Uomo e piante 1/dimoltialtri

Uomo e piante

Devo soccombere alla realtà dei fatti, la sintesi non è nelle mie carte, e i post brevi ed illuminanti nemmeno :-).

Cerco di allora di illudermi con la sistematicità, ma  tendo a soccombere alla tendenza al dettaglio. Ecco quindi che mi ci è voluto un po’ per capire che dovevo pur iniziare a buttare fuori questi post dedicati al rapporto tra uomo e piante, anche se non tutti i link sono a posto ecc.

Spero nella benevolenza di chi leggerà, ed anche nelle loro indicazioni e suggerimenti per il miglioramento di quella che nelle intenzioni sarebbe una lunga serie di post.

Questo è anche un modo per trovare il tempo per rivedere le monografie di Infoerbe a poco a poco, con la scusa di linkarle qui.

Un dato incontrovertibile, ma velato dal tempo trascorso e dalla consuetudine, che serve ad inquadrare la discussione che seguirà, è l’esistenza di una relazione speciale che lega le piante all’uomo dagli albori della cultura umana e da prima ancora. Pochi sono gli aspetti della vita dell’uomo nei quali le piante non abbiano giocato in qualche epoca un ruolo importante, addirittura determinante. Allo stesso tempo le piante, in una sorta di viaggio coevolutivo, sono cambiate con l’uomo, sino a diventare in parte dei costrutti culturali.

Le piante forniscono materiale per costruire edifici, templi, vascelli; resine per impermeabilizzare i vascelli, da bruciare nei templi per onorare gli dei, da mescolare al cibo. Dalle piante si modellano strumenti, oggetti sacri ed artistici, fibre per costruire corde, tessuti da indossare e pigmenti per colorarli e per dipingere la storia dell’uomo. Le piante hanno fornito i primi inebrianti usati nei riti magico-religiosi ed i primi veleni usati nella caccia o nelle ordalie, ed entrano nei miti come “oggetti spirituali”, portatori di relazioni simboliche dell’uomo con il mondo naturale e supernaturale. Alcune piante hanno determinato il corso della storia economica e culturale fino a tempi molto recenti, come nel caso delle spezie e delle vie commerciali che furono aperte per assicurarsi il loro monopolio. (1)

Le piante, per finire, (come verrà ampiamente esposto più avanti) sono state per la maggior parte della storia umana la principale fonte di nutrimento, e la fonte più importante di farmaci in tutte le tradizioni mediche antiche ed in certa misura anche nella medicina moderna.

Per citare alcuni esempi a questo riguardo, nella più antica farmacopea occidentale che ci sia arrivata nella sua interezza, il Περὶ ὕληϛ ἰατρικῆϛ (De Materia Medica) di Pedanio Dioscoride (scritto ca. 50-68 d. C.), l’autore elenca circa 725 rimedi, dei quali più di 600 sono di origine vegetale (82-83%), 35 di origine animale (4.7-4.8%) e 90 sono minerali (12.2-12.4%);(2) nella Naturalis Historia (Storia Naturale) di Plinio il Vecchio, compilato nello stesso periodo o poco dopo, su 1693 sostanze medicamentose menzionate, 1391 (82%) sono sostanze di origine vegetale (delle quali 119 spezie o piante aromatiche), 218 (13%) sono sostanze animali e 84 (5%) sono dei minerali.(3)

Nella farmacopea cinese antica le percentuali sono simili: nello Shennong bencao jing (ca. 100 d. C.) su 365 droghe 246 (68%) sono di origine vegetale (i minerali costituiscono lo 11.5% e gli animali il 18.3%); nella raccolta del 659 d.C., il Hsin hsiu pent’sao, la percentuale di rimedi vegetali è del 64% e nel Takuan pent’sao (del 1108 d.C.) del 67.7%.

