Appunti di viaggio: Nepal

Allora, Nepal…

Molte cose son successe dall’ultima volta che ci sono passato. Il re non c’è più, i Maoisti hanno fatto il pieno alle elezioni, sono passati al governo ma ne sono usciti ed ora sono all’opposizione con il governo nelle mani di una grosse coalition di 22 partiti, tutti uniti dal medesimo desiderio…tenere lontani i maoisti dal governo.

Anche i maoisti hanno fatto la loro parte, sono bravi a tirarsi la zappa sui piedi, hanno mostrato immaturità politica uscendo dal governo e pensando che fosse possibile tradurre semplicemente il numero di voti ricevuti in consenso popolare. Naturalmente così non è stato, tra chi li ha votati ci sono militanti ma anche persone stanche degli altri partiti. E la gente è stanca di guerra e non sembra pronta a rispondere così rapidamente ad una chiamata alla protesta di piazza. Per il bene del paese spero che si trovi una via politica a questa empasse.

Da visitatori esterni che difficilmente possono conoscere le durezze della vita qui, è facile dimenticarsi che comunque il Nepal è parte di una regione del mondo, il sudest asiatico, che detiene il triste primato di area più violenta del globo (una bella serie di articoli e review qui)

Intanto tutti i programmi di aiuto sono fortemente impediti dall’instabilità.  Parlando con Samita del progetto Prolasso Uterino mi spiegava le difficoltà incontrate nel dover spiegare le stesse cose a sei ministri della salute diversi 🙁 Ma ci sarà tempo in altri post per parlare di questo.

Parliamo di viaggi.
La prima parte del viaggio si è svolta nel distretto del Dolahka, zona di Janakpur, nella regione centro-orientale del Nepal. L’area è ricca, montuosa ma con terreno molto fertile, abitata da varie etnie, molti Gurung, Sherpa, ecc. Come per la valle di Kathmandu, è difficile visitare questa zona e rendersi conto della povertà del paese. E’ proprio vero, come dicono qui, che l’est è il paradiso e l’ovest l’inferno. E infatti nessuno va mai all’ovest. Ma anche questo ad una prossima puntata.

From Dolakha 2009
From Dolakha 2009

Il viaggio inizia dall’Old Bus Park di Kathmandu, da dove si parte in bus per Charikot e si arriva a Singati, in circa 10 ore di viaggio (potrebbero essere molte meno, ma da Charikot a Singati la strada è in cattive condizioni, e le piogge non aiutano).

From Dolakha 2009
From Dolakha 2009

Sulla strada una “cartiera”: pasta ottenuta da corteccia di Daphne spp. e asciugata al sole

From Dolakha 2009

che poi verrà raccolta in questo magazzino e spedita a Kathmandu

From Dolakha 2009

Il viaggio è in parte di piacere in parte per lavoro, insieme a Khilendra andiamo a visitare un sito di distillazione di olii essenziali di Rhododendron anthopogon e di Juniperus indica/J. recurva. L’unità di distillazione è a ca. 3500 mslm, mentre le zone di raccolta sono a ca. 4.000 mslm. Nella zona ci sono altri due siti di distillazione, che però sono a minor altitudine e distillano Gaultheria procumbens.

From Dolakha 2009

Il giorno dopo partiamo, insieme al manager dell’unità di distillazione e ad un portatore carico di riso e altro cibo per i lavoratori dell’unità, per raggiungere il villaggio di Marbu, a circa metà strada dalla nostra destinazione finale.

From Dolakha 2009
From Dolakha 2009

Temperature elevate e umidità relativa pure, il monsone è arrivato in ritardo e la sua coda è ancora ricca di pioggia, si suda ma il verdeggiare delle risaie è stupendo. Le foreste sono dominate da Alnus nepalensis e Pinus wallichiana.

From Dolakha 2009
From Dolakha 2009
From Dolakha 2009

Durante il cammino si vedono numerose piante di ricino e amaranto, e Khilendra mi fa notare il Solanum dentocarpum, la Jatropa curcas e Sepium insignis; tra gli alberi molti Ficus e le buganville spontanee…

From Dolakha 2009

e i cachi…

From Dolakha 2009

e le begonie (Begonia picta)…

From Dolakha 2009

e un po’ più in alto il miglio. Le principali coltivazioni qui intorno sono riso, miglio, mais, lenticchie ed altri legumi, e molte zucche e zucchine (oltre a deliziosi cetrioli). Paesaggio subtropicale, molto antropizzato, terrazzamenti e natura lussureggiante, pareti di roccia grondanti acqua e tappezzate da un patchwork di piante di incredibile complessità.

From Dolakha 2009
From Dolakha 2009

vabbè… fino a qui non si fatica troppo, il dislivello coperto è poco (ca. 700 m) ma l’umidità elevatissima ci fa penare. Ci fermiamo a bere un chia presso una casetta, dove mi mostrano una artemisia (sp? forse indica, odore citrato) che utilizzano secca e polverizzata come coadiuvante della lievitazone del pane di grano. La mescolano alla farina mentre aggiungono un po’ di pasta madre, coprono la pasta con foglie fresche della stesa artemisia, lasciando il tutto a riposare. Dopo 3 gg si sviluppano dei corpi fruttiferi sulla superficie della pasta che vengono usati come lievito per il pane.

From Dolakha 2009
From Dolakha 2009

Ci si alza molto dolcemente, il cammino è facile ma molto umido e sanguisugogeno (bleah!), ogni spazio disponibile è terrazzato. Piove con il sole, in Inghilterra si direbbe che c’è un monkey’s wedding, qui invece si dice Gunpani (sole-acqua) che annuncia il matrimonio degli sciacalli.

From Dolakha 2009
From Distillation unit khilendra

Per strada piante conosciute (Euphorbia royleana, una euforbia arborea)

From Dolakha 2009
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Cuscuta reflexa su felce

From Dolakha 2009

Gaultheria fragrantissima

From Dolakha 2009
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Piante conosciute (Asparagus racemosus) ma non incontrate prima…

From Dolakha 2009

Ziziphus

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e piante sconosciute (Melastoma spp.?)

From Distillation unit khilendra
From Dolakha 2009
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Ci si avvicina a Marbu, il paesaggio cambia…

From Dolakha 2009

Le coltvazioni principali sono grano e patate…

From Dolakha 2009
From Dolakha 2009

E finalmente si arriva a Marbu, a 2500 mslm. Tipico villaggio di queste zone, nn forma un nucleo centrale ma si disperde sul vasto territorio. Molto bello, curato ed organizzato. Terrazzato, case di legno e fango o mattoni, bicolori, con tetto spiovente che protegge le pannocchie di mais dalle intemperie.

From Dolakha 2009
From Dolakha 2009

Famoso per le sua patate, che mangio abbondantemente condite, insieme agli immancabili noodles e curry…

From Dolakha 2009
From Dolakha 2009
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A fine pasto, una bella bevuta di chan, la “birra” locale

From Dolakha 2009

Fatta a partire dalla fermentazione di grano e miglio, strizzata giornalmente (varie volte al giorno) dalla padrona di casa. I cereali sono stipati in un barile di plastica con acqua, dove fermentano per 10-20 giorni o più; alla bisogna vengono tirati fuori, messi in una bacinella e mescolati ad altra acqua. La padrona di casa li miscela nelle mani e li spreme (con un movimento che ricorda quello per lavarsi le mani con il sapone); poi i cereali e l’acqua di lavaggio vengono posti in un piatto-colino, vengono bene strizzati e rimessi nel bidone, mentre l’acqua di strizzatura viene servita ai commensali, appunto come chan. Liquido lattiginoso, dal sapore acidulo e leggermente alcolico, rinfrescante.

From Dolakha 2009

La mattina, dopo una colazione a base di Dili, una polenta nera di miglio condita con curry e peperoncino…

From Dolakha 2009

Si prepara la merenda a base di mais e soia tostati…

Fagottino della merenda 🙂 da mescolare con il beaten rice

…si parte per l’unità di distillazione…

From Dolakha 2009

…insieme ai lavoratori della stessa

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L’ambiente cambia abbastanza rapidamente, anche perché a differenza del primo giorno, adesso ci alziamo velocemente. Si passa ad un bosco caldo-temperato e anche le erbacee cambiano molto

From Dolakha 2009

Lycopodium

From Dolakha 2009

Arisaema

From Dolakha 2009
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Hypericum choisianum

From Dolakha 2009
From Dolakha 2009

E più in alto ancora, verso i 3.000, l’ortica nepalese (Girardinia diversifolia)

From Dolakha 2009
From Dolakha 2009

Cirsio, senecio, sambuco, funghi…sembra di essere a casa però!

