Tutti i tuoi vestimenti sanno di mirra, d’aloe, di cassia

 Mirra

“Tutti i tuoi vestimenti sanno di mirra, d’aloe, di cassia;.” Salmi 45:8.

“… sei mesi per profumarsi con olio di mirra e sei mesi con aromi e altri cosmetici usati dalle donne…” Esther 2

Introduzione

Le 150-220 specie[1] appartenenti al genere Commiphora Jacq. (famiglia delle Burseraceae) sono native dell’Arabia meridionale (Oman, Yemen, isola di Socotra), dell’Africa Nord Orientale (52 specie in Somalia, alcune delle quali presenti anche in Etiopia e Sudan), e del Madagascar, ma alcune specie sono native dello Sri Lanka e altre possono crescere anche in India. Due specie meno importanti si trovano anche in Centro America[2].  Si tratta in genere di piccoli alberi dall’habitus arbustivo, spesso usati come palizzate vivente. La loro importanza nella storia dell’uomo deriva però dall’essudato gommo-resinoso da esse ottenuto, usato sin dall’Antichità come rimedio medicinale e come incenso[3]. Le gommo-resine derivanti dalle varie specie di Commiphora (e in senso più generale dalle specie appartenenti alla famiglia delle Burseraceae) mostrano tra loro una forte somiglianza fitochimica e simili applicazioni sia terapeutiche sia rituali, magico-religiose. Si tratta sempre di resine caratterizzate dalla presenza di composti terpenoidici e di intrusioni di polisaccaridi (per cui vengono classificate come gommo-resine, in alcuni testi come oleo-gommo-resine). In effetti questa somiglianza è stata riconosciuta sin dall’antichità, se già i trattati medici della tradizione Sanscrita consideravano le diverse resine come intercambiabili[4].

Myrrh

Quale specie?

A causa di una tassonomia non perfettamente chiarita, e delle ambiguità intrinseche nelle fonti storiche, non è possibile identificare con precisione l’entità tassonomica che corrisponde al materiale resinoso Mirra.  Se facciamo riferimento alle citazioni bibliche, Duke[5] argomenta che è impossibile indicare con chiarezza la specie citata nella Bibbia, ma restringe il campo a tre specie, la C. africana (A.Rich.) Engl.  (chiamata anche Bdellio o Mirra africana), la C. habessinica (O.Berg.) Engl. e la C. myrrha (Nees) Engl. (detta anche olio di Mirra o Stacte, o Mirra harobol[6])tendendo a preferire come candidata la C. habessinicasulla scorta dell’opinione di un eminente botanico biblista come Zohary[7] . A testimonianza dell’intrico tassonomico e storico, lo stesso Duke aveva, in un testo precedente, identificato la Mirra con la C. myrrha, e denominato Bdellio la C. africana[8], e in un altro testo aveva invece deciso che il candidato più probabile per la Mirra biblica fosse la C. erythraea[9] Engl. (lo Bdellio profumato o Mirra profumata dell’Antichità, detta anche Opopanax o Mirra bisabol, famosa per il suo profumo estremamente persistente).

Altri autori argomentano che Cmyrrha sarebbe la fonte della Mirra del periodo Classico, e non della Bibbia[10], che deriverebbe, come detto sopra, da C. habessinica  oppure da C. guidotii Chiov. ex Guid (detta anche Mirra profumata).

In realtà anche al giorno d’oggi la Mirra si ottiene da più di una specie botanica.  Nella discussione che segue parleremo di Mirra in senso generico per intendere la droga storicamente riconosciuta, a prescindere dall’esatta fonte botanica, e solo nell’ultima parte dell’articolo ci soffermeremo sulle caratteristiche specifiche della specie paradigmatica.

commiphora myrrha essudato 1871

Storia

Il termine italiano Mirra traduce una parola latina (Myrrha, o Murrha, o Murra) derivante dalla parola Greca múrrāa sua volta di origine semitica, con radici nell’Arabo murr, nell’Ebraico mōr e nell’Aramaico mūrā, tutte con lo stesso significato, amaro (il termine Smyrna è una forma dialettale greca derivante da Myrrha). Questo termine identifica la resina aromatica prodotta da specie diCommiphora che crescono in Arabia e in Africa orientale subtropicale, usata dagli antichi come profumo[11], per imbalsamare[12] (tanatoprassi, taxidermia), come anodino[13], e per molte altre applicazioni (vedi più sotto le Indicazioni storiche). In Antichità venivano riconosciute due varietà di mirra: la bissa bol(Bhesabol/Bysabole/Hebbakhade in Somalia), e la Mirra Araba, coltivata con Acacia, Moringa ed Euphorbia. In realtà il termine Myrrha non identificava necessariamente una specie del genere Commiphora, ma serviva a denotare qualsiasi pianta profumata; infatti una seconda traduzione dell’ebraico mor fa riferimento alla parola ebraicalot, che porta a Ladanum/Labdanum, la resina del Cistus ladanifer L. (Cistaceae).

Il più antico resoconto scritto sugli usi etnomedici della Mirra proviene dalla Mesopotamia e risale al 2.600 a.C.; in esso si descrive l’uso di migliaia di derivati dalle piante, tra i quali troviamo anche le resine/olii di Cedrus sp., di Cupressus sempevirens  L. ed anche di Mirra14], usate in casi di infiammazione.

