)
  • Vari CT Fase I:  la curcumina (8 gr/die) è ben tollerata dagli esseri umani (Cheng et al 2001; Hsu et al. 2002; Sharma et al. 2004; Bemis et al 2006), è non tossica e che è un potenziale chemiopreventivo in soggetti con lesioni ad alto rischio o premaligne.

Il National Cancer Institute sta conducendo studi clinici di Fase I sulla curcumina come agente chemiopreventivo per il cancro al colon, ed altri studi clinici in vari stadi di avanzamento comprendono studi su mieloma multiplo, cancro al pancreas, sindromi mielodisplastiche.

Posologia

Interazioni
Vista la potenziale attività di curcumina su vari fattori legati alla angiogenesi, tra i quali il VEGF,  è ipotizzabile (ma a livello per il momento del tutto speculativo) una interazione (forse positiva) con i nuovi farmaci antiangiogentici come Avastin (Yoysungnoen et al. 2006; Hemaiswarya, Doble 2006).  Allo stesso livello speculativo sta la possibile interazione positiva (sinergia) con la genisteina (Verma, Goldin 2003; Santibanez et al. 2000; Verma et al.1997). Un gruppo di ricerca ha messo in guardia dall’utilizzare la curcuma insieme a farmaci alchilanti come la ciclofosfamide, che inducono l’apoptosi attraverso l’attivazione della Janus chinasi, che potrebbe essere inibita dalla curcumina (Somasundaram et al. 2002). Lo stesso gruppo di ricerca ha suggerito che potrebbe essere sconsigliabile usare la curcuma con chemioterapici che agiscano attivando la Nf-kB.  Anche se la inibizione della Nf-kB potrebbe giocare un ruolo nel moderare la resistenza ai farmaci indotta dalla Nf-kB, l’attivazione di Nf-kB potrebbe essere uno dei meccanismi di azione del chemioterapico (come la doxorubicina). Lo studio è stato però criticato (Mitchell 2003).

Dettagli delle interazioni
Bleomicina e antibiotici citotossici.
La pianta potrebbe ridurre la tossicità polmonare (fibrosi) indotta dal farmaco. La rilevanza clinica non è però chiara. Possibile considerare la cosomministrazione come protettivo/coadiuvante solo sotto supervisione specialistica (protocollo ABVD) (Venkatesan, Punithavathi, Chandrakasan 1997; Punithavathi, Venkatesa, Babu 2000).

Cisplatin e composti chemioterapici a base di platino
La pianta potrebbe ridurre la tossicità renale e la neurotossicità indotte dal farmaco. La rilevanza clinica non è però chiara. Possibile considerare la cosomministrazione solo sotto supervisione specialistica (Navis, Sriganth, Premalatha 1999; Notarbartolo et al. 2005)

Ciclofosfamide e agenti alchilanti
La pianta potrebbe ridurre la tossicità indotta dal farmaco ma potrebbe anche ridurne l’efficacia. I dati sono conflittuali e la rilevanza clinica non è chiara. Evitare la cosomministrazione fino a che non si rendano disponibili maggiori dati (Venkatesan, Chandrakasan 1995, Somasundaram et al. 2002; Mitchell 2003)

Doxorubicina e chemioterapia antraciclinica
La pianta protegge da e riduce la cardiotossicità indotta dal farmaco e potrebbe ridurre la resistenza indotta dal farmaco. L’effetto sull’efficacia del farmaco è controverso e la rilevanza clinica non è chiara. Evitare la cosomministrazione fino a che non si rendano disponibili maggiori dati. Possibile considerare la somministrazione prima e dopo la chemioterapia. (Venkatesan 1998, Venkatesan, Punithavathi, Arumugam 2000, Chuang et al. 2002, Harbottle et al. 2001, Somasundaram et al. 2002; Mitchell 2003, Venkatesan, Chandrakasan 1995)

Paclitaxel e taxani
La pianta potrebbe sensibilizzare le cellule tumorali al farmaco. La rilevanza clinica non è chiara. Possibile considerare la cosomministrazione solo sotto supervisione specialistica (Bava et al. 2005)

Vinblastina e alcaloidi della Vinca
La pianta potrebbe ridurre al resistenza al farmaco inibendo meccanismi di effliusso Possibile considerare la cosomministrazione solo sotto supervisione specialistica (Anuchapreeda et al. 2002, Chearwae et al. 2004).

Bibliografia

Il sistema endocannabinoide

Le piante ad azione psicoattiva sono da sempre state importantissime per l’indagine sui sistemi neuronali. La più famosa è certamente il Papaverum somniferum, grazie alla quale è stato scoperto ed indagato il sistema delle endorfine.

Ma altrettanto interessante, se non di più, è il campo aperto dallo studio della Cannabis e del sistema degli endocannabinoidi. Per riassumere, nel 1992 è stato scoperto il primo degli agonisti endogeni dei recettori CB (endocannabinoidi): l’anandamide (N-arachidoniletanolamide o AEA) e di seguito il 2-arachidonilglicerolo (2AG).  Altri endocannabinoidi scoperti in seguito sono il palmitoil etanolamide, la virodamina, il NADA (N-arachidonildopamina), e il noladin-etere.