From Distillation unit khilendra
From Dolakha 2009
From Dolakha 2009
From Dolakha 2009

Poco dopo, intorno ai 3100 mslm, si entra in una bellissima foresta di rododendri arborei

From Distillation unit khilendra
From Dolakha 2009

dove ci fermiamo a fare uno spuntino a base di riso secco battuto, arachidi, mais e soia tostati

From Dolakha 2009

Si comincia a sudare…

From Dolakha 2009

…e allora ci fermiamo al caseificio locale per vedere il primosale di Yak

From Dolakha 2009
From Dolakha 2009
From Dolakha 2009
From Distillation unit khilendra
From Distillation unit khilendra
From Distillation unit khilendra
From Dolakha 2009
From Dolakha 2009
From Dolakha 2009
From Dolakha 2009
From Distillation unit khilendra

E finalmente si arriva alla unità di distillazione, elevazione ca. 3500 mslm, tre shed dove dormono gli operai, di cui uno dotato di fuoco per cucinare per tutti.
Ma dell’unità di distillazione, delle piante distillate e delle zone di raccolta parleremo la prossima volta.

Adieu 🙂


From Distillation unit khilendra
From Distillation unit khilendra




Biodiversità informatica

La Encyclopedia of Life, il mega progetto di informatizzazione e coordinamento delle informazioni su tutte le forme di vita, insieme al Natural History Museum e a molte altre istituzioni ed associazioni collegate al mondo della conservazione e della ricerca sulla biodiversità, organizza presso il Centro Conferenze The Queen Elizabeth II a Londra una conferenza sull’informatica applicata allo studio della biodiversità (e-Biosphere 09 International Conference on Biodiversity Informatics)

Ecco qui il poster, e qui la possibilità di partecipare alla conferenza on-line.

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International Conference on Biodiversity Informatics

Important Dates

  • 9 February 2009: Launch of Online Conference Community (OCC)
  • 7 March 2009: Deadline for submission of poster abstracts and applications for travel bursaries.
  • 1 April 2009: Deadline for applications for exhibit space and database/software demonstrations
  • 1 April 2009: Announcement of accepted poster abstracts and awards for travel bursaries.
  • 15 April 2009: Deadline for proposals for discussion group topics and side-events.
  • 1 May 2009: Registration deadline
  • 1 May 2009: Release of abstract volume
  • 1 May 2009: Realease of Third Conference Announcement with final agenda
  • 1-3 June 2009: e-Biosphere 09 Conference

The e-Biosphere 09 International Conference on Biodiversity Informatics will bring together an exceptional array of speakers and participants to highlight the achievements in Biodiversity Informatics today and to discuss strategies for its future. This conference presents a unique opportunity for a wide range of professionals, researchers, and students to come together to help plan the future of the field.

Who Should Attend?

The Conference has been designed as a meeting-ground for researchers and users of biodiversity data, such as: content providers in fields such as taxonomy, genetics, and ecology; content aggregators; policy-makers; developers of biodiversity databases, software, and data standards; and users from diverse fields such as conservation, land use, agriculture, and sustainable development. Computer scientists and engineers interested in biodiversity informatics are encouraged to join us and share their expertise and perspectives. Participants from public research funding agencies, private foundations and donor organizations are also welcome, as they will play a key role in determining the next steps for biodiversity informatics.

An Interactive Conference

Planned with an eye towards innovation, e-Biosphere 09 aims to be interactive as well as informative. Attendees are encouraged to take a participatory role in this event by submitting a poster abstract, or suggesting a topic for Break-Out Discussion Groups. The dynamic Online Conference Community, a series of electronic discussion forums, offers researchers and users of Biodiversity Informatics the opportunity to interact and prepare for the conference.

Silphion, finalmente! (parte 1)

Con un certo ritardo rispetto alla pubblicazione di questo blog, mi trovo a parlare del Silfio, la spezia che gli dà il nome.

E no, non l’ho scelta immaginando la soluzione verde alla contraccezione 🙂

Il silfio racchiude in sè e nella sua storia molte delle intersezioni tipiche del rapporto uomo-piante:

1. il limine tra alimento e medicina: il silfio ci rimanda al fatto che questa distinzione, apparentemente ovvia, è creazione recente, e che non è così netta, presenta anzi molti spazi di sovrapposizione, e che le categorie sono spesso normative e culturali oltre che oggettive. Citando l’amico Pieroni:

“Le piante possono essere usate sia come medicina sia come cibo, ed è difficile tracciare una separazione netta tra queste due aree: il cibo può essere medicina e viceversa. Le risorse vegetali nelle società tradizionali, in particolare le verdure selvatiche, sono spesso utilizzate multicontestualmente come cibo e medicina. La raccolta o la coltivazione, la preparazione ed il consumo di tali specie sono radicate nelle percezioni emiche degli ambienti naturali associati alle risorse disponibili, alla cucina e alla pratica medica locale, apprezzamento del gusto e tradizioni culturali.” (Pieroni Price 2006)

2. L’ influenza delle piante sulla cultura umana, materiale, intellettuale e sensuale

3. La loro trasformazioni in merci, fino allo sfruttamento e, come in questo caso, alla scomparsa per eccesso di successo.

Il Silfio ha molti nomi nella letteratura classica. In Grecia si chiama silphion la pianta, kaulos il fusto, opos la resina e maspeton la foglia; a Roma si modifica in silphium, si trova sirpe e si trova anche il termine laserpicium (o lasarpicium o laserpitium) che letteralmente significa lac sirpicium = succo o resina della sirpe. Il termine laser indica il silfio ma anche altre piante considerate suoi sostituti. Gli arabi usavano il termine asa (da cui asafoetida)

Come giustamente fa notare Dalby (1992), di tutte le fonti classiche a nostra disposizione quasi certamente nessuna è primaria – almeno rispetto alla raccolta o trasformazione della pianta, mentre tutti gli autori probabilmente avevano provato la pianta come spezia o medicina. In effetti molte delle fonti sono ancora meno attendibili, come nel caso di Plinio il Vecchio, che ha principalmente riportato e tradotto quanto scritto da Teofrasto.

La storia conociuta del Silfio inizia intorno al 630 a.C., quando dei coloni tebani partirono dall’isola greca di Thera (moderna Santorini o Thira), dirigendosi verso il Nordafrica, e fondarono, secondo quello che riporta Teofrasto, la citta di Cirene (Kyrene) nella odierna Libia. Pochi anni dopo, nel  638 secondo le fonti (Dalby 1992), essi menzionano per la prima volta la pianta che avrebbe fatto la fortuna della città e del Mediterraneo, conquistando i gusti dei greci prima e dei romani più tardi, diventando una spezia ricercatissima ed una pianta medicinale: il Silphion.

La resina ricavata dall’incisione della radice della pianta divenne in poco tempo un articolo di tale successo e lusso da “valere il proprio peso in argento” e Cirene divenne la città più ricca della regione nordafricana (almeno fino allo sviluppo di Alessandria).

Dopo aver fatto la fortuna della regione per più di 700 anni, scomparve però rapidamente dalla scena, diventando la prima pianta conosciuta ad estinguersi a causa dello sfruttamento umano.

La pianta era probabilmente già conosciuta ai locali e cresceva solo lungo il versante mediterraneo del plateau montuoso e arido della odierna Cirenaica, in una fascia lunga 200 km e larga 55 km che arrivava fino alla punta orientale dell’odierno Golfo della Sirte in Libia (da Erodoto, Storie (ca. 440 a.C.). 4.169 (Qui l’originale): “[La costa Libica:] li giace l’isola di Platea, dove i Cirenaici si fermarono [inizialmente], e sulla costa del continente vi è il porto di Menelaus e Aziris, dove i Cirenaici vivevano. Il  Silphion inizia qui. Il Silphion si trova dall’isola di Platea all’imboccatura della Sirte”. Da Teofrasto Storia delle piante 6.3.:”[il Silphion] si trova in una vasta area della Libia: più di cinquecento  miglia, dicono, ed è più comune lungo la Sirte a partire dalle Euesperides)

Secondo fonti greche la pianta veniva raccolta spontanea e ogni tentativo di coltivarla in Siria e Grecia era fallito (Riddle 1992) ma ci sono voci riportate da Teofrasto che farebbero pensare che non disdegnasse i terreni lavorati e coltivati. Lo stesso autore, nel suo Storia delle piante (Περὶ Φυτῶν Ιστορίας), la descrive come molto simile al finocchio gigante, e parla delle modalità di raccolta della pianta, determinate da regole molto precise e severe riguardo alle quantità annuali e le zone di raccolta.