In tutta l’Asia minore era comune il suo utilizzo per riti funerari, per ungere il capo ed il corpo delle persone, per imbalsamare i morti (il termine imbalsamare viene da in balsamum, conservare con un balsamo, termine generico che identificava qualsiasi resina abbastanza fluida[15]).

La Mirra era certamente conosciuta nell’Egitto antico, probabilmente fin dal III millennio a.C., periodo per il quale  si hanno notizie dell’utilizzo di molte sostanze aromatiche per il rito dell’imbalsamazione – una volta che il corpo era stato essiccato immergendolo nella sabbia del deserto, è possibile che venisse unto con resine o olii derivati da legno di cedro, ginepro, cannella, chiodi di garofano e noce moscata, ma soprattutto con le resine di tre specie di Commiphora: Mirra, Balsamo (Commiphora opobalsamum Engl.) e Bdellium (Commiphora mukul[16] (Hook. ex Stocks) Engl.).

Vasi ritrovati nella tomba di Tutankhamen (1.350 a.C., aperta nel 1.922 d.C.) contenevano ancora tracce d’incenso e mirra e altre piante aromatiche. Le indagini hanno chiarito che la resina fu usata nella camera mortuaria sia come agente mummificante, sia come vernice, cemento e materiale per ornamento personale[17] del faraone.

Papiri risalenti al 2.800 a.C. (regno di Khufu) riportano usi magici/medicinali di  sostanze aromatiche. I dolori muscolari erano trattati con unguenti contenenti incenso e cannella; per le malattie della pelle (forse herpes) gli unguenti utilizzati contenevano mirra, coriandolo e miele.

Secondo i documenti, in Egitto l’uso religioso dei materiali aromatici era ben strutturato: al mattino venivano bruciate delle resine, a mezzogiorno della mirra, mentre al tramonto il dio Ra veniva venerato con offerte della miscela detta Kyphi (preparazione particolarmente famosa che, secondo fonti più tarde, conteneva sedici ingredienti tra i quali materiali nativi come il ginepro, menta piperita, uva passa,ed altre piante aromatiche, mescolati a miele e vino, e materiali esotici comeincenso, mirra, e cannella[18]), utilizzata dai sacerdoti come mezzo per “trasportare” il dono dell’uomo verso gli dei. Il Kyphi non aveva solo utilizzi religiosi, serviva anche per facilitare il sonno, alleviare le ansie, aumentare i sogni, eliminare la tristezza, trattare l’asma ed agire come un antidoto generico.

Secondo Hoots[19] inizia in questo periodo il commercio su scala significativa della Mirra, proprio perché era ampiamente utilizzata come incenso nei templi, come profumazione delle mummie ed in altre applicazioni, grandi erano le quantità necessarie (alcune iscrizioni nel 2.500 a.C. parlano di 80.000 misure di mirra[20]), e in Egitto non era possibile coltivare l’albero

Hatshepsut

La prima testimonianza scritta chiara sull’uso significativo di resine esotiche in Egitto risale però al 15°secolo a.C, è relativa al suo trasporto commerciale[21], ed è contenuta in una iscrizione del tempio dedicato alla Regina Hatshepsut di Tebe. Dalle iscrizioni si legge come essa ordinò una spedizione verso il Mar Rosso, perraccogliere incenso delle terre di Punt (una zona non ben delimitata forse comprendente la costa della Somalia e una porzione della costa Araba opposta, alla bocca del mar Rosso). In quella che è stata descritta come la prima spedizione di raccolta di piante/etnobotanica, trentun alberi di incenso furono riportati indietro e piantati presso il tempio di Karnak sulle rive del Nilo superiore. Non è in realtà chiaro se si trattasse veramente di alberi di Boswellia, ed è più plausibile che si trattasse di alberi di Commiphora myrrha, dato che essa è una delle specie tipiche della Somalia.

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Terra di punt

L’antico Egitto si pose quindi come intermediario tra il Mediterraneo ed i mercanti Arabi nell’attuale Yemen, i quali a loro volta commerciavano con l’India.

Erodoto[22] nel V secolo a.C. nota l’importante ruolo della mirra per il processo di imbalsamazione in Egitto, e lo spiega raccontando una leggenda: si racconta che ogni 500 anni la fenice rinata depositasse un contenitore a forma di uovo e fatto di pura resina di mirra, racchiudesse il corpo del suo padre appena deceduto all’interno dell’uovo e lo portasse dall’Arabia in Egitto perché fosse cremato presso il tempio di Ra ad Heliopolis[23].

La resina era anche conosciuta in Israele e in Assiria dove il re Assurnasirpal II (883-859 a.C.) aveva trapiantato un albero di Mirra nei suoi giardini botanici presso Calah (la moderna Nimrud,  antica città Assira a sud di Mosul nell’Iraq del Nord).

Nelle antiche pratiche giudaiche Greche e Romane la mirra veniva usata per il culto degli dei ma anche in molte occasioni sociali, pubbliche e private. Era associata all’intimità del piacere sensuale.  Saffo[24] nel VI secolo a.C. parla delle volute di fumo di mirra, cassia e incenso durante un matrimonio.

La mirra (insieme all’incenso) è naturalmente molto presente negli scritti biblici, ci sono ventidue citazioni delle due resine tra il Vecchio e il Nuovo Testamento[25].  Il Vecchio testamento parla di unguenti medicamentosi a base di mirra, cannella, cassia, calamo aromatico, ecc., e la mirra era l’ingrediente principale dell’olio sacramentale degli ebrei nel Vecchio Testamento[26], e Gesù rifiutò “vino mescolato a mirra” (Vinum murratum) durante la crocifissione[27] facendo si che la Mirra fosse associata al suo martirio (mentre l’Incenso è associato alla sua divinità).

