Siplhion, finalmente! (parte 2)

Le ragioni di un successo.
Perché il silfio è stata una pianta così importante dal punto di vista economico? Per quali ragioni era usata?  Nonostante fosse una pianta importante nella farmacopea greca e romana, è indubbio che la sua fortuna sia dovuta alla passione smodata degli antichi per il suo sapore.

I greci lo usavano sia con i vegetali che con le carni, in particolare arrosti e trippa. In questo modo ne parla il poeta ed epicureo Archesastro di Gela, citato da Ateneo di Naucrati in Deipnosophistai (101c, 311a), il quale però non approvava del suo uso con il pesce fresco. Altri autori non erano però dello stesso avviso, come nel caso di Senocrate, un autore citato da Oribasio nelle sue Collectiones medicae (2.58.114), che indicava di cuocere l’uovo di mare (Microcosmus sulcatus) con “silphium della Cirenaica, aceto, sale e ruta”.

Anche i romani apprezzavano moltissimo la spezia, tanto da consigliare di controllarne con cautela la qualità. Come ci spiega Dioscoride, essa “è di qualità quando è rossastra e traslucente, simile alla mirra e con un profumo molto potente, non verdastra, non grezza in sapore, e che non muta facilmente il suo color in bianco”.
Il testo del IV o  V secolo d.C. detto Caelii Apicii de opsoniis et condimentis sive de re culinaria (o De re coquinaria) (scaricalo in zip qui) propone (in 3.7) il suo utilizzo in una ricetta di pepones et melones:

Piper, puleium, mel vel passum (vino molto dolce ottenuto dalla bollitura del mosto e forse di altri ingredienti come miele), liquamen (salsa di pesce salata), acetum. Interdum et silfi accedit.

In 4.1 lo propone con cucurbitas:

Cucurbitas coctas expressas in patinam conpones. Adiccies in mortarium piper, cuminum, silfi modice id est laseris radicem, rutam modicum, liquamine et aceto teraperabis, mittes defritum modicum ut coloretur, ius exinanies in patinam. Cum ferbuerint iterum actertio, depones et piper minutum asparges.

Certamente importante per capire lo status raggiunto dal Silfio (e più in generale dalle spezie) è analizzare il gusto dei romani per il lusso, inteso sia come benessere e ben-vivere sia come ostentazione, segno di ricchezza, potere, capacità d’influenza e di pressione sociale e politica.

Le piante aromatiche attraggono certamente per il piacere sensoriale che possono dare, e per le attività fisiologiche che svolgono, ma anche perché permettono lo sviluppo delle conoscenze scientifiche. Grazie alla ricchezza di stimoli organolettici derivanti dall’uso delle spezie, il corredo linguistico legato ai fenomeni percettivi (si arricchisce di molto, nascono molteplici categorie descrittive e quindi si influenza lo sviluppo delle capacità descrittive.

Da spezia a farmaco
Del Silfio come medicamento piuttosto che come spezia sappiamo sin dai tempi di Ippocrate, che ne consiglia l’utilizzo come purgante, per le febbri, come rimedio per il prolasso dell’ano, in caso di dolori addominali e per disturbi ginecologici (De diaeta in morbis acutis).

Dal punto di vista medico, il silfio era considerato dai classici un rimedio caldo (calefaciens et ardorem producit: Dioscoride. I.71), disseccante (siccandum madorem toto corpore ciet Dioscoride. III; vim habet molliendi, attrahendi, calefaciendi: Dioscoride. III. 88)  e  risolutivo (vim habet calefaciantem, urentem, attrahentem, discutiendem: Dioscoride.III. 87; aperiunt ora in corporibus quod stoma Graece dicitur. Celso.V.4; crustas vero resolvit Celso.V.11; incipientem suffusionem dissipat: Dioscoride. III. 84; laevat quod exasperatum est: Celso.V.13).

Gli autori antichi gli attribuivano molti utilizzi terapeutici (elencati da Koerper e Kolls 1999), tra i quali i più importanti erano quelli digestivi. Secondo i greci era eccellente per la digestione, ma così potente da poter disturbare chi lo usasse per la prima volta (I testi ippocratici ci dicono anche che il silfio e la sua resina potevano dare disturbi intestinali e causare bile secca ai soggetti non abituati. cfr. Dalby); era attivo sia sullo “stomaco” sia sul “colon” sia sull’ “ileo” in particolare per i dolori addominali (adrodatur et rubeat maximeque si corpus durum et uirile est. Paulatim deinde faciendus est transitus ad ea, quae ventrem conprimunt. Assa caro danda ualens, et quae non facile corrumpatur: potui uero pluuialis aqua decocta, sed quae per binos ternosue cyathos bibatur. Si uetus uitium est, oportet laser quam optimum ad piperis magnitudinem deuorare, altero quoque die uinum uel aquam bibere, interdum: Celso.IV.19.4.1.), ed aveva anche indicazioni di tipo “epatologico”.
I romani, oltre che per problemi di digestione, lo usavano nei colliri mescolato a resina di lentisco o gomma ammoniaca (Dorema ammoniacum D. Don – Apiaceae).

Pianta spesso connotata magicamente (in inglese varie spp. di Ferula si chiamano volgarmente “devil’s dung”), Plinio (Naturalis Historia XX.98) ripete la cautela che esagerare nel consumo del fusto può portare a mal di testa, e cita l’indicazione di altri autori per il trattamento  dell’epilessia, a condizione che venga assunta dal 4 al 7 giorno della lunazione (qui).