Data la sua importanza economica la pianta divenne il simbolo della città e venne usata come emblema sulle monete Cirenaiche; tra le varie raffigurazioni ne troviamo una che mostra solo la pianta, l’altra che mostra una donna seduta che tocca la pianta con una mano mentre con l’altra si indica i genitali (Penn 1994). La pianta è inoltre comunemente dipinta in mano al dio Dioniso.


In un esempio di ceramica Laconica del 565 a.C. si ritrae il Re Arcesilao II di Cirene (c. 568-550) in veste bianca e nera e cappello, seduto mentre supervisiona le pesature e il carico del silfio avvolto in pelli, pronto per l’esportazione. “Il silfio di Battus” divenne una espressione greca per significare ricchezza estrema (Battus fu il primo re di Cirene).

Cento anni più tardi, nel primo secolo dC, la scarsità della pianta portò al crollo dell’economia della regione, tanto che poco tempo dopo Plinio nel Naturalis Historia riporta che:

“ormai da molti anni il silphion non è stato visto nella regione, dato che le persone che affittano la terra da pascolo, vedendo possibilità di maggiori profitti, lo sfruttano eccessivamente per farne pascolo per pecore. L’unico fusto trovato a memoria d’uomo è stato mandato all’Imperatore Nerone” (Plinio Naturalis Historia 19.15, originale qui).

Alcuni autori propongono che il silfio non sia realmente estinto, ma che sia una specie ancora esistente: la comune Ferula asafoetida (il silphion Siriano), o la più rara Ferula tingitana, che ancora cresce in NordAfrica e Medio Oriente.

Queste affermazioni sono difficili da sostenere per varie ragioni:

  1. prima di tutto molto testi dichiarano che il silfio era una pianta costosa e difficile da coltivare al di fuori della provincia di Cirene, mentre la Ferula asafetida è pianta comune, poco costosa e cresce in ampie regioni dell’Asia centrale;
  2. inoltre le fonti storiche coincidono nel dire che ad un certo punto della storia il siflio scomparve. Il geografo Strabone racconta di penuria di resina e della nascita di conseguenza di un mercato nero (Geografia XVII.3.20-22, qui l’originale), e Plinio (Naturalis Historia 19.15) ci assicura che l’ultimo fusto di silfio fu mandato in regalo all’imperatore Nerone (vedi sopra).
  3. Inoltre ci si domanda, se il silphion fosse stato presente in altre aree, perché le popolazioni non lo avrebbero sfruttato a scopi commerciali?

Secondo Penn la comparazione tra le immagini incise sulle monete del tempo e le immagini delle specie di Ferula oggi esistenti porterebbe a concludere che o la pianta coincide con Ferula tingitana o era una specie a questa molto vicina (Penn 1994).

La più antica moneta cirenaica raffigura lo schizocarpo della pianta, mentre in altre si raffigura la foglia, che appare molto simile (come diceva anche Teofrasto) a quella del sedano. In monete più tarde si trova la rappresentazione del fusto fiorito intero, e intorno al 500 aC   troviamo la pianta intera o parti della pianta associate a divinità o animali.

Queste figure intere ricordano molto il finocchio gigante o Ferula communis o nartex (il nome greco della pianta dentro i cui fusti Prometeo nascose il fuoco rubato agli dei per l’uomo).   In effetti la Ferula communis è molto simile alle raffigurazioni sulle monete cirenaiche, con le infiorescenze tipiche e le foglie amplessicaule. Però sia nelle foto della Ferula communis che in quelle delle altre specie Ferula asa-foetida L. e Ferula narthex mancano le costole così prominenti nel fusto delle piante sulle monete (e sulla “colonna silphion”), e le foglie non sono disposte in maniera opposta bensì alternata.

E’ quindi del tutto probabile  – conclude Penn – che, viste le somiglianze, il silfio fosse una Ferula imparentata con F. asa-fetida, F. tingitana e F. narthex

Una visita a Nar-Phoo

Nella seconda puntata dedicata al Nepal (un paese vicino al mio cuore per varie ragioni, di cui ho parlato anche qui) vorrei parlare di un viaggio effettuato nell’estate del 2006 insieme a quattro colleghi nepalesi.

From Nepal 2006

Si trattava di una missione di ricognizione etnobotanica nella valle di Naar-Phoo, nel distretto di Manang, il cui scopo era visitare alcune zone di particolare interesse per la flora medicinale nepalese, poco visitate e studiate fino a quel momento. La missione si inseriva in un progetto di più ampio respiro sulla documentazione delle pratiche mediche tradizionali del distretto del Manang, e sulla documentazione fitochimica delle piante più interessanti.

Il successo di questa missione e il rapporto che è stato compilato in seguito è il risultato del lavoro congiunto mio e di Khilendra Gurung, un amico e botanico nepalese, fortemente impegnato nello studio della botanica e dell’etnobotanica himalayana, e nella traduzione del sapere accademico in politiche e progetti di aiuto alle popolazioni locali.

From Nepal 2006

Inquadramento biogeografico

Scopo della missione pilota
Lo scopo di questa prima missione era quello di  esplorare il territorio, documentare fotograficamente le specie vegetali presenti, interagire con i FUG (Forest Users Groups), intervistare informatori e individui esperti in piante medicinali locali, creare un primo elenco di prodotti forestali non legnosi (Non Timber Forest Products – NTFP) presenti nella zona, con primo ranking delle specie più importanti, ed infine raccogliere campioni per analisi fitochimica e test di attività biologica.

La zona studiata.
Manang
Lo studio pilota si è svolto nel distretto del Manang (Distretto 28), nella zona trans-Himalayana centro-settentrionale del Nepal, tra 28o27′-28o54′ N di latitudine e 83o40′ -84o34′ E di longitudine, un’area di circa 2246 km2 all’interno della Annapurna Conservation Area. I confini amministrativi coincidono quasi perfettamente con la gli spartiacque naturali dell’Himalaya. In particolare la zona è delimitata a  sud dalla catena Himalayana principale, formata dall’Annapurna Himal e dal Lamjung Himal, ad ovest dalle catene del Damodar Himal e del Muktinath Himal, ad est dal Manaslu Himal, ed infine a nord confina con il Tibet tramite Peri, Himlung e Cheo Himal.


Più di due terzi dell’area del distretto sono occupati da montagne, interrotte dal fluire del fiume principale, il Marsyangdi che, insieme ai suoi due tributari, il Nar ed il Dudh, drena tutto il bacino, scorrendo prima da nord-ovest a sud-est, per poi piegare decisamente verso sud all’altezza di Thonje.

From Nepal 2006

A causa dell’apertura meridionale della valle del Marsyangdi, le masse umide dei monsoni estivi sono in grado di superare in parte le barriere dell’Himalaya, e questo spiega il carattere transizionale dell’area, tra l’Himalaya esterno più sensibile all’azione dei monsoni, che qui tendono a bloccarsi e a rilasciare le precipitazioni, e quindi più umido, e l’Himalaya interno e continentale, più secco.
La copertura vegetazionale si modifica in accordo con queste variazioni, passando da vegetazione subtropicale, a temperata, a xerofila ed alpina.
La popolazione è scarsa (il terreno è impervio e difficile da sfruttare) e concentrata nella valle del Marshyangdi (1600-3700 mslm).  Le variabili condizioni naturali si riflettono in una elevata diversità etnica e culturale, con almeno quattro gruppi etnici dominanti, Gurung, Gyasumdopa, Manangi e Narpa, e molti gruppi minoritari.
A causa delle differenti condizioni geologiche e climatiche, si possono osservare tre diverse tipologie di vallate lungo il corso del fiume, che caratterizzano il territorio dividendolo in tre aree facilmente identificabili, sia per le caratteristiche geomorfologiche sia per quelle di insediamento ed agricoltura, Gyasumdo, Nyeshang e Nar.
Procedendo da sud a nord, troviamo prima la valle di Gyasumdo (1600-3000 mslm), dalla caratteristica forma a V a causa dell’erosione fluviale del Marsyangdi sul mantello roccioso cristallino e molto duro; è molto rocciosa e scoscesa e poco favorevole ad agricoltura e ad insediamenti abitativi.  Dal punto di vista climatologico l’area ha carattere fortemente transizionale.
Dopo la curva verso ovest all’altezza di Thonje si entra nella valle di Nyeshang (3000-3400 mslm), nella zona ovest del distretto, che ha invece forma ad U causata dall’erosione glaciale su depositi sedimentari più morbidi. L’area è a Nord del massiccio dell’Annapurna (7.000 mslm) e quindi i monsoni arrivano qui molto attenuati e la zona è meno umida. Nonostante ciò, grazie alla forma molto più dolce della valle, essa è  molto favorevole all’agricoltura e agli insediamenti.