Anche nei testi biblici è presente l’associazione con l’intimità del piacere sensuale: nel libro ebraico dei Proverbi una adultera dice: “Ho guarnito il mio letto di morbidi tappeti, di coperte ricamate con filo d’Egitto/ l’ho profumato di mirra, d’aloe e di cinnamomo./Vieni inebriamoci d’amore fino al mattino, sollazziamoci in amorosi piaceri;” (Proverbi 7:16-18).

Viene anche citata varie volte nel Cantico dei Cantici: “… Sono entrato nel mio giardino, o mia sorella, sposa mia, ho colto la mia mirra col mio balsamo; ho mangiato il mio favo col mio miele, ho bevuto il mio vino col mio latte. Amici, mangiate, bevete; sì inebriatevi, o diletti…” (Cantico dei cantici 5:1); “L’amico mio ha passato la mano per il buco della porta, e le mie viscere si son commosse per lui. Mi son levata per aprire al mio amico, e le mie mani hanno stillato mirra, le mie dita mirra liquida, sulla maniglia della serratura” (Cantico dei Cantici 5:4-5).

Viene citata nella genesi: “Allora Israele, loro padre, disse loro: “Se così è fate questo: Prendete ne’ vostri sacchi delle cose più squisite di questo paese, e portate a quell’uomo un dono: un po’ di balsamo, un po’ di miele, degli aromi e della mirra, de’ pistacchi e delle mandorle.” (Genesi 43: 11), nell’Esodo: “Procurati balsami pregiati: mirra vergine per il peso di cinquecento sicli, cinnamòmo odorifero, la metà, cioè duecentocinquanta sicli, canna odorifera, duecentocinquanta” (Esodo 30:23) e nei Vangeli; Giovanni parla della sepoltura del Cristo: “Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre./ Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei.” (Giovanni 19: 39-40), e  nel Vangelo secondo Matteo la mirra è uno dei doni portati dai Re Magi a Gesù Bambino (Matteo 2:11).

Con il nome Myrrha o Smyrna era conosciuta dai greci nel VI secolo a.C. e in seguito Teofrasto (322-287 a.C.) fu in grado di dire qualcosa delle sue origini grazie alle notizie derivanti dalla spedizione di Alessandro il Grande in Arabia[28].  Nella Historia Plantarum egli parla di Stacte o Mirra liquida, e ne descrive l’utilizzo per speziare i vini.  Era molto usata anche in medicina, anche se il giudizio su quale fosse la miglior qualità differisce secondo gli autori: Teofrasto[29] preferisce quella invecchiata mentre Dioscoride[30] dichiara che la migliore è quella più fresca, leggera e friabile, perché più pungente e riscaldante.

Strabone (64-24 a.C.) nel suo Geografia cita il regno di Saba (la Sabaea – attuale Yemen) come fonte di balsamo, cannella, incenso e mirra.

Nel Corpus Hippocraticus è la resina citata più spesso, per ben cinquantaquattro volte,   spesso per disturbi legati agli epiteli: in “De Fistulis” si consiglia di usarla per trattare fistole anali[31], in “De haemorrhoidibus ” viene usato per curare le emorroidi al posto della cauterizzazione o dell’incisione[32], e in De Ulceribus viene descritto un lungo procedimento per la produzione di un linimento secco a base di mirra ed incenso da applicare su ulcere e piaghe, vecchie e nuove[33].

Dioscoride usa la mirra in una ricetta per il mal d’orecchi, dove l’ingrediente principale è il latice del papavero da oppio (Papaver somniferum L.), mescolato a mirra, olio di mandorle e zafferano[34].

Ma sono le fonti romane, in particolare Plinio il Vecchio, che dominano la letteratura sulla mirra. Intorno al primo secolo a.C., è infatti questo autore nella sua Naturalis Historia a raccogliere la maggior messe di dati sull’argomento[35], e a dare molti dettagli sulla pianta, sulle sue origini e sulla raccolta, e sulle sue qualità “riscaldanti, mordenti, astringenti e leggermente amare[36]“.

Ci dice Plinio che:

L’albero che produce la Mirra viene allo stesso modo inciso due volte all’anno, nella stessa stagione dell’albero dell’Incenso, ma nel suo caso le incisioni vengono effettuate  a partire dalle radici su fino ai rami forti a sufficienza.  Prima di essere inciso, l’albero essuda un succo chiamato Stacte, che è la più apprezzata di tutte le Mirre. Subito dopo di questa viene il tipo coltivato, ed anche la miglior qualità del tipo selvatico, quella raccolta in estate.

In tutta la regione viene raccolta e trasportata da persone ordinarie e messa in sacchi di cuoio. I nostri profumieri non hanno difficoltà a distinguere i differenti gradi, grazie all’evidenza dell’aroma e della consistenza. Vi è un gran numero di varietà (…).  Parlando in generale, comunque, la mirra è di buona qualità se è costituita da piccoli pezzi di forma irregolare, che si formano al solidificarsi e allo sbiancarsi del succo nel momento in cui si secca; ed anche se mostra segni bianchi, come unghie quando viene rotta, e ha un sapore leggermente amaro[37].