Nel Caraka Samhita, uno dei due testi più antichi della tradizione medica ayurvedica, si citano 582 rimedi, dei quali 341 (ca. 60%) di origine vegetale.(4)

Per quanto riguarda la farmacopea moderna, secondo Guerci e Lugli: “in un laboratorio farmaceutico medio oltre il 60% dei farmaci provengono, direttamente o indirettamente, dalle piante” e “un quarto delle prescrizioni rilasciate negli stati uniti d’America contiene principi attivi estratti da piante” (per una descrizione più dettagliata ed esaustiva del rapporto tra farmaci prodotti e farmaci legati in maniera più o meno diretta al mondo vegetale vedi il post di Meristemi).(5)

Alcuni di questi farmaci sono tra i più conosciuti ed utilizzati: morfina dal papavero da oppio [Papaver somniferum L. — Papaveraceae], chinino da Cinchona spp. [Rubiaceae], aspirina dalla corteccia di salice [Salix spp. — Salicaceae] e dalla regina dei prati [Filipendula ulmaria (L.) Maxim. — Rosaceae], digossina dalla digitale [Digitalis purpurea L. — Scrophulariaceae], taxolo dal tasso [Taxus brevifolia Nutt. — Taxaceae], vinblastina da Vinca [Catharanthus roseus (L.) G.Don f. — Apocinaceae].

Cibo, farmaco, uomo
Nelle società industrializzate la percezione comune individua i farmaci sia dalla loro forma (pillole o compresse, composti chimici assunti a dosi molto ridotte, nell’ordine dei micro/milligrammi), sia dalla loro funzione (hanno attività farmacologica spiccata, riducono o eliminano sintomi, curano malattie), mentre i cibi sono sostanze consumate solitamente in quantità molto maggiori e che normalmente non esercitano attività farmacologica ai dosaggi tipici dei farmaci, e neppure a quelli alimentari.

In pratica, però, nonostante l’apparenza, la distinzione tra ciò che è farmaco e ciò che è alimento non è così netta, anzi offre molti spazi di sovrapposizione, e le definizioni sono spesso normative e culturali oltre che oggettive. Le piante in particolare possono offrirci vari esempi

Le piante possono infatti essere usate sia come medicina sia come cibo, ed è difficile tracciare una separazione netta tra queste due aree: il cibo può essere medicina e viceversa. Le risorse vegetali nelle società tradizionali, in particolare le verdure selvatiche, sono spesso utilizzate contemporaneamente in diversi contesti come cibo e come medicina. La raccolta o la coltivazione, la preparazione ed il consumo di tali specie sono radicate nelle percezioni emiche (NdT: riferite al punto di vista, alle credenze, ai valori dell’attore sociale ottica) degli ambienti naturali associati alle risorse disponibili, alla cucina e alla pratica medica locale, all’apprezzamento del gusto e tradizioni culturali.(6)

Un esempio classico di questa ambiguità sono le spezie, che costituiscono un gruppo di piante anche oggi utilizzato a scopo alimentare, sempre in quantità molto ridotte; esse sono state tra le prime piante non strettamente alimentari ad essere coltivate (come ad esempio zenzero [Zingiber officinale Willd. Roscoe — Zingiberaceae] e canna da zucchero [Saccharum officinarum L. — Poaceae ], tra le prime cultivar conosciute) e tra le prime ad essere riconosciute dall’uomo come medicinali (dato suffragato dalle moderne ricerche farmacologiche – antisettica, digestiva, antispasmodica ed altre estremamente interessanti).

Tra le spezie meritano una menzione particolare due piante, l’aglio [Allium sativum L. — Alliaceae] e la curcuma [Curcuma longa L.– Zigiberaceae], perché sono due piante che nei loro rispettivi contesti geografici sono piante alimentari comunissime ed allo stesso tempo con una decisa attività di prevenzione e di trattamento delle malattie.(7)

Il caffè [Coffea arabica L.– Rubiaceae]ed il tè [Camellia sinensis (L.) Kuntze — Theaceae] sono due altri esempi tipici di piante con riconosciuta e potente attività farmacologica a dosi relativamente ridotte e che, nonostante ciò, sono, per ragioni di consuetudine e storiche, considerate degli alimenti. Questa difficoltà a distinguere tra i due campi è resa ancora maggiore (o forse è resa più esplicita (8)) dallo sviluppo della zona chiaroscurale che comprende i supplementi alimentari a scopo salutistico, i nutraceutici, gli alimenti funzionali, i cibi tossici o medicinali. (9)