From Nepal 2006
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La zona di Nar (3500-4200 mslm) corrisponde alla vallata del tributario Nar, che giace nel nord del distretto e che ha il clima più rigido e secco, e gli insediamenti più elevati, Nar (4200 mslm) e Phoo (4100 mslm), entrambi sopra alla linea di vegetazione. In quest’area, che è stata l’obiettivo principale della missione pilota, il clima secco e rigido si riflette nella prevalenza di vegetazione tipica della steppa Tibetana.

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La valle di Nar-Phoo

La zona è a clima subalpino e alpino, e la tipologia floristica è tipicamente centro-asiatica con alcuni elementi sino-giapponesi. Piante tipiche dell’area sono Betula utilis D. Don, Juniperus spp., Rhododendron spp. (le specie arbustive sopra ai 4.000 mslm sono: Rhododendron anthopogon, Rhododendron lepidotum, Rhododendron setosum), Cotoneaster spp. (sopra ai 4.000 mslm), Hippophae tibetana Schltdl., Caragana brevispina Royle (sopra ai 4.000 mslm), Rosa spp., Berberis spp e Sorbus spp., con varie conifere alle altitudini minori: Pinus wallichiana A.B. Jackson, Tsuga dumosa (D. Don) Eichler, Abies spectabilis (D. Don) Mirb.

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Gli insediamenti più elevati sono Nar (4200 mslm) e Phoo (3900-4100 mslm), ed esiste un insediamento per lo svernamento a 3500 mslm (Meta) che, dopo essere stato abbandonato e quasi in rovina, si sta nuovamente attrezzando per ospitare persone. La popolazione dei due villaggi, i Narpas, forma un piccolo gruppo etnico locale, che usa un linguaggio di origine tibeto-burmese molto simile al Manangi della zona di Nyeshang, ma anche il tibetano parlato e scritto.
Nelle generazioni l’attività economica della popolazione è variata molto poco. Dipende fondamentalmente ancora dall’allevamento (yak, capre, pecore, bovini, ecc.) ma coltivano anche orzo e patate in campi irrigati ed hanno una piccolo flusso di commercio ad altitudini più basse in inverno.

From Nepal 2006

A causa del clima severo invernale, a dicembre la popolazione migra con le sue piante verso insediamenti più in basso, ed alcuni individui (di solito i più giovani) si muovono da lì verso sud per commerciare e scambiare i propri prodotti (lana di yak, formaggio secco, spezie ed erbe alimentari) con riso o altri prodotti alimentari impossibili da coltivare in quest’area. A marzo gli abitanti fanno ritorno a Nar e Phoo.
L’apertura recente della valle al turismo da trekking (fino al 2005 era aperta solo per gli alpinisti che si dirigevano verso il campo base dell’Himlung) potrebbe rappresentare una ulteriore fonte di reddito, ma un utilizzo razionale e sostenibile delle risorse di NTFP e MAP rappresenterebbe una fonte di reddito più stabile, legata anche ad una rivalutazione delle tradizioni locali e a processi di stimolazione dell’autostima e della identità comunitaria che sono fondamentali per lo sviluppo delle aree montane.

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Principali piante osservate nella valle di Nar-Phoo.
Fascia sub-alpina (3.000-4.000 mslm)
Intorno al primo insediamento della valle, Meta (tra i 3300 e i 3600 mslm), vicini al limite della vegetazione forestale, la vegetazione arborea è limitata all’abete himalaiano (Abies spectabilis (D Don) Mirb.; sinonimo: A. webbiana Lindley – Pinaceae), ed a pochi esemplari di betulla (Betula utilis D. Don – Betulaceae) ed è stato possibile osservare varie specie erbacee di interesse generale:

  • Polygonatum cirrhifolium (Wall.) Royle (Convallariaceae/Liliaceae s.l.)
  • From Nepal 2006
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  • Clematis tibetana Kuntz oppure Clematis buchananiana DC [sinonimo: C. buchaniana var. rugosa Hooker fil. & Thomson] (Ranunculaceae)
  • From Nepal 2006
  • Abies spectabilis (D Don) Mirb. (Pinaceae)
  • From Nepal 2006
  • Cotoneaster sp. Medikus (Rosaceae)
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Poco più sopra rispetto all’insediamento, lungo il sentiero per Phoo intorno ai 3650 mslm, abbiamo osservato altre due specie non incontrate ad altitudini minori, la Arnebia benthamii (G.Don f.) IM Johnston (Boraginaceae) e Allium wallichii Kunth (Alliaceae/Liliaceae, pianta a rischio), e nell’area di Kyang, a 3800 mslm, abbiamo superato l’ultima colonia di betulle (Betula utilis D. Don).

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Superata la linea della vegetazione forestale, intorno e nell’area del villaggio di Phoo, situata a ca. 4000 mslm e caratterizzato da un clima particolarmente secco, abbiamo registrato un numero elevato di piante considerate utili dalle popolazioni locali:

  • Berberis aristata DC [sinonimo: B. ceratophylla G. Don.]
  • Pterocephalodes hookeri (C. B. Clarke) V. Mayer & Ehrendorfer (Dipsacaceae) [sinonimi: Pterocephalus hookeri (CB Clarke) Diels; Scabiosa hookeri CB Clarke]
  • Rosa sericea Lindley (e Rosa macrophylla Lindley) (Rosaceae)
  • Ajuga lupulina Maximovich (Lamiaceae)
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  • Aster sp. (Asteraceae)
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  • Dracocephalum sp. (Lamiaceae), in particolare Dracocephalum heterophyllum Benth.
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  • Geranium pratense L. (Geraniaceae)
  • Jurinea dolomiae Boissier (Asteraceae)
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  • Lonicera sp. (Caprifoliaceae)
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  • Myricaria rosea WW Smith (Tamaricaceae) [sinonimi: M. prostrata Hooker fil. & Thomson ex Benth. & Hooker fil.; M. germanica (L.) Desvaux var. prostrata (Hooker fil. & Thomson ex Bentham & Hooker fil.) T. Dyer]
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  • Potentilla fruticosa L. (Rosaceae)
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  • Ribes orientale Desf. (Rosaceae)
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  • Silene stracheyi Edgeworth (identificazione dubbia) (Caryophyllaceae)
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Prospiciente il villaggio di Phoo ha sede uno dei più importanti monasteri lamaisti della zona dell’Annapurna, con attività di studio, educazione e raccolta delle piante medicinali.

Fascia alpina (più di 4.000 mslm)
Presso l’insediamento di Nar (4200 mslm), caratterizzato da maggiori precipitazioni e da un clima meno secco di Phoo, oltre alle piante già osservate in precedenza abbiamo osservato:

  • Stellera chamaejasme L. (Thymelaceae) [sinonimo: Wikstroemia chamaejasme (L.) Domke]
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e presso l’ultimo campo base prima delle nevi perenni (Campo base di Kyangla 4500) le specie:

  • Bistorta macrophylla (D. Don) Soják (Polygonaceae) [basionimo: Polygonum macrophyllum D. Don.] .
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  • Tanacetum nubigenum Wall. ex DC (Asteraceae) [sinonimo: Dendranthema nubigenum (Wall. ex DC) Kitamura],
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    osservato anche a Kharka.