La sua introduzione nei riti religiosi è testimoniata da molti autori classici[38], e diventa anche protagonista di racconti mitici.  Rifacendosi allo schema di un mito narrato dallo Pseudo-Apollodoro nella Bibliotheca, Ovidio, nelle sue Metamorfosi (ma il mito, con variazioni, è raccontato anche nelle Fabulae di Igino, e nelle Metamorphoses di  Antonino Liberale), racconta della nascita dell’albero di mirra. Myrrha, la figlia del re di Cipro, Cinira,  e di Cencreide, desiderava incestuosamente il padre[39].

Myrrha Cinyras

Con l’aiuto della nutrice riuscì ad ingannare il padre per giacere con lui per varie notti, ma venne scoperta e, incinta, fuggì per salvarsi dall’ira del padre. Arrivata alla città di Saba e pronta a partorire, Myrrha confessa le sue colpe agli dei e chiede di essere bandita sia dal mondo dei vivi che da quello dei morti. Gli dei ascoltano la sua preghiera e la trasformano in un albero che stilla gocce di pianto profumato dalla corteccia. Adone, aiutato da Giunone Lucina (“colei che porta i bambini alla luce”), riuscirà a nascere dal grembo legnoso.

Adonis

La mirra è uno degli ingredienti principali della farmacopea romana con più di 200 citazioni, ed anche se non aveva la popolarità dell’Incenso, il suo prezzo era di molto superiore e per questo divenne un simbolo di status sociale ed economico, oltre che simbolo religioso e strumento terapeutico.

La mirra era una componente principale di un vino speziato molto apprezzato dai Romani, il Musulm, un aperitivo contenente forse miele, vino, radici di Sausurrea costus (Falc.) Lipsch, e Cinnamomum tamala (Buch.-Ham.) T.Nees & Eberm., oppure, secondo un’altra versione, Mirra, Cinnamomum aromaticum Nees., Sausurrea,Nardostachys jatamansi (D.Don) D.C., Pepe e Miele[40].

Le rotte commerciali

Dal 2.000 a.C. gli Arabi monopolizzano il mercato, per il momento ridotto e locale, di Boswellia e Commiphora, mercato che vedrà una prima forte accelerazione grazie alla introduzione del cammello in Arabia del Sud, domesticato nel 2.000 a.C. ma divenuto importante mezzo di trasporto solo intorno al 1.000 a.C. Questo animale velocizzerà enormemente il trasporto via terra, e permetterà di raggiungere le aree del Mediterraneo più lontane, in tempi più brevi e con carichi molto maggiori, e permetterà quindi l’incontro tra domanda e offerta in maniera più efficace. La domanda era dominata prima da Greci e in seguito Romani, che utilizzavano ampiamente gli incensi per doni e offerte agli dei, per nutrirli con l’unico cibo che l’uomo poteva offrirgli (cfr. lo stesso utilizzo dell’incenso come cibo per gli dei che si riscontra in America tra i Maya).

È proprio in questo periodo che il mercato delle spezie diventa economicamente molto importante per le terre Arabe, e questo successo commerciale raggiunge l’apice intorno al 750-500 a.C., creando la ricchezza delle terre arabe. Si hanno di questo periodo testimonianze dell’uso delle spezie per unguenti e incensi in Palestina.

E così l’aumentare dell’importanza commerciale delle resine delle due piante porta allo stabilirsi di tratte commerciali via terra sempre più stabili, all’aumentare in numero e frequenza delle carovane e quindi al crescere di agglomerati urbani intorno alle stazioni di scambio e di riposo per le stesse.

Al crescere dell’importanza delle rotte, del volume di incenso e della sicurezza rispetto ai banditi, altre merci iniziarono as essere trasportate, come ad esempio le spezie, l’avorio e la seta dall’India, e oro, legni e pellami preziosi dalla costa africana. La stessa carovana riportavano beni manifatturieri dall’Etruria, della Grecia e da Roma, aumentando la ricchezza o l’importanza dei centri commerciali in Arabia.

Questo attivo interscambio favorì la nascita delle prime città-stato dell’area araba, la più famosa delle quali è probabilmente Saba (la Sabaea).  Si narra che nel 992 a.C. la Regina di Saba portò delle spezie in dono a Re Salomone, e che la città raggiunse una tale ricchezza da poter costruire delle dighe e opere d’irrigazione e canalizzazione per migliorare l’irrigazione delle sue terre, rendere più ricca e produttiva l’agricoltura[41]. Una grande diga costruita nell’8 secolo a.C. serviva ad irrigare gli orti e i giardini della capitale Mar’ib, così famosi da essere ritenuti il giardino dell’Eden menzionati nella Bibbia e nel Corano. Mar’ib rimase un importante centro anche dopo il 5° secolo aC quando iniziarono ad emergere nuovi stati rivali

Il commercio con l’area Mediterranea crebbe sempre di più, e divenne più organizzata, almeno secondo le testimonianze a noi pervenute. Erodoto parla di un commercio molto importante intorno al 500 a.C., tale che: “tutto il paese è profumato con esse [le resine aromatiche]  ed emana un odore meravigliosamente dolce”.  Teofrasto, intorno al 300 a.C. racconta della prima testimonianza oculare degli alberi di incenso e della raccolta della resina secondo la relazione delle spedizioni di Alessandro il Grande.

La via dell’Incenso continuò a crescere di importanza nel periodo subito prima la nascita di Cristo, come testimonia la citazione di carovane di 2-3000 cammelli.

Anche se è probabile che esistesse una rotta commerciale preferenziale per l’incenso verso il Mediterraneo, che possiamo chiamare la via dell’incenso, questa aveva comunque molte varianti e alcune deviazioni.