Se passiamo dalle società industrializzate a realtà tribali o di comunità più ridotte e agricolo-pastorali, questa sovrapposizione tra cibo e farmaco non solo è presente, ma è comunemente accettata. Alcuni dei casi più studiati (in particolare da Timothy Johns e collaboratori) sono quelli dei Maasai, dei Batemi e di altre tribù dell’Africa Orientale, che mescolano radici e cortecce ad azione terapeutica alle zuppe a base di carne, ed dei Luo ed altre tribù di Kenya e Tanzania che usano nei pasti, in specifiche celebrazioni annuali, vegetali a foglia larga con attività farmacologia spiccata, molto amare e/o piccanti.

Questo comportamento è stato proposto come spiegazione del cosiddetto paradosso Maasai. Questo gruppo ottiene il 66% delle calorie da lipidi (pasti composti principalmente da latte e sangue), senza mostrare però la costellazione di disordini cardiovascolari che nei paesi europei e nordamericani è associata a diete ad alto tenore di grassi; nelle circa 25 piante usate nelle zuppe è stata riscontrata una elevata percentuale di  saponine, molecole in grado di legarsi al colesterolo ed ai grassi saturi alimentari e quindi potenzialmente in grado di ridurre il rischio (anche se è probabile che la differenza sia dovuta anche a fondamentali differenze di stili di vita tra società industrializzate e società pastorali). Le stesse piante usate come additivi alimentari mostrano attività antivirale contro il morbillo.(10)

In alcuni casi le piante sono un “cibo” ed una “medicina” con forte valenza simbolica: valga per tutti l’esempio del peyote [Lophophora williamsii (Salm-Dyck) J. Coulter — Cactaceae], dio, sacramento, cibo sacro, medicina.(11)

La differenza tra alimento e farmaco può risiedere non nella “natura” del materiale, ma nella modalità di scelta o nell’orizzonte culturale nel quale la scelta viene effettuata. Comunità che condividono caratteristiche simili dal punto di vista socio-economico e geografico, ma culturalmente e/o etnicamente distinte, possono utilizzare la biodiversità vegetale in maniera diversa, usando categorie diverse per determinare  l’interfaccia tra cibo e medicina.(12)

ll sapore, l’apparenza, la consistenza, l’odore, il nutrimento che possono apportare, sono tutti stimoli sensoriali e categorie che determinano la scelta di una pianta come alimento o come medicina, ma nell’equazione entrano anche altri fattori. Alcune piante medicinali, ad esempio, vengono selezionate a seconda della stagione a causa di problemi di disponibilità, quindi in certi periodi dell’anno si sovrapporranno alle piante mangerecce, soprattutto in corrispondenza di malattie stagionali come le malattie da raffreddamento, la malaria, i parassiti, i problemi digestivi. Altre volte, le piante spontanee usate come medicina diventano cibi d’emergenza in momenti di carestia, e sono sovente delle antiche cultivar (sempre più spesso dimenticate anche da quelle popolazioni che si avvantaggerebbero di più dal loro sfruttamento).(13)

Il fatto, poi, che la maggior parte delle piante usate a scopo medicinale non siano piante selvatiche che si incontrano nel profondo della foresta, bensì infestanti, ovvero quelle piante che si situano nel continuum tra selvatico e coltivato, sottolinea  la natura relazionale della polarità alimento-farmaco. La pianta è attiva farmacologicamente in virtù di sue proprietà biologiche, ma viene “costruita” come medicina nella sua relazione con l’attività e la cultura umana, visto che proprio le piante nate “intorno” all’attività agricola dell’uomo senza farne del tutto parte sono diventate il suo strumento medicinale principale. (14)