Altre attività ed sui attribuiti alla pianta: antiastenica; antipiretica e sudorifica. Una indicazione simile è presente nella medicina egiziana: silphium e mirra come rimedio per la quartana (Marganne M.H. Inventaire analytique des Papyrus grecs de Médecine: Genève, Librarie Droz, 1981. Leggi la review qui); diuretica, utile al trattamento di nefriti e  cistiti; analgesica (“ad omnem dolorem veterem” Scribonio Largo); asma e “dispnee”; “pleuriti” e “polmoniti” Plinio (Naturalis Historia XXII.100); tosse acuta e cronica (Celso.IV.10.3.1); dolori articolari in paticolare la “podagra” (Scribonio Largo)

Ma certamente l’uso più famoso e controverso è quello relativo alla sfera genitale femminile. Molti autori, antichi e moderni, ritengono che fosse una pianta anticoncezionale o abortiva. In questo senso ne parlano Teofrasto, Plinio il Vecchio, Sorano di Efeso (in Sorani Gynaeciorum vetus translatio Latina 1882; leggilo qui) e Serenus Sammonicus (che però nel suo poema Liber medicinalis riprende il contenuto del Naturalis Historia di Plinio); Sulllivan (1979) è stato uno dei primi a offrire evidenza critica che le asserzioni di Sorano e di Serenus Sammonicus sull’azione abortiva del silphion avessero basi biologiche.

Più di recente altri autori hanno supportato questa ipotesi (Riddle 1985; Riddle, Estes 1992; Riddle, Estes, Russel 1994; Fisher 1996), e alcuni dati sperimentali relativi ad altre specie di Ferula (Ferula assa-foetida, Ferula jaeschkeana, e Ferula orientalis) tenderebbero a supportare l’idea di una azione antifertilità (Prakash et al 1986; Singh et al 1988), abortifacente ed anticoncezionale (Farnsworth et al. 1975).

Altri autori (Koerper e Kolls 1999) ritengono che il dato iconografico e numismatico indichi un utilizzo afrodisiaco, o che al contrario, siano le immagini irifalliche e testicolari delle monete a evocare un legame tra pianta, uso per la funzione sessuale ed uso apotropaico; essi portano a supporto gli scritti di Avicenna (che attribuisce qualità afrodisiache ad un sostituto del silphion) e a Catullo (che lega il silphion al piacere sensuale – Fisher 1996).

Plino parla della pianta come di un “prezioso regalo della natura” e racconta che ai suoi tempi veniva primariamente importata dalla Siria, ma che questa varietà siriana era inferiore a quella Partiana (Persia orientale = Afganistan) ma superiore a quella Media (Persia occidentale =Iran); tutte  queste erano però inferiori, a detta dell’autore, a quella della Cirenaica.

Sembra ormai chiaro che le varietà persiana, partiana ed altri cosiddetti silphion erano in realtà varietà di asafoetida, che, forse, vennero accettate nonostante il profilo organolettico “inferiore” a causa della sempre maggior scarsezza del silfio originale.

Perché si estinse?
Perché, o meglio in che modo, il silfio si sia estinto non è chiaro. Non è neppure chiaro quando esattamente si estinse, proprio perché la gente iniziò a sostituire al silfio altre ferule.
Plinio scrive che, semplicemente, i pastori iniziarono a nutrire le pecore con la pianta, perché la carne di pecora nutrita a silfio era particolarmente ricercata, e questo, unito alla già elevata richiesta di spezia, portò alla sua estinzione; l’ipotesi sembra poco ragionevole, dato che certamente il siflio doveva valere molto di più della carne di pecora.
Il geografo Strabone, che scrive circa un secolo prima della sua scomparsa, sembra suggerire che i problemi che portarono alla scomparsa derivassero da scontri tra i raccoglitori (pastori Libici) e i commercianti di Cyrene. I raccoglitori, ci dice Strabone, durante degli scontri, sradicarono e distrussero un grande numero di piante, in segni di rivolta, e lasciarono che le pecore devastassero le piante, probabilmente, secondo Shimon Applebaum perché non erano soddisfatti dei guadagni miseri derivanti dalla raccolta.

Alfred Andrews propone una teoria completamente diversa: secondo lo storico, quando, nel 74 a.C. Roma   trasformò Cirene e Creta, in una unica provincia senatoriale, i governatori che si succedettero al comando sfruttarono pesantemente la pianta per ottenere guadagni rapidi ed elevati (i governatori non avevano salario e potevano intascarsi ciò che ottenevano sfruttando la provincia).

Cento anni più tardi, nel primo secolo d.C., la scarsità della pianta portò al crollo dell’economia della regione, tanto che poco tempo dopo Plinio riporta che “ormai da molti anni il silphion non è stato visto nella regione, dato che le persone che affittano la terra da pascolo, vedendo possibilità di maggiori profitti, lo sfruttano eccessivamente per farne pascolo per pecore. L’unico fusto trovato a memoria d’uomo è stato mandato all’Imperatore Nerone”.
Dopo il primo secolo nessuno riporta l’uso del silphion, e nonostante vi siano stati nei secoli vari autori che hanno annunciato che il silphion era stato trovato, risulta molto difficile credervi, poiché se veramente fossero esistite delle colonie sopravviventi, le popolazioni, ben consce del suo valore, lo avrebbero sfruttato commercialmente e noi avremmo delle fonti che riportano di questo commercio.

Seppure la fine del mercato non coincide con la scomparsa della specie, ovvero della estinzione in senso stretto, è ipotizzabile che la pianta scompaia del tutto tra il secondo e il terzo secolo d.C., e possiamo concludere che la sua scomparsa sia legata all’ipersfruttamento e alla mancata obbedienza alle regole imposte dal governo di allora che regolava la quantità e la modalità di raccolta della resina.