L’AEA e la 2AG funzionano come neuromodulatori o neurotrasmettitori. Vengono infatti sintetizzati ‘al bisogno’ a partire da precursori presenti nelle membrane cellulari neuronali, attraverso una fosfolipasi D (per l’anandamide) o C (per la 2AG); vengono rilasciati velocemente, a seguito di una depolarizzazione, dai neuroni postsinaptici a livello ematico, e agiscono come messaggeri retrogradi per modulare il rilascio di neurotrasmettitori dai terminali presinaptici; l’interazione con CB1 inibisce la neurotrasmissione GABA-ergica nell’area tegmentale ventrale (VTA), causando un aumento del ritmo di firing dei neuroni dopaminergici nel circuito VTA-mesolimbico, con conseguente aumento di dopamina nel nucleo accumbens. (il meccanismo centrale della soddisfazione, o della “carota”, nel sistema allostatico.

I recettori CB e gli endocannabinoidi formano il cosiddetto ‘sistema cannabinoidico endogeno’ (SCE) che secondo Baker e collaboratori, è principalmente un sistema di regolazione delle neurotrasmissioni sinaptiche.

Fondamentalmente la depolarizzazione postsinaptica causerebbe la sintesi e il rilascio di endocannabinoidi che andrebbero ad occupare i recettori CB presinaptici inibendo l’ulteriore rilascio di neurotrasmettitori.  Questa azione inibitoria influisce su molti sistemi di neurotrasmissione, e l’evidenza sperimentale suggerisce una azione su: glutammato, GABA, glicina, noradrenalina, serotonina, dopamina, acetilcolina e neuropetpidi.
Chiaramente l’effetto finale dell’azione modulatrice dipende da quali circuiti neuronali saranno influenzati, dato che gli stessi neurotrasmettitori possono avere effetti diversi secondo il contesto di circuiti nel quale stanno operando. Se lo SCE è un sistema modulante generale non specializzato (che ricorda i sistemi a ‘valore’ di Edelman e Tononi 2000), allora il periodo più plastico nello sviluppo del cervello, quello cioè nel quale avviene una selezione neuronale più spinta (periodo fetale e post-natale fino alla preadolescenza), è particolarmente delicato perché pone le basi per la modellazione di base del sistema.  E’ quindi importante non sottovalutare i possibili effetti di un’esposizione a cannabinoidi esogeni in questo periodo.

Un altro possibile ruolo dello SCE, legato all’azione neuroprotettiva ed antiossidante dei cannabinoidi è quello di meccanismo a feedback negativo che sintetizza endocannabinoidi in risposta a flussi cellulari di Ca eccitotossici (da glutammato), funzionando da sistema di prevenzione del danno cerebrale.

La questione dei meccanismi dello SCE è ulteriormente complicata dall’esistenza di alcuni leganti sintetici che hanno dimostrato un effetto agonista inverso (SR 141716A; SR 144528; LY 320135; AM 630).  Questo effetto suggerisce che lo SCE possieda un ‘tono’ che può essere aumentato o diminuito.  L’esatta natura di questo stato ‘tonico’  non è chiara, ed esistono almeno due teorie non mutuamente incompatibili.  Secondo la prima teoria i recettori CB esistebbero in due possibili stati: on e off; lo stato on può attivare il sistema anche in assenza di cannabinoidi, mentre lo stato off non è attivo.  Un antagonista puro e reversibile agirebbe su entrambi gli stati lasciando l’equilibrio generale sostanzialmente inalterato.  Un agonista inverso non sarebbe altro che un agonista con particolare affinità per lo strato off e che sposterebbe quindi l’equilibrio verso questo polo, mentre un agonista puro non sarebbe altro che un agonista con affinità per lo stato on.  Secondo la seconda teoria invece lo stato tonico dello SCE dipenderebbe da un continuo rilascio di endocannabinoidi agonisti il cui effetto potrebbe essere ridotto da antagonisti puri.

Negli ultimi anni la ricerca si è andata concentrando sul metodo di innalzare la vita media degli endocannabinoidi, metodo che potrebbe avere degli effetti importanti su dolore, appetito, infiammazione,  e memoria.

AEA e 2AG vengono infatti rimossi velocemente dallo spazio extracellulare attraverso un sistema di trasporto selettivo, saturabile e mediato da carrier, presente sui neuroni e sugli astrociti.  Una volta all’interno della cellula AEA  e 2AG verrebbero idrolizzate ad acido arachidonico ed etanolamina. Per la AEA la idrolasi è la idrolasi ammidica degli acidi grassi (FAAH),  quella per la 2AG è la monoacilglicerol lipasi (MAGL). Il problema è che mentre sono stati negli anni sviluppati dei composti che vanno a colpire ed inibire il la FAAH e quindi causano un aumento della concentrazione di AEA con riduzione del dolore, fino ad oggi non era possibile fare lo stesso per la MAGL.

Ma il gruppo di ricerca dello Scripps Research Institute, grazie ad una innovativa tecnica di screening (la Activity-Based Protein Profiling) ha scoperto un composto fortemente inibitore della MAGL, il JZL184. Questo composto ha permesso qundi di studiare il ruolo della 2AG, con sorprendenti risultati: l’aumento della 2AG non solo causa riduzione del dolore, ma induce ipotermia e riduzione dei movimenti (nei ratti), suggerendo una segregazione dei compiti tra differenti endocannabinoidi.

L’articolo è Long et al. (2008) Selective blockade of 2-arachidonoylglycerol hydrolysis produces cannabinoid behavioral effects. Nature Chemical Biology, DOI: 10.1038/nchembio.129