In sistemi medici colti come la medicina cinese o quella indiana, la sovrapposizione tra cibo e medicina è stata addirittura formalizzata all’interno del costrutto teorico medico. Nel Shennong pent’sao jing, quello che potrebbe essere vista come la prima raccolta sistematica della farmacopea cinese, risalente al primo secolo d.C., i farmaci vengono divisi in tre categorie, dette di grado superiore, medio ed inferiore. Tutte le droghe di livello superiore (chiamate anche rimedi imperatore) appartengono al campo dei cibi-farmaco, rimedi igienisti macrobiotici che “alleggeriscono il corpo”, “estendono gli anni di vita” ed “eliminano la vecchiaia”, dai quali non ci si aspetta una efficacia terapeutica diretta, e la cui somministrazione a lungo termine era considerata sicura, senza pericolo: ginseng [Panax ginseng C. Meyer. — Araliaceae], liquirizia [Glycyrrhiza glabra L. —  Fabaceae], Angelica sinensis [Apiaceae], piantaggine [Plantago spp. — Plantaginaceae] ecc.(15)

Simile classificazione è presente anche nella farmacopea ayurvedica, dove le piante considerate più importanti, i rimedi Rasayana, si usano per nutrire e rinforzare il “tessuto primordiale” o rasa , per ritardare l’invecchiamento, promuovere l’energia vitale e migliorare le capacità cognitive. Anche in questo caso si tratta di piante quasi alimentari, il cui consumo è possibile in grandi quantità e per lungo tempo, e la cui azione è simile ad un nutrimento terapeutico, mentre le piante più attive nel senso moderno e farmacologico del termine sono anche quelle meno importanti [Withania somnifera (L.) Dunal. — Solanaceae; Ocimum sanctum L. — Lamiaceae, Phyllanthus emblica L. — Euphorbiaceae, Asparagus racemosus Willd. — Asparagaceae (o Liliaceae)].(16)

Se poi analizziamo dal punto di vista chimico le piante usate come medicine e quelle di uso alimentare scopriamo che i medesimi composti chimici ad attività farmacologica (alcaloidi, composti amari, flavonoidi, glicosidi, in particolare cianogenici, saponine, acidi organici) sono presenti nelle due categorie, anche se in concentrazioni molto differenti.

Conclusioni
Da quanto detto discende che l’uomo ha sempre inserito nella sua dieta composti farmacologicamente attivi presenti nelle piante di cui si nutriva, anche se probabilmente con maggior frequenza nelle epoche antiche rispetto ad oggi.

Ma come è successo che le piante siano diventate un elemento così importante per gli esseri umani? Ed in particolare, perché esse sono così importanti per la medicina?
Una prima risposta generica a questi quesiti viene dalla considerazione della quantità e diversità di vita vegetale sul globo: grazie alla loro natura autotrofa, le piante superano di una magnitudo di fattore dieci tutta la biomassa di origine animale sul globo; possiedono una capacità ineguagliabile di sintetizzare ex novo composti chimici, poiché, a differenza degli animali, non possono muoversi, e per difendersi dai predatori devono sintetizzare ed utilizzare speciali composti di difesa.

L’approccio coevolutivo spiega la nascita della “pianta medicinale”, il momento aurorale della medicina, come una relazione tra uomo, pianta e patogeni, che nei milioni di anni avrebbe permesso all’uomo di adattarsi ai composti di difesa, di imparare a renderli meno tossici ed infine di utilizzarli a proprio beneficio.

Naturalmente il dato biologico adattivo può spiegare un inizio, può giustificare un ventaglio molto limitato di attività delle piante sull’uomo. Non è possibile farvi risalire direttamente le elaborazioni culturalmente mediate della medicina.(17)

Un corollario di questa tesi è che:

una delle chiavi per comprendere come questo processo sia iniziato sta nel riconoscere l’importanza del sapere tradizionale sulle piante presente in ogni cultura, e nell’identificazione degli elementi culturali e biologici del processo dinamico attraverso il quale questo sapere viene ottenuto e mantenuto in una comunità.(18)

Sarà quindi necessario valutare il ruolo giocato dalle piante all’interno delle diverse culture e dei diversi contesti storici e simbolici, e cercare uno schema che ci permetta di collegare tra di loro questi dati, per chiarire quanto essi siano generalizzabili; per chiarire cioè quanto i parallelismi di utilizzo in diverse aree geografiche dipendano dal passaggio di informazioni tra una area e l’altra  (e non siano quindi trattabili come indipendenti), e quanto invece siano indipendenti e quindi si rinforzino a vicenda.