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  • Cremanthodium arnicoides Wall. R. Good (Asteraceae)
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  • Primula wigramiana ?? (Primulaceae)
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  • Rheum australe D. Don (Polygonaceae)
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  • Delphinium grandiflorum L./D. brunonianum Royle (Ranunculceae)
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NB: durante la missione, dopo il sopralluogo della valle di Nar-Phoo, è stata visitata anche la valle del Thorung Khola e l’area limitrofa al Campo Base del Tilicho, ad altitudini di simili a Phoo e Nar, in aree più occidentali. A causa della diversa esposizione e delle maggiori precipitazioni la flora era però caratterizzata diversamente, e le specie più presenti erano:

  • Caragana gerardiana Royle ex Benth e Caragana nepalensis Kitamura (Leguminosae/Fabaceae)
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  • Hippophae tibetana Schlechter [sinonimo H. rhamnoides L.] e Hippophae salicifolia D. Don (Eleagnaceae)
  • Leontopodium jacotianum P. Beauv. (Asteraceae)
  • Rosularia alpestris (Kar. & Kir.) Boriss (Crassulaceae)

Ad altitudini elevate, come al passo di Kyangla (5200-5300), abbiamo potuto registrare la presenza di:

  • Rhodiola himalensis (D. Don) S. H. Fu (Crassulaceae)
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  • Taraxacum tibetanum Hand.-Mazz (Asteraceae)
  • Elsholtzia eriostachya (Benth.) Benth. (Lamiaceae).

Gli utilizzi tradizionali
Disturbi respiratori
Le foglie dell’abete himalaiano (Abies spectabilis (D. Don) – Pinaceae) vengono usate in decotto per tosse e bronchite, e da esse viene ricavato per distillazione l’olio essenziale, usato localmente e venduto sul mercato interno. Due specie del genere Clematis importanti per i disturbi respiratori sono la lanke chanke (o shikari jhar –  Clematis buchananiana DC – Ranunculaceae) e la kreme (C. montana Buch.-Ham ex DC). Foglie e radici vengono utilizzati per tosse, raffreddore e sinusite.
I semi di thupme (Elsholtzia eriostachya (Benth.) Benth – Lamiaceae) vengono masticati  in caso di tosse e raffreddore, mentre radici e foglie secche di  tani na (Gentiana robusta King ex Hook. f.  – Gentianaceae) vengono bruciate ed i fumi inalati in caso di raffreddore. Sempre in caso di raffreddore e tosse viene usata una pianta dalle foglie coriacee ed aromatiche, la onma (Myricaria rosea WW Smith – Tamaricaceae), che viene pestata e ridotta a pasta e assunta per bocca. In altre zone (nel Rolwaling) si preferisce invece il decotto.
In tutto il distretto del Manang fiori e foglie e a volte pianta intera di panrimendo, o “fiore dei prati montani” (Pterocephalodes hookeri (C. B. Clarke) V. Mayer & Ehrendorfer – Dipsacaceae) vengono utilizzate per raffreddore, febbre e tosse.
Il succo della radice di Miahali (Rumex nepalensis Spreng – Polygonaceae), pianta usata soprattutto per i disturbi digestivi e della pelle, viene anche usato per  tosse e raffreddore.

Disturbi del tratto gastrointestinale
La Bistorta macrophylla (D. Don) Soják è usata soprattutto per dissenteria/diarrea, gastralgia. Il succo della lanke chanke (Clematis buchananiana DC) oppure della kreme (C. montana Buch.-Ham. ex DC – Ranunculaceae), pianta intera e radice, si usa per vari problemi gastrici (indigestione, ulcera peptica, ecc.)
I frutti di varie specie di Heracleum (H. nepalense D. Don; sinonimo: H. nepalense var bivittata CB Clarke – Apiaceae) vengono arrostiti e masticati per tosse, diarrea e dissenteria nel distretto. I frutti sono anche usati come spezie nel daal e nelle carni. In un altro distretto (Dhading) il succo della radice è reputato utile in caso di diarrea.
Il panrimendo (Pterocephalodes hookeri) viene usato in tutto il Manang come decotto di pianta intera in caso di diarrea.
Senza dubbio una delle piante più comunemente usate per disturbi gastrointestinali, e per un ventaglio di indicazioni molto ampio, è miahali (Rumex nepalensis Spreng – Polygonaceae). Le foglie si usano in caso di nausea e dissenteria (Nepal occidentale, Gurung), e le radici in caso di intossicazione alimentare e diarrea nei bovini, come purgante ed antidoto. Il succo della radice viene anche usato come antelmintico e la radice e le foglie vengono impiegate a livello topico per la gengivite.
Varie specie di Berberis (Berberidaceae), in particolare Berberis aristata DC (ban chutro), sono importanti come rimedi oftalmici e digestivi. Radice e fusto sono usate in caso di diarrea e dispepsie, e i frutti per diarrea e ittero. Il succo ricavato dalla corteccia viene usato in caso di ulcera peptica, alla dose di 4 cucchiaini tre volte al giorno.
Il succo della radice di tsharsin (Cotoneaster affinis Lindley – Rosaceae) si usa per trattare le indigestioni. Per la stessa indicazione si usa anche il succo della radice di un’altra Rosacea, la Potentilla fruticosa L. (teba), mentre la radice di Pleurospermum hookeri CB Clarke (Apiaceae) si usa per dispepsia, diarrea ed emorroidi.
Una pianta chiave della regione, dal punto di vista dei disturbi gastrointestinali ma anche dal punto di vista economico. è il phopri (Lindera neesiana (Wall. ex Nees) Kurz – Lauraceae). In Gyasumdo e in genere nel distretto del Manang i frutti neri vengono ingeriti in caso di problemi di stomaco (dispepsia) o flatulenza. In altre zone del Nepal vengono masticati in caso di diarrea, mal di denti, nausea e flatulenza.
Fiori e foglie di Dracocephalum sp. (Lamiaceae) vengono usate per problemi di fegato, stomaco e febbri associate.

Disturbi dell’apparato cutaneo
La radice ed il fusto di Berberis aristata (Berberidaceae) sono molto usate per disordini della pelle ed infiammazioni, grazie alle sue attività alterativa ed astringente. Nei distretti di Lamjung e di Dhading il succo della Clematis buchananiana DC (oppure C. montana Buch.-Ham. ex DC – Ranunculaceae) si applica localmente su tagli e ferite, mentre nel distretto di Chitwan la radice in pasta si applica localmente per gonfiori infiammatori.
Le foglie strizzate e stropicciate di Rumex nepalensis vengono massaggiate su gonfiori, ferite e foruncoli, mentre le foglie ed il fusto vengono impiegate a livello topico per l’eczema. In India le foglie sono usate per trattare le irritazioni da contatto con ortica. Bistorta macrophylla (D. Don) Soják è ritenuta, antisettica e vulneraria e viene usata soprattutto per trattare l’eczema.
Il succo della radice di mendosan  (Aster indamellus Grierson e Aster spp. – Asteraceae) viene usato su ferite e foruncoli, le radici essiccate e polverizzate di daurali phul (Stellera chamaejasme L. – Thymelaceae), mescolate con senape o cherosene, si applicano come antisettico topico su ferite aperte, e a Nar i fiori di Potentilla fruticosa L. (Rosaceae) vengono seccati, polverizzati, mescolati ad acqua, ed applicati alle ferite
La scabbia viene trattata con applicazioni locali di decotto di Delphinium sp. (Ranunculaceae), mentre Pleurospermum hookeri CB Clarke (Apiaceae) e Lindera neesiana sono ritenuti rimedi generici per problemi della pelle.

Disturbi e dolori osteoarticolari o muscolari
La radice di Silene stracheyi Edgeworth (Caryophyllaceae) viene applicata a slogature o lussazioni dopo essere stata ridotta a pasta; lo stesso tipo di preparazione (pasta della pianta) si usa quando si applica Ajuga lupulina Maximovicz (Lamiaceae) per trattare i gonfiori muscolari. Si utilizza invece il decotto di pakchar (Caragana gerardiana Royle ex Benth o Caragana nepalensis Kitamura (Fabaceae) per trattare i dolori articolari.
In Nyeshang la radice di komse (Polygonatum cirrhifolium (Wall.) Royle (Convallariaceae/Liliaceae s.l.) viene essiccata e spezzettata, mescolata  con olio ed altre piante ed applicata a livello topico per dolori alla schiena e al petto.
Rumex nepalensis è una pianta molto importante per i problemi muscoloscheletrici. In Nyeshang la radice si mescola insieme ad altre piante in varie formule usate per applicazioni topiche in caso di slogature e fratture, dopo che la parte da trattare è stata lavata con acqua e sale. Usi simili si riscontrano anche in Nepal occidentale, zona di Karnali (slogature) e nel Nepal centrale, a Nuwakot (fratture). Nel distretto di Sindhupalchok il Rumex viene usato per dolori e gonfiori articolari. Le foglie vengono usate nei villaggi di Chaubas e Syabru e nel distretto di Palpa per ferite e gonfiori, ed il decotto della pianta intera è usato per lavare il corpo in caso di dolori e gonfiori articolari.
Nel distretto di Jumla la radice di Stellera chamaejasme L. (Thymelaceae) viene usata per gotta e articolazioni doloranti, mentre il decotto della corteccia si usa per le slogature.
Myricaria rosea, Pleurospermum hookeri CB Clarke e Clematis tibetana Kuntz (oppure Clematis buchananiana DC) sono genericamente utilizzate in caso di disturbi muscoloscheletrici.