La principale via di commercio era quella che si originava nelle regioni di Dhofar (Oman meridionale), Somalia, e dall’isola di Socotra, da dove le navi cariche di merci partivano per arrivare, dopo 800 km di navigazione, al porto di Qana (odierna al Mukalla) in Yemen. Da qui venivano trasportate per terra fino all’emporio del governatorato di Shabwah dove venivano tassate.

Rotta del Mar Rosso

Da Shabwah esse continuavano per Narib, da dove potevano prendere la via del Mar Rosso, e proseguire fino a Jeddah (dove risalivano i pellegrini provenienti dalla Mecca), Da qui le navi proseguivano verso la penisola del Sinai e Suez, e dopo 2.000 km arrivavano in Palestina, a Petra e al porto di Gaza da dove potevano partire direttamente per il resto del Mediterraneo, oppure continuavano il viaggio via terra verso Alessandria d’Egitto, da dove venivano vendute localmente e in piccole parte spedite verso Roma, Grecia e Spagna (anche se la maggior parte dell’incenso per Roma veniva processato ad Alessandria, che era il centro industriale dell’Impero Romano). Da Alessandria l’incenso faceva altri 2.100 km per mare fino a Roma (6.500 km in totale).

Rotta del Mar Rosso: Nubia-Alto Egitto-Delta del Nilo

Una rotta alternativa, più difficile e pericolosa, partiva da Port Sudan, di fronte a Jeddah. Da qui partiva una rotta desertica e difficile, con poca acqua, pochi punti di ristoro; arrivava ad Assuan, poi a Qus (dove si incontravano i flussi mercantili e dei pellegrini della Mecca), Koptos, Cenopolis, e infine Luxor, dove la mercanzia veniva caricata su barconi per discendere il corso del Nilo fino al Cairo, da dove si arrivava facilmente ad Alessandria e potevano fare scalo al porto di Sudan, di fronte a, e scaricare le merci.

Rotta Iraq-Siria-Palestina

Una via alternativa partiva da Narib per poi piegare verso il Golfo Persico, passare per Gherra (un sito di interscambio per Persia e Mesopotamia) e poi Teradon. Da qui le navi risalivano la corrente fino alla città di Bassora da dove potevano proseguire fino alla città di Bagdad oppure scendere e viaggiare via terra verso Siria ed Egitto.

Tra le vie di terra era considerata la migliore perché attraversava il territorio storico del Califfato d’Oriente, benevolo nei confronti dei commercianti arabi.  Il viaggio era intrapreso da carovane di cammelli che si fermavano per ristoro o dormire nei molti caravanserragli distribuiti lungo le piste.

La via di terra iniziava da Bagdad, dopo che le navi che avevano risalito il Tigri avevano scaricato le merci.  Il percorso si snodava verso ovest lungo il corso del Tigri, con molti caravanserragli, passava per Samarra, Tikrit, e Mosul, dove abbandonava il corso del fiume per  piegare più decisamente ad ovest, entrando in Siria, per spingersi fino ad Aleppo, vicino al porto cristiano di Antochia.  Da qui piegava a sud per Hamat, Homs e finalmente Damasco.  Le navi, per attraversare il Mediterraneo, potevano partire da Antiochia e Tiro, oppure la carovana si spingeva a Sud, passando per Gerusalemme fino ai porti di  Gaza o Alessandria.

Le rotte del Mediterraneo. Costa Nord

Se il cargo partiva da un porto cristiano come Antiochia o altri, allora avrebbe fatto scalo a Cipro, poi a  Rodi,  a Creta, per arrivare in Sicilia, passare lo stretto di Messina, passare per Cefalù, Palermo e Trapani.  Da qui la traversata fino ala Sardegna, proseguendo per Ibiza e la costa andalusa, Denia o Cartagena (dal XIII secolo, dopo la riconquista da parte dei re cristiani di queste città), oppure Malaga.

Litorale magrebino.

Se invece la nave partiva da un porto musulmano, come Alessandria, il viaggio proseguiva in direzione ovest lungo la costa nordafricana passando per Barca, Tripoli, Gabes, Tunisi e Algeri, da dove le navi attraversavano il tratto di mare che le divideva dall’Andalusia, ad Almeria oppure a Malaga.

Altre rotte

Gli incensi non venivano esportati solo verso nord, ma anche verso est, verso l’India e la Cina, insieme ad altre resine come Storace e Sangue di Drago di Socotra.  La mirra è presente nella letteratura Sanscrita dal VII secolo a.C. in avanti, mentre arriva in Cina molto più tardi, intorno al V secolo d.C.. Nel XII secolo d.C. Zhao Rugua descrive una mirra proveniente sia dall’Arabia del Sud sia dalla moderna Somalia.  Nel 1342 il Kahn del Catay manda a Papa Benedetto XII regali d’oro, argento, seta, perle, canfora, muschio, mirra e spezie[42]. Con tutta probabilità la mirra faceva un viaggio circolare con i commercianti arabi, dalla Persia alla Cina e ritorno.

Per rendersi conto del valore delle resine basti riportare la testimonianza che gli addetti alla lavorazione ad Alessandria venivano denudati e perquisiti perchè non facessero uscire nulla, e l’opinione è che l’incenso valesse più dell’oro, e fosse forse la sostanza più preziosa sulla terra intorno alla nascita di Gesù.

Secondo i calcoli di Plinio, venivano prodotti 2,5-3 milioni di kg di mirra che valeva 3 volte l’incenso (Boswellia) che però era richiesto a volumi fino a cinque volte superiori.