A loro volta questo collegamenti potranno essere messi in relazione con ciò che sappiamo sulle relazioni evolutive tra uomo e piante, ed anche con ciò che sappiamo in termini di chimica delle piante, ad esempio che esistono dei cluster di attività intorno a determinati composti o gruppi chimici, e che determinati gruppi chimici mostrano la tendenza a segregarsi secondo divisioni tassonomiche.

Questi dati presi assieme e usati, per così dire, per effettuare una triangolazione, potrebbero gettare più luce sulle basi biologiche ed evolutive dell’uso delle piante come medicine da parte dell’uomo.

Prima di tentare questa analisi/descrizione è però necessario fare un passo indietro, esplorare i presupposti biologici di queste relazioni, andare a trovarne i semi nella preistoria della nostra specie o addirittura del nostro genere. Per fare questo esamineremo brevemente quali siano stati i passaggi più importanti nel mondo vegetale dalle sue prime esplorazioni delle terre emerse fino ai nostri tempi, per capire come l’evoluzione delle strategie di sopravvivenza delle piante abbia potuto poi intercalarsi con la nostra. A partire da questi dati sarà poi più semplice esaminare l’evoluzione dell’uomo, della sua dieta e della sua trasformazione nei millenni in pratica terapeutica.

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Note

1. Lewington A. Plants for People. London, The Natural History Museum, 1990. Heiser, C.B.m, Jr. Of plants and people. Norman OK, University of Oklahoma Press, 1985. Balick, M.J., Cox, PA Plants, people, and culture: The science of ethnobotany. Scientific American Library, 1996

2. Pedacii Dioscoridis de materia medica libri sex interpetre Petro Andrea Matthiolo cum eiusdem commentariis. Venezia, 1544. Collins M.  Medieval herbals: The illustrative tradition. The British Library and University of Toronto Press, 2000

3. Nei libri dal XX al XXXII. In Fabre,  La pharmacopée romaine dans l’oeuvre de Pline l’ancien. Tesi di dottorato presentata alla Sorbona (Paris IV), aprile 1998

4. Il secondo è il Susruta Samhita; di entrambi è incerto il periodo di composizione, anche se la loro presenza è certa nel primo secolo d.C., e è possibile risalgano al quarto secolo a.C. – Wujastyk, D. Indian Medicine in Bynum W.F. e Porter R. Companion encyclopedia of the history of medicine. 2 vols. London, Routledge, 1993, pp.755; cfr. Priyadaranjan Ray e Hirendra Nath Gupta Caraka Samhita (a Scientific synopsis), New Delhi, National Institute of Sciences of India, 1965, Tabelle 1-3

5. Guerci A., Lugli A. Piante medicinali del mondo, patrimonio dell’umanità: Una visione tra etnobotanica, tradizione e scienza. Planta Medica Edizioni, 2005, p. 2 e p.14; cfr. anche Foster, S. & Johnson, R. Desk Reference to Nature’s Medicine. National Geographic Society, Washington D.C, 2006.

6. Pieroni A., & Price L.L. “Introduction” in Eating and Healing: Traditional Food As Medicine, The Haworth Press, 2006

7. D’altro canto possono essere definiti farmaci i cibi assunti per curare o alleviare le malattie, e cibi i beni consumabili che tradizionalmente non sono stati considerati medicinali dai vari governi.

8. Nel senso che l’aumento delle ambiguità in questo campo non è altro, a mio parere, che  la rivelazione della artificialità della distinzione normativa, che ha voluto racchiudere la complessità in definizioni troppo stringenti. In società meno normative, questa sovrapposizione di campi non è vista come problematica.