Altri utilizzi

Rumex nepalensis e Berberis sp., si usano a livello topico per problemi oftalmici, inclusi congiuntivite, infezioni e infiammazioni; Elsholtzia sp. si usa in caso di svenimenti; Myricaria rosea, Berberis sp. e Rumex sono piante genericamenre usate in caso di infezioni. Lindera neesiana si usa anche come antidoto contro piante velenose, ed il Polygonatum cirrhifolium si usa anche come tonico per il recupero dopo una lunga malattia. La Bistorta macrophylla (D. Don) Soják, oltre ai già citati utilizzi, viene anche indicata in caso di problemi di emorragie, diabete, ittero, gonorrea e vaginite.  Aster sp. si utilizza in caso di mal di denti e dolorazione al seno, Rumex nepalensis, Elsholtzia sp. e Cotoneaster acuminatus si usano per trattare le cefalee, e la Lindera neesiana è considerata un rimedio generico per il dolore.
Le specie appartenenti al genere Berberis, e il Rumex nepalensis sono considerati antidoti contro le intossicazioni alimentari e la diarrea nei bovini, mentre la Lindera neesiana fornisce foraggio supplementare per cavalli.
Varie piante utilizzate come aromatiche o piante da incenso, sono anche usate in caso di infestazioni: Caragana gerardiana Royle ex Benth. è usata come repellente contro le infestazioni di topi, Cotoneaster affinis come repellente per insetti e pidocchi, e le foglie di Tanacetum nubigenum Wall. ex DC (che sono fonte di incenso in inverno in Nyeshang e Nar) si usano per pediculosi e per allontanare gli insetti molesti.
I rami del Cotoneaster acuminatus servono a costruire bastoni da trekking e manici di ascia, e la Stellera chamaejasme L. serve come materiale per la costruzione dei tetti.
Potentilla fruticosa e Silene stracheyi Edgeworth conengono saponine e sono usate come detergente delicato naturale.

Conclusioni
Gli obiettivi limitati della missione pilota sono stati raggiunti, ma questi consistono prevalentemente in dati iconografici, analisi della letteratura, contatti con soggetti informati sugli utilizzi delle piante medicinali e sopralluoghi dei luoghi.

Idealmente queste informazioni dovrebbero servire a facilitare ulteriori missioni con valenza più operativa e con una maggior ricaduta sulle popolazioni, ed in particolare sugli strati più svantaggiati, attraverso la mobilitazione di risorse locali da parte dei locali, e l’acquisizione di maggior confidenza e coscienza dell’importanza delle conoscenze che le popolazioni hanno della natura nella quale sono immerse.
I possibili sviluppi sono molti, alcuni di carattere più teorico altri a vocazione più pratica:
1. Analisi delle differenze tra utilizzo delle MAP da parte della popolazione locale e utilizzo nel contesto “colto ” della medicina di origine tibetana.
2. Studio delle piante alimentari “da carestia”, del limine tra piante alimentari e medicinali, in situazione di agricoltura al limite della sussistenza nel villaggio di Phoo. Analisi delle preferenze alimentari di bambini e donne, uso di piante da “spuntino”.
3. Utilizzo dei dati raccolti in letteratura sulle piante della zona per fornire un feedback alla popolazione locale (sul modello delle indagini/feedback del TRAMIL).

Qualsiasi direzione possano prendere le fasi future del progetto, esse dovrebbe fare tesoro delle esperienza già accumulate da varie ONG nepalesi nel campo dei processi di autotrasformazione, attraverso sistemi di educazione degli adulti come REFLECT e di lavoro orientato ai processi piuttosto che agli obiettivi, di educazione alla preservazione della natura e della cultura come opportunità per lo sviluppo, del rafforzamento l’identità ed originalità etnica per prevenire la disgregazione.

L’albero dei Chepang

Un bell’articolo sull’etnobotanica dei Chepang (Arun Rijal (2008) “Living knowledge of the healing plants: Ethno-phytotherapy in the Chepang communities from the Mid-Hills of Nepal” Journal of Ethnobiology and Ethnomedicine, 4:23) mi da lo spunto per parlare della mia breve ma bella esperienza con questo gruppo etnico nepalese, uno dei gruppi più svantaggiati e più poveri del Nepal, che possiede una vasta conoscenza tradizionale del territorio e della sua gestione, e che grazie al lavoro di alcune ONG nepalesi sta riconquistando la propria autostima e la coscienza dell’importanza del sapere locale.

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I Chepang, ufficialmente conosciuti come Praja, fanno parte di uno dei 61 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti dal governo nepalese (ce ne sono in realtà più di 80), uno dei più piccoli (rappresentano lo 0,25% della popolazione nepalese) e uno dei più poveri e marginalizzati.
Fisicamente si distinguono per avere delle caratteristiche tipicamente mongoloidi ed il loro linguaggio deriva da dialetti Tibeto-Burmani.

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Vivono in villaggi, o meglio gruppi di nuclei familiari, sparsi sulle colline delle montagne del Mahabharat, nel Nepal centrale, soprattutto nei distretti di Makwanpur, Dhading, Chitwan e Gorkha.   I loro antenati sono stati cacciatori-raccoglitori fino a 100-150 anni fa, e coltivatori con tecnica slash-and-burn.

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Dipendono ancora molto dalla foresta (in particolare dall’albero del Chiuri) per ricavare cibo, materiale ed introiti; la loro dipendenza da una agricoltura più complessa è molto recente.

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Riescono mediamente ad ottenere dalla coltivazione il necessario per sostenersi per 6-8 mesi, mentre per il resto dell’anno (da febbraio a giugno) devono arrangiarsi con la raccolta nel selvatico oppure indebitarsi.  Nel 1999 il 50% della popolazione risultava indebitato, e il reddito pro-capite annuo era al di sotto dei 130 dollari.

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La vendita di prodotti forestali non legnosi (Non Timber Forest Products – NTFPs) rappresenta una fonte di reddito importante che ha molti margini di aumento, che permette un recupero delle tradizioni popolari ed un aumento dell’autostima di questa popolazione che per secoli è stata vista (e si è vista) come retrograda, incapace, primitiva.

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In lavoro di molte ONG nepalesi, ed in particolare del progetto SEACOW (School for Ecology, Agriculture and Community Work) sulle pratiche agricole e produttive ecologiche, si è per l’appunto concentrato sulla capacità di utilizzare il sapere tradizionale e i secoli di rapporto con la foresta per modificare l’immagine di sé di questi gruppi e per demistificare i processi economico-produttivi, in modo che la popolazione stessa possa trarre vantaggio economico e sociale dalle proprie conoscenze.

Parte integrante di questo progetto è lo studio delle piante medicinali della zona.
Le principali piante medicinali tradizionalmente usate dalla comunità Chepag nella zona del Mahabharat sono:
•    Chebulic myrobalan (Terminalia chebula)
•    Belleric myrobalan (Terminalia bellirica)
•    Emblic myrobalan (Phyllanthus emblica)
•    Asparagus racemosus
•    Gurjo (Tinospora cordifolia)
•    Jasminum officinale
•    Castanopsis indica
•    Dioscorea alata
•    Cinnamomum tamala fol.
•    Chiuri (Diploknema butyracea)

L’albero del Chiuri

I Chepang hanno un rapporto particolarmente stretto con l’albero del Chiuri (da loro chiamato Yoshi).  Una famiglia è considerata più o meno ricca a seconda di quanti alberi possiede, e il sapere tradizionale sulle tecniche di semina, raccolta dei vari frutti e derivati e loro utilizzo è di grande interesse perché estremamente specializzato e caratterizzato culturalmente.  Si può senza dubbio dire che la cultura Chepang sia strettamente associata al Chiuri.