Anche se per molti secoli le civiltà del Mediterraneo non conobbero le aree di produzione e di provenienza degli incensi, al crescere della loro importanza economica e commerciale aumentò l’interesse dei Romani per il mercato delle spezie. Dopo il 27 a.C. (la data esatta è dibattuta[43]) Aelius Gallus, governatore d’Egitto(45 –  5 BCE ), sedotto dalla possibilità di controllare il mercato delle spezie che stava arricchendo il reame alleato di Nabatea, partì con una spedizione forte di 10.000 uomini per i deserti Arabi per trovare gli alberi di incenso. La spedizione fu un insuccesso ed i Romani dovettero ritirarsi, sconfitti dalle malattie, dalla mancanza di acqua e dalla resistenza delle tribù locali.

Per quanto un insuccesso, la spedizione rese possibile pensare alla conquista del commercio degli incensi, che si rese possibile più tardi grazie alla scoperta dei monsoni. Con questa scoperta si rese possibile dimezzare i tempi di viaggio per mare verso l’Arabia e l’India. Quindi nel 2-3° secolo d.C. i mercanti Romani riuscirono a bypassare i mediatori arabi e le tasse che pesavano sugli incensi, contribuendo, intorno al 400 d.C., al declino del commercio dell’incenso e delle città che fiorirono su esso. I flussi di resine dalle terre arabe scemarno fino a terminare, a causa anche della lenta ma continua depauperazione delle popolazioni autoctone di Boswellia e Commiphora nell’odierno Yemen, causata da una cattiva gestione e cura delle piante, da uno sfruttamento distruttivo, alla crescente pressione delle mandrie di animali (cammelli e capre) ghiotti di incenso, oltre ad un concomitante periodo di siccità, fattori che hanno portato alla scomparsa delle piante di Boswellia sacra in buona parte dell’Arabia meridionale.

Responsabile del declino fu però anche l’opposizione della chiesa cristiana.  Quando il Cristianesimo divenne religione di stato a Roma, alla fine del 4° secolo, l’imperatore Teodosio I vietò infatti l’uso delle offerte agli dei, e l’utilizzo degli incensi, visti come residui di paganesimo, anche se la chiesa stessa finirà per adottare incenso e mirra qualche secolo più tardi (intorno al 700 d.C.) all’interno della liturgia. In effetti la mirra divenne un ingrediente fondamentale di alcune versioni del Crisma battesimale. Una delle ricette pervenute a noi lo descrive così composto:

  • 500 p di mirra +
  • 250 p di cannella +
  • 250 p di calamo +
  • 500 p di Cassia +
  • Olio di oliva

Con la perdita di ricchezza conseguente al declino, Il commercio per nave si ridusse al lumicino, le popolazioni dell’area di Saba iniziarono ad abbandonare l’area e a ritirarsi sugli altipiani dello Yemen, e si formò un altro stato centralizzato, Hymar, che si sostituì a Saba nel comandare i porti sul Mar Rosso.

Nel XVI secolo entrarono in voga i “rimedi da indossare” sotto forma di polveri, guanti, collane ed altri oggetti profumati, profumi, ecc., tutti naturalmente caratterizzati da ingredienti esotici tra i quali naturalmente figurava anche la mirra[44].

Indicazioni tradizionali

Secondo gli antichi autori[45] le qualità della mirra erano: calda (calefaciens, fluxiones sistens[46]), risolutiva (“carnes rodunt[47]“, “compositio caustici[48]“, “emollientes[49]), mordente[50], astringente[51], amara[52], analgesica[53].

Vi sono molti esempi di autori antichi che hanno formulato dei rimedi comprendenti la resina di mirra

Gaio Elio Gallo (45–5 a.C. ), il prefetto romano in Egitto, protagonista della disastrosa spedizione alla conquista dell’Arabia felix, aveva anche interessi medici. Galeno[54]  cita una sua teriaca contro le punture degli scorpioni, un multifarmaco che: ” . . .Gallo portò fuori dall’Arabia e diede a Cesare [Augusto], [e] molti soldati furono curati con esso.”  Probabilmente Gallo era un Asclepiade, dato che Galeno cita un “Marco” Gallo, discepolo di Asclepio (Esculapio), come inventore di un utile aiuto preventivo (da usare prima di pasti lussuriosi), composto da semi di Giusquiamo, rose, anice,  semi di sedano, mirra vecchia e zafferano, bolliti in vino e miele[55].

Gallo inventò anche degli antidoti per la golosità, contenenti mirra ed altre spezie costose ed importate[56]. Galeno cita[57] un testo di Elio Gallo che loda l’utilità di incenso, mirra, le due cannelle ed altri ingredienti esotici nella manifattura di gocce efficaci contro la tosse  ed altre medicine utili a lenire le vie aeree.

Claudio Alcimo (Alchimione – 120 a.C.– 25 d.C.), il medico di  Tiberio o Claudio  viene citato due volte da Galeno[58]. Gli si attribuisce un trattamento emolliente composto da cera d’api, resina di Colofonia, resina di Dorema ammoniacum D.Don, galbano, mirra, incenso, opopanax (Balsamo della Mecca), propolis, aceto, feci di capra, e olio d’oliva[59].