9. Nel campo ancora giovane ed in grande sviluppo dello studio delle interrelazioni tra “alimenti” e “medicine” i termini usati per descrivere la zona di confine tra i due settori sono ancora relativamente vaghi: per “cibo funzionale” (functional food) si deve intendere, seguendo Preuss (Preuss A (1999) Zur Charakterisierung Funktioneller Lebens- mittel (Characterization of functional food) Deutsche. Lebensmittel-Rundschau 95 468-47),  un cibo che oltre agli utilizzi legati ad aspetti nutrizionali o di piacere sensoriale, mostra utilizzi legati ad effetti di altro tipo sulle funzioni dell’organismo, e che occuperebbe una posizione mediana ma in parte distinta (una terza opzione) tra cibo e medicina. Per “cibo medicinale” (medicinal food) o “medicine alimentari” (food medicines), seguendo Pieroni e Quave (Pieroni, A. e Quave, C. “Functional foods or food medicines? On the consumption of wild plants among Albanians and Southern Italians in Lucania” in A., Pieroni e L., Leimar Price (eds.)  (2006) Eating and Healing, Haworth Press,  p. 110) intendiamo invece quell’area di sovrapposizione tra cibo e medicina, quando una pianta viene ingerita in un “contesto alimentare” allo scopo di ottenere uno specifico effetto medicinale. Il termine “nutraceutico” (dall’inglese nutraceutic, composto di nutritional e pharmaceutic) identifica una pianta alimentare o derivato che, grazie al contenuto in metaboliti secondari (al di la quindi del puro effetto nutritivo), può modificare la fisiologia umana ed in alcuni casi i processi patologici.

10. cfr Johns, T. e Kokwaro, J.O. (1991) “Food plants of the Luo of Siaya District, Kenya”. Economic Botany 45: 103-113.; Uiso F.C.  Determination of toxicological and nutritional factors of Crotalaria species used as indigenous vegetables. M.Sc.Thesis, Mc Gill University, 1991; Johns, T.  “Plant constituents and the nutrition and health of indigenous peoples”. In V.D., Nazarea (Ed.), Ethnoecology-Situated knowledge, located lives. Tucson: University of Arizona Press, 1990;  Johns, T., Mahunnah, R.L.A., Sanaya, P.,  Chapman, L. e Ticktin, T. (1999) Saponins and phenolic content in plant dietary additives of a traditional subsistence community, the Bateni of Ngorongoro District, Tanzania. Journal of Ethnopharmacology 66: 1-10.; Johns, T., Mhoro, E.B. e Sanaya, P. (1996) Food plants and masticants of the Batemi of Ngorongoro District, Tanzania. Economic Botany 50: 115-121.; Johns, T., Mhoro, E.B. e Uiso, F.C. (1996) Edible plants of Mara Region, Tanzania. Ecology of Food and Nutrition 35: 71-80; Parker M., Chabot S., Ole Karbolo M. K., Ward B. J., Johns T. A. “Traditional dietary additives of the Maasai are antiviral against the measles virus.”  Poster alla 8th International Congress of Ethnopharmacology, 2004, Canterbury, UK.

11. cfr. Evans Schultes R., Hoffmann, A. e Ratsch, C. Plants of the Gods:  Their sacred, healing, and hallucinogenic powers. Revised and expandend edition. Healing Arts Press, Vermont, 1998, pp. 144-155

12. Quave C.L. & Pieroni A. “Traditional health care and food and medicinal plant use among historic Albanian migrants and Italians in Lucania, southern Italy”. In A. Pieroni e I. Vandebroek (eds.) Traveling cultures and plants: The ethnobiology and ethnopharmacy of human migrations. Berghahn Books, Oxford, 2007

13. Sull’area di sovrapposizione tra piante come farmaco e come alimento, sul continuum che lega le piante spontanee a quelle domesticate, e sull’importanza di queste analisi per la comprensione della transizione tra caccia e raccolta e agricoltura, vedi la bella raccolta di saggi coordinata da Lisa Etkin (Etkin, N.L. (Ed.), Eating on the wild side. Tucson: University of Arizona Press. Etkin, N.L. (1996)). Per un esempio di testo scritto allo scopo di conservare il sapere locale sulle piante selvatiche ad utilizzo alimentare cfr. Ruffo C. K., Birnie A., Tegnas B. Edible Wild Plants of Tanzania. Technical Handbook No. 27 Regional Land Management Unit, Nairobi, Kenya, 2002.