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Narra una leggenda Chepang che: “molto tempo fa, una bufala scappò dalla propria stalla di notte e andò a mangiare nel campo di miglio finché non fu completamente satolla.  Ma al momento di tornare, dato che era buio, la bufala non riuscì a ritrovare la strada e cadde in un pericoloso precipizio, e vi rimase incastrata a metà strada.  Nessuno riuscì ad estrarre la bufala, e quindi ella lì morì.  Nello stesso luogo, fertilizzato dalla carcassa, nacque il primo albero di Chiuri”.
Secondo questa leggenda, si possono leggere nel Chiuri le tracce della sua origine: il frutto del Chiuri dà un succo bianco, che è il latte della bufala, e l’olio ottenuto dai semi è il burro di bufala.  I piccoli granelli neri che si trovano nel frutto sono il miglio mangiato dalla bufala durante la notte.  Ancora oggi i Chepang dicono che il Chiuri è come una “bufala da latte per noi”.

Botanica sistematica

  • Nome scientifico: Diploknema butyracea (Roxb.) H. J. Lam
  • Famiglia: Sapotaceae  Juss.  Composta da 800 specie tropicali suddivise in 35-75 generi mal definiti.
  • Sinonimi: Bassia butyracea Roxburgh; Madhuca butyracea (Roxb.) J. F. Macbride; Aesandra butyracea (Roxb.) Baheni

Nomi locali

  • Uttar Pradesh – Chiura, Bhalel
  • Hindi – Phalwara, Phulvara, Phulwa
  • Chepang: Yoshi (Ban Yoshi se l’albero è selvatico e Rang Yoshi se è coltivato).

A dimostrazione della profonda conoscenza che i Chepang hanno del Chiuri, basti sottolineare come essi usino almeno 32 nomi diversi per descrivere l’albero a seconda del tempo di fioritura, del colore del frutto, delle foglie, del tronco, dei rami e dei semi, della forma del tronco e dei rami, della dimensione della consistenza, del sapore e dell’odore del frutto, della produttività ed infine della posizione dell’albero stesso nel territorio.

Descrizione botanica
L’albero del Chiuri è un sempreverde di media grandezza (da 3 a 10 metri in altezza) che necessità di una buona insolazione ed ha una certa tolleranza al freddo. (Jackson 1987, Campbell 1983).

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Ecologia e distribuzione

Nel subcontinente indiano si trova nel tratto sub-himalayano, da Dehra Dun al Buthan, tra i 400 e i 1400 m, ma alcuni esemplari sono stati identificati a 4500 m

In India si trova soprattutto nel Sikkim e nell’Uttar Pradesh (distretto di Pithoragarh) al confine con il Nepal (tra 600 e 1000 m), e nelle colline del Kumaon e del Gharnal.  E’ presente anche sull’oceano indiano, ad Andaman e Nicobar

In Nepal si trova nella zona sub-himalayana, su pendii scoscesi, terreni rovinosi e precipizi, soprattutto nelle foreste dei distretti di Chitwan, Gorkha, Dhading, Rolpa, Argha, Khanchi e Makwampur.  In particolare vi è una grande concentrazione nelle colline del Mahabharat, tra i 500 e i 1400 m.
Si pianta con successo su terreni poveri e sassosi e la germinazione dei semi è di meno di tre settimane.

Importanza del Chiuri
Quali sono i punti di interesse del Chiuri nell’ambito di un progetto di sviluppo?

•    Importanza economica per i contadini poveri.
•    Sostenibilità ecologica: è adattato a terreni non coltivabili e migliora la qualità del suolo.
•    Potenziale economico per l’industria nepalese.
•    Importanza socioculturale per i Chepang.

Il Chiuri rappresenta ancora una fonte di reddito non secondaria per i Chepang (ed altre popolazioni).  E’ normale per ogni famiglia possedere almeno alcuni alberi di Chiuri, da 5 a 10-20 per le famiglie più ricche.  Il possesso dell’albero è slegato dal possesso della terra; una famiglia può possedere degli alberi in terreni non propri; questo possesso le dà il diritto di sfruttare per prima gli alberi per la raccolta dei frutti e dei semi, ecc., fino al mese di Saun masanta (metà di luglio), dopo il quale l’albero diviene di proprietà comune e chiunque può sfruttarlo, anche se di solito vi sono accordi interfamigliari per regolare lo sfruttamento (questo tipo di gestione comune dei beni e di modificazione della proprietà è tipico dei Chepang che si distinguono dal resto delle popolazioni nepalesi anche per un ridotto divario tra uomo e donna rispetto ai diritti).  L’albero è trattato come un membro della famiglia, e gli alberi della famiglia sono ereditati e divisi in parti uguali tra i membri della famiglia stessa.  Il legame con questa pianta è così forte che, quando un albero è malato, viene curato dal guaritore locale proprio come curerebbe un essere umano.

Il ghee derivato dai semi rappresenta la principale fonte di sussistenza per molti Chepang; esso costituisce la principale fonte di grasso alimentare, ed i Chepang preferiscono famiglie numerose anche perché queste significano più mano d’opera per la raccolta dei frutti. La produzione varia da 15 a 60 kg di ghee all’anno, dei quali 3-10 vengono venduti al mercato.  La vendita del ghee rappresenta una fonte di sussistenza potenzialmente molto importante per i Chepang.  De la Court (1995) ha infatti calcolato che vendendo il ghee la popolazione riuscirebbe a comprare 4 volte la quantità di cereali coltivabili nello stesso tempo.  Il problema è che mentre offerta e richiesta di ghee sono sufficienti, i mediatori hanno per molti anni approfittato dell’ingenuità dei coltivatori per aumentare il loro profitto.  E’ necessario quindi creare nuove opportunità di incontro saltando i mediatori.  E’ inoltre necessario risolvere alcuni gravi problemi legati all’albero stesso.

Problemi
In alcune zone del Nepal la produzione di frutti è andata declinando fino ad essere al giorno d’oggi il 20-30% della produzione di dieci anni fa.  Questa riduzione è dovuta ad un aumento della caduta di frutti immaturi, per cause non chiare, ma probabilmente legate a cambiamenti climatici regionali o globali (riduzione delle precipitazioni invernali, erosione del suolo, attacchi di insetti).
Uno dei compiti futuri sarà quello di studiare a fondo le ragioni della caduta dei frutti immaturi, le migliori condizioni pedo-climatiche per l’albero ed eventualmente la selezione di genotipi più resistenti.

Il seme
Il seme costituisce l’11-15% del peso del frutto fresco.

From Nepal 2004
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Composizione
1. Proteine 5-8%

2. Saponine 12-15%
Dalle saponine, dopo l’idrolisi, si ottengono β-D-glucoside del β-sitosterolo e vari diterpenoidi, tra cui acido bassico, acido protobassico e acido idrossiprotobassico.

3. Grassi 41-48% (60-70% del seme decorticato)
Acidi grassi

  • Acido palmitico    50-65%
  • Acido stearico    3-5%
  • Acido oleico        25-36%
  • Acido linoleico    3-4%
  • Acido miristico    0,3%

Trigliceridi

  • Tripalmitina    7,7-10%
  • Oleodipalmitina    54-62%
  • Palmitooleostearina    7-8,6%
  • Palmitodioleina    14,4-23%
  • Oleodistearina    0-0,4%
  • Stereodioleina    0-1,2%
  • Altri    0-13%

4. Carboidrati totali 30%
Zuccheri tra i quali:

  • Glucosio
  • Arabinosio
  • Xilosio
  • Ramnosio

Il guscio del seme (19-30% del peso del seme fresco) contiene flavonoidi tra i quali lo 0,2% di quercetina e 1,75% di diidroquercetina, cosa quest’ultima piuttosto rara.

Grasso
Il grasso ricavato dal seme quando è puro è bianco, di odore e sapore buoni e non irrancidisce facilmente.