Abascanto di Lugdunum (10 a.C. –  80 d.C.) formula un rimedio per la tisi contenente resina di mirra, Aristolochia spp. (A. clematis L.), zafferano, euforbia, genziana, Hyoscyamus niger L., Mandragora officinarum L., oppio, ecc⁠.[60], un rimedio per le coliche contenente resina di mirra, Nardostachys jatamansi, oppio, pepe, ecc. in vino cotto[61], e un antidoto: resina di mirra, castoreo (sostanza giallognola prodotta dal castoro), zafferano, Iris illyrica[62], oppio, pepe bianco, Teucrium spp. (T. chamaedrys L.), ecc., in vino[63]

Amutaone (120 a.C. –  80 d.C.) preparava unguenti contenenti Bdellio, Incenso e Galbano, in una base di trementina e cera d’api[64]; uno in particolare, che conteneva anche olio di Hennè, resina di Dorema ammoniacum e di mirra, veniva usato per dolori articolari.

Come si capisce dagli esempi sopra riportati, i campi di applicazioni proposti nel tempo per la mirra erano molti:

  • Pneumologia: l’indicazione principale della mirra. Tosse e “tracheiti[65]“, asma[66], angina[67], disfonie[68], otiti[69], broncorrea.
  • Dermatologia: dopo la penumologia è l’indicazione più comune. Ascessi, impetigine, erisipela, ulcera, “infiammazioni” locali in genere[70].
  • Apparato digerente: dolori addominali, “cholera”, “malattie del fegato”, emorroidi, fessure anali[71].
  • Ginecologia: mestruazioni irregolari[72]
  • Nefrologia: usata come diuretico[73]
  • Neurologia: spesso menzionato per il trattamento dei dolori (“acopum ad omnem contractionem nervorum[74]), in particolare delle cefalee, delle “nevralgie[75]” e dell’opistotono[76]
  • Oftalmologia: Galeno “oculorum ulcera et crassas cicatrices[77]
  • Otorinolaringoiatria: instillazioni auriculari[78], e trattamento angina.
  • Reumatologia: dolori articolari e podagra[79].
  • Stomatologia: presente in varie preparazioni per denti e gengive (“colluta dentes gingivasque[80])
  • Traumatologia: è il classico vulnerario dell’antichità.
  • Tossicologia: secondo Celso e Scribonio Largo la mirra entra a far parte di vari antidoti[81].

Le principali forme galeniche usate in antichità erano tre: resina compatta, semifluida (profumo “in lacrime”, “stakte” greca) o dissolta in vino (vino di mirra o vinum murratum utilizzato per il catarro respiratorio), olio o acqua calda.

Si usava per via interna come diuretico o stimolante, come linimento su piaghe o per dolori reumatici, come pomata oftalmologica, nelle instillazioni auricolari e come compressa di resina applicata sulle fratture.

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[1] The Plant List (2013). Version 1.1. Published on the Internet; http://www.theplantlist.org/ (visionata il 21 Gennaio 2014

[2] Mabberley DJ (1987) The Plant-Book. A portable dictionary of the higher plants. Cambridge: Cambridge University Press

[3] Langenhein J.H. (2003) Plant Resins: Chemistry, Evolution, Ecology, and Ethnobotany. Timber Press, Oregon

[4] Langenhein J.H. (2003) Op. Cit.

[5] Duke, J.A., (2008) Duke’s handbook of medicinal plants of the Bible. CRC Press Taylor & Francis, Boca Raton

[6] Fluckiger, F. & Hanbury, D. (1885) Pharmacographia – The History of the Principle Drugs of Vegetable Origin. Reprinted Delhi (1986)

[7] Zohary, M. 1982. Plants of the Bible. Cambridge University Press, New York

[8] Duke, J.A. 1983. Medicinal Plants of the Bible. Trado-Medic Books. A Division of Conch Magazine Ltd

[9] Duke, J.A. 1999. Herbs of the Bible — 2000 Years of Plant Medicine. Interweave Press, Loveland, CO

[10] Langenhein J.H. (2003) Op. Cit.

[11] Esodo 30:23; Salmi 44:9; Proverbi 7:17; Cantico dei Cantici 1:12; 5:5

[12] Giovanni 19:39

[13] Marco, xv, 23

[14] Newman, D.J., Cragg, G.M., Snader, K.M. Nat. Prod. Rep. 2000,17, 215–234

[15] Langenhein J.H. (2003) Op. Cit.

[16] Turner, J (2004) Spice: The history of a temptation. Vintage Books, Random House

[17] Turner, J (2004) Op. Cit.

[18] Dalby, A (2000) Dangerous tastes: The history of spices. University of California Press, Berkeley

[19] Hoots, C. 1993. Retracing the incense route. Mosaic 1993(Feb.): 43–45.

[20] Majino J. 1975 The healing hand: Man and wound in in the ancient world. harvard University Press

[21] Groom, N. 1981. Frankincense and Myrrh: a Study of the Arabian Incense Trade. Longman,New York.

[22] Erodoto H 2.73 in J.P.A. Gould; J.S. Romm, Herodotus (1998); BNP 6 (2005) 265–271, K. Meister; C. Dewald & J. Marincola, The Cambridge companion to Herodotus (2006).

[23] Dalby, A (2000) Op. Cit.

[24] Lobel, E  Page, D  (1955) Poetaram Lesbiorum Fragmenta,  Oxford, Clarendon. 1955; II ediz. 1963, p 44

[25] Duke, J.A., (2008) Op. Cit.

[26] Esodo, XXX,23

[27] “Gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. (Mt 27,34)

E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. (Mt 27,48) e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. (Mc 15,23)

Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». (Mc 15,36)

Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca”. (Gv 19,29)

[28] Dalby, A (2000) Op. Cit.