14. Traduco con infestanti il termine weed, che in inglese denota appunto le piante che si trovano nel continuum della relazione uomo-piante, tra piante spontanee e piante coltivate. In questo continuum abbiamo le piante spontanee, che crescono al di fuori dell’habitat disturbato dall’uomo e che non possono con successo invadere permanentemente habitat disturbati dall’uomo; le piante infestanti, la cui popolazione cresce completamente o in maggioranza in situazioni marcatamente disturbate dall’uomo, senza essere deliberatamente coltivate, quasi sempre erbacee e a crescita veloce; le piante coltivate, piantate intenzionalmente. Ma vi sono anche le piante domesticate accidentalmente a causa dell’attività dei cacciatori-raccoglitori, e le piante domesticate, che si sono evolute in una nuova forma a causa della continua manipolazione, tanto che possono aver perso la capacità di riprodursi da sole (cfr. Zimdahl, R.L., Fundamentals of Weed Science, 2nd ed. Academic Press, San Diego, CA., 1992, p. 172); Etkin, N.L. “The cull of the wild”. In N.L., Etkin (Ed.), 1994 op. cit.; Etkin, N.L. (1996) “Medicinal cuisines: Diet and ethnopharmacology”. International Journal of Pharmacognosy 34: 313-326. Etkin, N.L. e Ross, P.J. (1982) “Food as medicine and medicine as food: An adaptive framework for the interpretation of plant utilisation among the Hausa of northern Nigeria”. Social Science and Medicine 16: 1559-1573. Grivetti, L.E. e Ogle B.M. (2000) “Value of traditional foods in meeting macro- and micronutrients needs: The wild plant connection”. Nutrition Research Review 13: 31-46

15. Unschuld, P.U. Medicine in China: a history of pharmaceutics, Berkeley, University of California Press, 1986, p.24.  Se teniamo presente che il termine “efficacia terapeutica” (wu-tu) si traduce come “non-velenosa”, possiamo capire come questi rimedi possano ben essere esemplificati da piante alimentari con azione terapeutica (e difatti troviamo qui rimedi come il Panax ginseng o la piantaggine che mostrano attività farmacologica secondo gli standard moderni, ma che possono essere assunti anche a lungo termine senza rischi). Questo favore verso i farmaci macrobiotici è evidente anche nel primo documento esistente che parla di rimedi vegetali, nei manoscritti medici di Mawangdui, risalenti al 3 e 2 secolo a.C., dove, pur non comparendo la divisione teorica tra rimedi di grado diverso, già si parla di rimedi che allungano la vita ecc. Il manoscritto MSVI.A.9 contiene la prima descrizione di una droga effettuata da un medico, Wen Zhi, descrive il porro (jiu) come la “pianta dei mille anni” e “re delle centinaia di piante”, che concentra i vapori (qi) dei cieli e della terra (cfr. Harper, D. (trad. e comm.) Early chinese medical literature: The Mawangdui medical manuscripts. Kegan Paul International, New York, 1997, p. 106)

16. cfr. Puri, H.S. Rasayana: Ayurvedic herbs for longevity and rejuvenation. Taylor & Francis, New York, 2003

17. Per molte attività umane, “non ha senso fornire una spiegazione evolutivo-adattiva (a meno che non si parli di adattamento evolutivo in senso culturale). Non è che [le attività umane] non abbiano radici biologiche. Semplicemente ne sono troppo lontane” (Rozin P (2000) “Evolution and adaption in the understanding of behavior, culture, and mind”. American Behavioral Scientist. 6 (43):970-986). Al più possiamo proporre una feconda commistione tra presupposti biologici e sviluppi culturali, raccontare la storia di questa relazione, nella speranza che nel racconto, nel processo storico e non nelle origini, si nascondano le ragioni ultime della situazione attuale, soprattutto guardando agli enormi cambiamenti culturali avvenuti nel brevissimo periodo nel quale l’uomo ha subito una evoluzione culturale. Come scrive Rozin 2000 op. cit. : “There is no doubt that humans are primates and that human cultures have influenced humans for only a small part of their evolutionary history; there is every reason to believe that we will find the precultural primate in many human activities. But even a casual glance at human cultures today will suggest that these tens of thousands of years of human culture have vastly transformed humans and their institutions and that it would be folly to expect to trace most of what humans do now to specific primate predispositions, except in the most indirect way.”

18. cfr. Johns T. The origins of human diet and medicine. University of Arizona Press, 1999, p. 2