Processo di estrazione
•    Raccolta dei frutti maturi
•    Eliminazione polpa e lavaggio dei semi
•    Essiccazione dei semi al sole
•    Contusione e polverizzazione del seme in un piccolo mulino detto dhiki
•    Separazione della farina del seme dal guscio
•    “Cottura” a vapore della farina (contenente il 52% di grasso)
•    La farina viene posta in un cesto di bambù detto pyar , e viene estratta per compressione grazie alla chepuwa, un attrezzo composto di due assi di legno (dette kole) che comprimono il pyar.
•    Dalla prima compressione si ricava il 27% dell’olio; il residuo viene nuovamente estratto ottenendo il 10% di grasso.
•    Una volta estratto il grasso si raffredda e solidifica
•    Il cake (pina) residuo contiene ancora il 15% di grasso.

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Essicazione dei semi al sole e contusione dei semi

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Setacciatura e separazione dei gusci

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“Cottura” dei semi

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I semi “cotti” vengono inseriti in una pressa idraulica e pressati

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Il Ghee di Chiuri assume la sua forma solida dopo essersi raffreddato

Il metodo d’estrazione tradizionale, dal punto di vista occidentale, è poco efficiente, dato che lascia nel residuo dei semi circa il 14% del grasso estraibile.  Un’ovvia proposta è stata quella di utilizzare dei metodi di spremitura più potenti.  Ma la soluzione non è cosi semplice.  Una pressione più elevata estrae una maggior quantità di grassi, ma anche una elevata percentuale di saponine, rendendo il grasso non commestibile, di odore molto sgradevole e di colore dal verde al marrone.  E’ quindi necessario ripartire dai metodi tradizionali e trovare un compromesso.  La spremitura con pressa idraulica può andare bene per la produzione di grasso destinato a successive purificazioni per la fabbricazione di saponi o creme.

Dati fisico-chimici

  • Punto di fusione    47-49° C
  • Sp gr 15° C    0,856-0,870
  • nD 40° C    1,4552-1,4659
  • Acidità    0,5-14,5
  • Saponificazione    170-200
  • Valore dello iodio    40-51
  • Acetyl value    605
  • RM value    0,4-4,3
  • Hehuer value    96,2
  • Polenske value    0,65
  • Non saponificabili    1,4-5% (di solito 2-2,8%)

Cake

Composti           Grezzo*    Processato**
Saponine           15-27%     0%
Proteine            25-37%     18-34%
Grassi               29%           0,25%
Carboidrati       17%           40%
Fibre                4,5%          8,9%

* Dopo la normale estrazione del grasso mediante compressione
** Dopo l’estrazione completa di saponine e grassi

Utilizzo
Semi interi
I semi sono considerati galattogoghi

Grasso

Usi tradizionali
•    Alimentare: usato in cucina in svariati modi, è il grasso più economico sul mercato
•    Medicinale: internamente per costipazione cronica e febbre biliare. Rimedio topico per reumatismi, pelle infiammata e secca, lesionata, tenia pedis.
•    Combustibile per lampade a burro a scopo religioso: non crea fumo od odori cattivi, la sua luce è molto brillante e la fiamma è di lunga durata.

Usi possibili
•    Margarina
•    Buona fonte di acido palmitico per l’industria farmaceutica
•    Candele
•    Saponi, usato al posto dell’olio di cocco
•    Creme ed unguenti medicali
•    Unito all’Attar per ungere i capelli

Cake

Il cake grezzo è usato come:
•    Concime con proprietà pesticide (date dalle saponine), usato per i campi di riso e per le coltivazioni di banani.  E’  però molto povero in azoto (< 4%-5,5%).
•    Sostituto del sapone, soprattutto per il lavaggio del bucato.
•    Vermicida, nematocida, molluschicida, rodenticida ed insetticida
•    Veleno per la pesca, meno tossico dei normali pesticidi utilizzati
•    Veleno per lombrichi per prati e campi da golf
•    Come componente di mix insetticidi.
•    Lozione per capelli in combinazione con Acacia cananna
•    Dopo la rimozione delle saponine si utilizza come mangime per bestiame bovino e polli.

Altre parti del Chiuri utilizzate dai Chepang

Fiori

Composizione chimica

•    Molibdeno    0,95 ppm
•    Zinco    13,95 ppm
•    Zuccheri tra i quali:
•    Arabinosio
•    Ramnosio
•    Fruttosio
•    Glucosio
•    Saccarosio
•    Maltosio
•    Levulosio
•    Destrosio
•    Pentosi
•    Grassi        0,6%
•    Fibre        1,7%
•    Vitamine, tra le quali:
•    Vitamina A
•    Vitamina C
•    Tiamina
•    Acido nicotinico
•    Riboflavina
•    Acido folico
•    Biotina

Il Saccharomyces cervisia è presente naturalmente nei fiori e li rende un ottimo materiale grezzo pronto per la fermentazione alcolica.

I fiori sono inoltre ricchissimi di nettare, che è usato dalle popolazioni locali per fare uno sciroppo molto apprezzato.
E’ una pianta mellifera e le api producono da questi fiori un miele di ottima qualità, usato anche a scopo medicinale per il trattamento dei disturbi dell’occhio.

Usi medicinali
•    Sono considerati rinfrescanti, afrodisiaci, galattogoghi, espettoranti, carminativi.  Usati per disordini cardiaci, pirosi, biliosità, disordini dell’orecchio.
•    Secchi si usano sotto forma di fomente calde per l’orchite
•    Fritti nel ghee si usano per le emorroidi
•    Il liquore ricavato dai fiori viene descritto nell’Ayurveda come: caldo, astringente e tonico

Frutto

Composizione

Parte    % del peso fresco
Buccia    25,3
Seme    18,2
Polpa    5605

La polpa contiene:
•    Acqua    87,5%
•    Fibre    5,56%
•    Zuccheri    6,47%, di cui 3,8% zuccheri riducenti e 3,39% zuccheri non riducenti
•    Pectina    0,289%
•    Vitamina C    3,21 mg su 100 gr
•    Acetato di α-amirina
•    Acetato di β-amirina
•    Palmitato dell’acido oleanolico
•    Eritrodiol-3-caprilato
•    Eritrodiol-3-palmitato
•    D-glucosidi dell’α-spinaserolo e del β-spinasterolo
•    Olio essenziale contenente: etilcinnamato, α-terpineolo e vari sesquiterpeni

Usi
Alimentari: sciroppo per addolcire il tabacco; liquore fermentato; succo di frutta oppure frutto fresco
Medicinali: bronchite, disordini del sangue, consunzione

Foglia

Composizione chimica

•    Entriacontano
•    Esacosanolo
•    Acetato di β-amirina
•    α-spinasterone
•    α-spinasterolo
•    Miricetina-3-O-L-ramnoside
•    Saponine, tra le quali acido protobassico e acido epiprotobassico
•    Glucosio
•    Arabinosio
•    Xilosio
•    Ramnosio

Corteccia

Composizione chimica

•    Tannini (17%)
•    Glicosidi, tra le quali: bassianina a, b e c
•    Vari agliconi polimerici di leucocianidine associati a R-O-xilosio-O-arabinosio-O-ramnosio-O-ramnosio-O-glucosio
•    Acetato di α-amirina
•    Acetato di β-amirina
•    Eritrodiol-3-palmitato
•    Palmitato dell’acido betulinico
•    Friedlina
•    D-glucosidi dell’α-spinasterolo e dell’β-spinasterolo

Usi
Rimedio per reumatismi, ulcera, prurito, gengivite sanguinante, tonsillite, lebbra e diabete
Veleno per pesci

Utilizzo del Chiuri da parte dei Chepang.

  • Tronco: pali e travi, manici di attrezzi agricoli
  • Rami: legna da ardere, manici di attrezzi agricoli
  • Foglia verde: mangime, piatti
  • Foglia secca: ‘cartina’ per tabacco
  • Corteccia: legna da ardere, farmaco veterinario, rimedio medicinale, veleno per pesci
  • Frutto: alimento, sciroppo per tabacco, liquore fermentato, bronchite, disordini del sangue, consunzione
  • Fiore: nettare alimentare, uso medicinale interno ed esterno del fiore e del liquore di fiori.
  • ‘Burro’ dai semi: alimentare, medicinale, combustibile per lampade a burro, fonte di acido palmitico, candele, saponi, creme ed unguenti medicali
  • Cake dei semi: concime, pesticida, sostituto del sapone, veleno per pesci, lozione per capelli, mangime dopo la rimozione delle saponine
  • Lattice: per intrappolare insetti ed uccelli, gomma da masticare

Bibliografia