[29] Plinio NH, 12.68-71

[30] Dioscoride MM 1.25

[31] De Fistulis Sez 3 e 5. In CD Adams 1868 The Genuine Works of Hippocrates. Hippocrates. New York. Dover.

[32] De haemorrhoidibus, sez 6. In CD Adams 1868 The Genuine Works of Hippocrates. Hippocrates.. New York. Dover.

[33] De Ulceribus, sez 5. In CD Adams 1868 The Genuine Works of Hippocrates. Hippocrates. New York. Dover.

[34] Scarborough, J.  (1995) The opium poppy in hellenistic and roman medicine’ in  R Porter and M Teich (eds.)  Drugs and narcotics in history.  Cambridge, New York: Cambridge University Press.

[35] Plinio NH, 12.68-71

[36] Plinio NH

[37] Plinio NH, 12.68-71

[38] Ovidio, Le metamorfosi, VI, 14. Virgilio, “Eneide”, I, 146

[39] OvidioLe metamorfosi, X 298-502

…poi, nascondendo il volto con la veste per la vergogna, sospira: “Beata te, mamma, che l’hai sposato!”. Non dice altro e geme. Un brivido di gelo corre per il corpo della nutrice, che ormai ha capito, fin dentro le ossa, e sul capo le si rizzano i capelli, arruffando tutta la canizie (OvidioLe metamorfosi, X.421-425)

[40] Dioscoride MM 1.25, 1.64, 1.64; Plinio NH, 12.68-71; Erodoto H 2.73; Saffo  44 Lobel, E e Page, D  (1955) Op. Cit. Proverb 7.17-18; Orazio Odi 3.14.21-4

[41] Langenhein J.H. (2003) Op. Cit.

[42] Yule, H. (1886)  Cathay and the Way Thither, Hacklutt Society, London, pp.357

[43] Jameson S. (1968) Chronology of the Campaigns of Aelius Gallus and C. Petronius. JRS 58 71–84

[44] Thompson, CJS (1927) The mistery and lure of perfume, London, pp-99-163; Matthews, LG (1973) The antiques of perfume London, pp.10-16

[45] Cfr. Keyser PT, Irby-Massie GL (2008) The Encyclopedia of ancient natural scientists. The Greek tradition and its many heirs. Routledge, London

[46] Dioscoride. I.77

[47] Celso.V. 6,

[48] Pelag.Veter. XXXI

[49] Galeno In Kühn C.G. (1821– 1833, ristampa 1964– 1965; 1986) Claudii Galeni Opera omnia , 20 vv. in 22 parts. Leipzig

[50] Teofrasto (Historia Plantarum)

[51] Teofrasto (Historia Plantarum)

[52] Teofrasto (Historia Plantarum)

[53] Rufus (Hipp. Affect. \\’a4 52, t. VI, p. 262), Galeno in Kühn C.G. Op. Cit.

[54] Galeno Antid . 2.17 [14.203 K.] in Kühn C.G. Op. Cit.

[55] Galeno CMLoc  8.5 [13.179– 180 K.] in Kühn C.G. Op. Cit.

[56] Galeno Antid.  2.10 [14.158– 159, 161– 162 K.] in Kühn C.G. Op. Cit.

[57] Galeno CMLoc  7.2 [13.28– 30 K.]) in Kühn C.G. Op. Cit.

[58] Galeno, CMLoc 7.2 [13.31–32 K.] e CMGen 5.12 [13.835 K.] in Kühn C.G. Op. Cit.

[59] Asklepiades Pharm., in Galeno CMGen 7.6 (13.973–974) in Kühn C.G. Op. Cit.

[60] Galeno, CMLoc 7.2 (13.71 K) in Kühn C.G. Op. Cit.

[61] Kühn C.G. Op. Cit.  De Compositione Medicamentorum secundum Locos. 9.4 (13.278)

[62] Iris pallida subsp. illyrica (Tomm. ex Vis.) K.Richt

[63] Askeliades Pharm., in Galen Antid.2.12 (14.177 K.) in Kühn C.G. Op. Cit.

[64] Asklepiades Pharm., in Galen CMGen 7.6 (13.967 K.) in Kühn C.G. Op. Cit.

[65] 30 citazioni in Scribonius Largus XCIV in Sconocchia S. (1981) Per una nuova edizione di Scribonio Largo

[66] 5 citazioni in Galeno, De Simpl. VIII.XVIII.30  in Kühn C.G. Op. Cit.

[67] 4 citazioni in Marcellus, XV. 6

[68] 3 citazioni in Dioscoride,  I. 77

[69] 2 citazioni in Marcellus,  IX. 18.

[70] cfr. Celso.V.22. 7.1

[71] Celso V.20.5

[72] Celso .V.21.1.

[73] 4 citazioni in Scribonius Largus CXXXIVT in Sconocchia S. (1981) Op. Cit.

[74] Scribonius Largus CCLXIX  In Sconocchia S. (1981) Op. Cit.

[75] Celso.V.24.1.

[76] Plinio H.N.XXVI.109

[77] De Simpl. VIII.XVIII.30

[78] Serenus Sammonicus I.11.

[79] Scribonius Largus CCLXVII  In Sconocchia S. (1981) Op. Cit.

[80] Dioscoride. I.77.

[81] Scribonius Largus. CLXXVII in  Sconocchia S. (1981) Op. Cit.